Call of the Sea Recensione: omnia vincit amor…o forse no?

Call of the Sea

Tutti i grandi puzzle game non consistono solo in molti piccoli rompicapo da risolvere lungo il percorso, ma in un enigma generale da districare durante il viaggio. Ti portano in un luogo misterioso pieno di intrighi, un luogo in cui alla fine del tuo percorso hai scoperto tutti (o quasi) i segreti che conteneva. La splendida ambientazione dell’isola di Call of the Sea, dello studio di sviluppo Out of the Blue e prodotto da Raw Fury, fa esattamente questo conducendoci attraverso ciascuna delle sue aree piene di enigmi, e rivelando gradualmente le risposte ad una storia avvincente e piena fino all’orlo di bellezza e oscurità. È chiaro fin dall’inizio di questa avventura in prima persona, divisa in sei capitoli e della durata di circa 5/6 ore, che l’ispirazione arriva da moltissime fonti diverse che però si armonizzano alla perfezione. Non è possibile non notare tinte che rimandano a Lovecraft e ai romanzi del XIX secolo di Jules Verne e H. G. Wells, nell’ambientazione dell’isola misteriosa e le scoperte storiche di un’antica ma futuristica civiltà, piena di trappole e meccanismi, mi ha ricordato anche Indiana Jones. Invece per come è mostrata la vita sottomarina e “aliena” somiglia molto da vicino ai più moderni film come Avatar di James Cameron e La Forma dell’Acqua di Guillermo Del Toro. In particolare con quest’ultimo Call of the Sea sembra condividere i temi principali quali romanticismo, fantasia e ovviamente l’acqua. La grande domanda che ci si pone durante tutto il gioco è: cosa siamo disposti a fare per le persone che amiamo?

Call of the Sea

Call of the Sea: alla Ricerca del Marito Perduto

La protagonista di cui vestiamo i panni è Norah, una donna che soffre di una misteriosa malattia comparsa inspiegabilmente dopo la morte di sua nonna, la cui cura è la ragione per cui suo marito Harry si è avventurato nel Pacifico meridionale. La storia è ambientata su una misteriosa isola polinesiana nel 1934, e vediamo Norah iniziare un viaggio sia fisico che interiore alla ricerca di suo marito e di se stessa. È doppiata sapientemente da Cissy Jones (Firewatch e The Walking Dead) che porta la storia sulle spalle per quasi tutto il suo tempo, con il supporto occasionale di Yuri Lowenthal (Marvel’s Spider-Man) nel ruolo di Harry. Call of the Sea ha una storia personale da raccontare con una buona dose di mistero. È scritto molto bene nel complesso e racconta in modo conciso la sua storia attraverso dialoghi interni, lettere e murales senza mai diventare confuso o noioso. Durante questi monologhi interni, tuttavia, parte della scrittura non regge. A volte sembra innaturale, con l’ovvio affermato in più di un’occasione, e sebbene comunque non distragga dal godere la storia nel suo insieme, a volte ha lasciato poco spazio all’interpretazione o alla vera scoperta, e ciò che sarebbe potuto essere un allettante mistero risultava talvolta solo una lunga esposizione. Inoltre abbiamo notato la mancanza di plot twist mid-game, frequenti nei più moderni narrativi, ma comprendiamo che avrebbero comportato un diverso livello di composizione e, per una durata di gioco così limitata, la scelta è senza dubbio ponderata. Tuttavia il gioco presenta finali differenziati, che mettono il giocatore di fronte a bivi morali. Non spoileriamo nulla, ma siamo rimasti piacevolmente sorpresi.

Call of the Sea

FHALGOF’N’

Tuttavia Call of the Sea non è un romanzo ma un puzzle game a tutti gli effetti, e il suo gameplay è sia saldamente radicato allo stile classico, come la serie Myst, ma contiene anche moltissimi richiami alle più moderne Escape Room, malgrado manchi la classica figura del master, o suggerimenti se parliamo di puzzle games, che possono aiutare a procedere nel gioco qualora ci ritrovassimo arenati. Ogni capitolo tende ad avere un grande enigma da risolvere per passare all’area successiva, ed è circondato da numerosi problemi minori da risolvere per trovare la soluzione principale. Iniziano in modo abbastanza semplice, ma aumentano la complessità man mano che ci si sposta sempre più in profondità verso il cuore dell’isola. Alcuni enigmi condividono meccanismi simili, che si tratti di tradurre simboli o premere una serie di pulsanti disparati in un ordine corretto, ma nessuno è identico.

C’è un senso di progressione di difficoltà che va di pari passo con la storia, mai troppo semplici da non farci sentire sfidati e nemmeno troppo difficili da farci sentire ottusi e decidere di abbandonare il gioco. La caratteristica più utile è il taccuino di Norah, infatti lei annoterà solo indizi reali e lascerà uno spazio vuoto per indicare se ne manca qualcuno. Sebbene alcuni enigmi siano difficili da districare, il giocatore non viene mai lasciato a strapparsi i capelli cercando di decidere se la fotografia di un uccello è la chiave di tutto. Se non è nel taccuino di Norah significa che non è importante. Di contro il taccuino è pensato troppo a compartimenti stagni, in tutta l’esperienza di gioco non è mai capitato di dover andare a riprendere un indizio trovato nei capitoli precedenti che fosse necessario per proseguire. La mancanza di un inventario con gli oggetti raccolti è certamente una scelta, ma forse i classici enigmi in cui è necessario unire più componenti per creare un nuovo oggetto avrebbe aggiunto facilmente ulteriori enigmi e permesso una durata maggiore del gioco.

Lo sviluppatore Out of the Blue è riuscito in maniera magistrale a bilanciare trama ed enigmi, portando costantemente nuove sorprendenti meccaniche e modi per muoversi all’interno dell’isola. Ogni nuova serie di puzzle porta ad una nuova serie di indizi da trovare sia sulla terraferma che, occasionalmente, sott’acqua. Inoltre lo spettacolo visivo di alcuni degli enigmi più grandi ha un impatto davvero notevole, e questo non fa che aumentare il desiderio di andare avanti. L’isola poi offre dei paesaggi meravigