Dal punto di vista di uno sviluppatore come me, la generazione procedurale è un approccio progettuale molto interessante: se utilizzata con un certo criterio, è in grado di regalare al giocatore un’esperienza unica ad ogni partita, e sappiamo bene quanto possa essere potente l’attrattiva di una rigiocabilità pressoché infinita. Introdotta per la prima volta nel 1980 nel celebre Rogue di Michael Toy e Glenn Wichman, da allora tale pratica è stata associata perlopiù ai giochi di ruolo a turni, discostandosi dagli stessi in qualche rara ed eloquente circostanza come nel caso di Diablo della Blizzard. E poi, nel dicembre del 2008, lo sviluppatore indipendente Derek Yu dimostrò al pubblico che gli algoritmi randomici potevano essere applicati anche a titoli molto meno lenti e meticolosi quando la sua Mossmouth LLC. rilasciò la prima build di Spelunky: attingendo un po’ dalla formula roguelike e un po’ dal leggendario Spelunker, un miscuglio di Lode Runner e Boulder Dash sviluppato da Irem e amato/odiato per la sua impietosa difficoltà, il gioco è un platformer bidimensionale freeware altrettanto spietato provvisto di livelli casuali ben strutturati e di comandi semplici e molto responsivi, tutto il contrario (per fortuna) del suo antesignano spirituale.
Il gameplay di Spelunky è in tempo reale con l’enfasi posta su esplorazione, salti millimetrici e acrobazie verticali mentre, come nella migliore tradizione degli “eredi” di Rogue, la morte del personaggio si traduce nell’azzeramento di quasi tutti i progressi e nella perdita di tutti gli oggetti e il denaro guadagnati con fatica fino a quel punto. Tuttavia, poiché ogni partita dura in media una ventina di minuti, tale perdita non viene mai percepita come eccessiva e, anzi, l’esperienza maturata nel frattempo si rivela alla lunga il tesoro più prezioso sul quale possiamo mettere le mani. Quattro anni più tardi, il piccolo speleologo emulo di Indiana Jones trova una nuova casa su Xbox Live Arcade (e su gran parte delle piattaforme ludiche dell’epoca grazie ai porting che verranno realizzati in seguito), con un rifacimento in alta definizione delle sue avventure: questa nuova versione commerciale raccolse strabilianti consensi da critica e giocatori, ed ispirò un quantitativo smisurato di produzioni con meccaniche molto simili, da Rogue Legacy a Dead Cells passando per Enter the Gungeon, Crypt of the Necrodancer e Flinthook, senza contare un nutrito zoccolo duro di appassionati che ancora oggi continua a sviscerarne le profondità più inaccessibili nella speranza di migliorare i propri tempi o scoprire eventuali segreti ancora nascosti. Yu scrisse addirittura un libro autobiografico nel 2016, raccontando di come abbia riversato nell’esperienza di sviluppo il suo personale concetto di “gioco perfetto”, un modo eccellente di concludere il viaggio intrapreso.
Negli anni seguenti, lo studio personale di Derek si è dedicato alla coproduzione di un gioco di carte (Time Barons) e di una collection di giochi dallo squisito retrogusto a 8-bit (UFO 50), mentre lui si è sposato, è diventato papà ed ha stimolato un’intera generazione di programmatori indipendenti che, affascinati dalla sua storia, hanno deciso di perseguire le medesime ambizioni. Ma la domanda che, giustamente, ha continuato a rimbalzare nelle teste dei fan è stata sempre e soltanto una, ovvero: “Arriverà mai un sequel di Spelunky?”. La risposta, come avrete capito, è un sonoro “sì”, approdato il 15 settembre scorso su PlayStation 4 e in uscita il 29 settembre su PC. E se il predecessore era il “gioco perfetto” secondo il suo stesso autore, sarà riuscito quest’ultimo a progettare e sviluppare un erede che riesca a migliorarlo? In questo caso, il responso non è altrettanto cristallino ma, dopo aver speso diverse ore in compagnia di Anna, la figlia dell’originale esploratore delle profondità, posso affermare senza problemi che, semplicemente, non ci è riuscito, ma non per i motivi che state pensando. Armatevi anche voi di elmetto, scarponi, bombe e rampini e scendete insieme a me per scoprire cosa intendo.
Spelunky 2: guardo le stelle un’ultima volta
Nonostante il titolo e la storia, è difficile giudicare Spelunky 2 come un vero e proprio sequel, in quanto è molto più affine ad una sorta di reboot pedissequo dell’1, ma infarcito di un gran numero di correzioni, ritocchi e migliorie di ogni tipo. Anche questa volta, la nostra avventura inizia all’interno di una grotta stracolma di pipistrelli, ragni, scheletri e statue sparafrecce, dove in ogni singolo anfratto potrebbe essere celata una trappola ansiosa di porre fine alle nostre perlustrazioni prima del dovuto. Eppure, basta muovere i primi passi per accorgersi che qualcosa è decisamente cambiato: mandrie di talpe fameliche si aggirano sotto il terreno in attesa di emergere per azzannare le caviglie dei più incauti, mentre altrove dei flemmatici draghetti gialli si trasformano in veri e propri proiettili sferici per abbattersi contro di noi. Appare fin troppo chiaro quanto Derek abbia giocato con il senso di familiarità dei giocatori per infondere in loro una falsa percezione di sicurezza e poi coglierli alla sprovvista rimescolando le carte in tavola. Come nel primo Spelunky, i livelli sono costruiti in maniera tale da fornire a tutti gli elementi dello scenario, animati e non, un comportamento specifico che scatena una reazione, spesso a catena, dopo ogni azione compiuta da chi stringe in mano il controller. Per i neofiti, la curva di difficoltà è quasi verticale, ai limiti di un incontrovertibile scoramento, ma non stiamo parlando di un gioco che può essere completato al primo tentativo. O al decimo. O al centesimo. In realtà, l’obiettivo ultimo che dovremmo porci in Spelunky 2 non è abbattere l’ultimo boss e rilassarci davanti ai titoli di coda, ma imparare a conoscere il microcosmo nel quale ci muoviamo: tutte le ideali “caselle” che lo compongono possono essere utilizzate in qualche modo, sta a noi trovare il migliore (o quello meno letale, quantomeno) e sfruttarlo a nostro vantaggio per sopravvivere un po’ più a lungo. E così, la prima volta non riusciremo a resistere neanche un paio di minuti prima di cadere vittime di un nemico o di un tranello, poi i minuti diventeranno cinque, poi dieci e così via, ricominciando ogni volta con in pugno un nuovo bagaglio di conoscenze e, quando incominceremo a diventare abbastanza bravi, qualche utile scorciatoia verso i quadri avanzati. Insomma, con la giusta dedizione, i progressi si faranno in breve tempo consistenti.
L’arma migliore che avevamo a disposizione per affrontare le insidie di Spelunky era la nostra vista, perché abbassandosi o guardando verso l’alto si potevano visualizzare parti del terreno ancora inesplorate per evitare di gettarsi nel buio verso morte certa: anche in questo caso, Spelunky 2 aggiunge un po’ di pepe alle dinamiche di gioco introducendo alcuni mini passaggi “stratificati” che si raggiungono varcando apposite porte all’interno degli schemi, e che celano un tale assortimento di scrigni e trabocchetti da poter essere considerati tanto lucrativi e pericolosi quanto i livelli dai quali si originano. Quando ho visto questa meccanica nei trailer di presentazione, devo ammettere di non esserne rimasto particolarmente colpito. Anzi, il mio timore è che fosse un tentativo contorto di incorporare un grado di sfida artificioso in un gioco che tutti noi abbiamo apprezzato proprio per la sua lineare comprensibilità visiva; invece, contro ogni aspettativa, Yu è riuscito ad integrare con estrema naturalezza questo nuovo elemento nel gameplay di Spelunky 2 senza intaccare minimamente il resto e, anzi, riuscendo con successo a stimolare in me il desiderio di scoprire quanto più possibile delle spelonche in cui mi aggiro anche a costo di mettere a repentaglio quanto sono riuscito a guadagnare fino a quel momento. Di fatto, si tratta anche di una perfetta metafora dello stile autoriale dello sviluppatore, che punta a sovrapporre fattori di design differenti trovando poi il modo di amalgamarli con cura e senza che contrastino fra di loro.
Salutarsi non è stato facile
Parlando di facce note che fanno la loro comparsa anche nel seguito, non posso evitare di menzionare il negoziante, sempre pronto a rimpinguare le nostre scorte e venderci attrezzatura supplementare di ogni tipo dietro opportuno compenso, oppure di abbatterci sul posto qualora tentassimo di arraffare qualcosa senza pagarla. Per fortuna, in Spelunky 2 non rischiamo più di farci uccidere per errore qualora il buon PNG venga attaccato da uno dei mostri erranti del livello, dunque i più smaliziati potrebbero sfruttare questa peculiarità a proprio vantaggio scatenando il caos nella piccola bottega, ma è possibile che il barbuto venditore non compaia affatto nei livelli: al suo posto potremmo trovare una donzella che vende biglietti per affrontare una stanza speciale ricolma di trappole e denaro, oppure un bel trichecone vestito da donna che ci inviterà a giocare a dadi, mettendo in palio un succulento premio altresì inaccessibile. Per la cronaca, il pinnipede travestito aveva già fatto la sua comparsa nel primissimo Spelunky (non la versione HD), nel quale ci accoglieva al termine dei livelli custom in guisa di “premio” finale, quando questi ultimi non erano collegati a nessun altro quadro in sequenza. Parlando sempre di novità, sono state introdotte alcune creature che non risultano completamente ostili nei nostri confronti, perlomeno non del tutto, e che possono tornare estremamente utili sotto diversi punti di vista una volta domate: tacchini, cani di roccia e persino axolotl giganti sono abitanti delle profondità che siamo in grado di cavalcare saltando semplicemente sulle loro groppe, e resistendo per una manciata di secondi alla conseguente “recalcitranza” che ci auguriamo non si trasformi in un doppio, avventato suicidio. Avrete ormai capito che questa serie non fa per voi se non siete disposti a rischiare. Una volta domati, questi insoliti animaletti si rivelano dei preziosi alleati grazie alle capacità speciali di cui dispongono, oltre a fornirci l’opportunità di completare alcune sub-quest specifiche come quella dell’allevatore di tacchini, che ci regalerà una chiave dorata se gli riporteremo due gallinacei dispersi per il quadro: chiaramente, se finissimo per ucciderne uno davanti ai suoi occhi, sarebbe lui a darci la caccia per esigere vendetta, ma come dargli torto?
Con il prosieguo del gioco, le sottili differenze tra Spelunky 2 e il suo predecessore si fanno sempre più marcate: alla fine del primo set di livelli, ad esempio, potremo dirigerci verso due uscite che conducono, rispettivamente, nel cuore di una ben nota giungla oppure fra una serie di cunicoli attraversati da fiumi di lava, e ci ritroveremo ad affrontare un pericolosissimo boss che ha funestato i ricordi di quanti hanno giocato l’originale, qui però ridotto ad una banale macchietta. Per tutta la durata dell’avventura, Yu continuerà a mescolare le nostre (poche) certezze, divertendosi a demolirle ogni volta finché non dimenticheremo quanto appreso e inizieremo a progredire secondo le nuove regole. Lo stile grafico di questo sequel è stato attaccato a più riprese per la sua eccessiva sobrietà rispetto al tripudio di minuzie e particolari che caratterizzavano Spelunky, ma lo sviluppatore ha giustificato questa sua scelta per dare modo agli aspiranti esploratori di scandagliare meglio terreno e pareti e riconoscere a colpo d’occhio le sezioni più pericolose degli scenari. Del resto, anche Spelunky HD era stato criticato all’epoca per aver abbandonato la pixel art della versione freeware, perciò ritengo che anche questo ridimensionamento estetico finirà per essere compreso ed accettato da tutti. Le uniche lacune che mi sento di poter condividere iniziano dalla relativa pochezza della colonna sonora: benché costituita da brani decisamente orecchiabili, sembra che vi sia soltanto una singola traccia per area, laddove in passato l’ottimo Eirik Suhrke aveva composto più musiche per ciascun livello che si davano il cambio ad ogni transizione, violenta o meno che fosse. In un titolo nel quale la morte si cela dietro ogni angolo e ci costringe a ricominciare spesso da capo, un po’ più di varietà acustica non avrebbe guastato. A seguire, la presenza del multiplayer cooperativo in locale è un’appendice oltremodo gradita, ma la componente online è abbastanza essenziale e non offre opzioni competitive per gli esploratori più agguerriti (a parte una modalità arena piuttosto basilare), perciò al momento dobbiamo accontentarci di condividere il piacere della scoperta con altri amici da divano, virtuale o fisico che sia.
Spelunky 2 è un prodotto davvero arduo da completare, non tanto per la difficoltà delle sue componenti quanto perché risulta quasi impossibile da portare a termine senza perdersi nelle miriadi di varianti dei suoi schemi, e la tentazione di esplorare porzioni nascoste o mettere le mani su oggetti sconosciuti mettendo a repentaglio i nostri progressi è sempre elevatissima. Così come accaduto con l’originale, Derek ha tutta l’intenzione di continuare ad aggiungere, modellare e ritoccare tutti gli elementi di questo sequel, e dunque anche questa sua opera è destinata a rimanere splendida ma incompleta per molto, moltissimo tempo: badate bene, non si tratta di un difetto o, meglio, se tale volete considerarlo è una mancanza che infonde una personalità impagabile al titolo, e che gli garantisce un perpetuo afflusso di miglioramenti negli anni a venire. Forse un giorno riuscirete a concludere le peripezie di Anna ed a farle riabbracciare i genitori dispersi sulla Luna, ma sarà davvero quella la conclusione della vostra esperienza con Spelunky 2? Per quanto mi riguarda, e posso garantirvelo, non potrà essere che l’inizio: il secondo capitolo delle avventure sotterranee firmate Derek Yu non è migliore o peggiore dell’originale, bensì è un modo inedito di rielaborare la sensazionale esperienza vissuta con il capostipite e viverla da capo con la medesima, epocale, impagabile sensazione di scoprire tutto, di nuovo, per la prima volta.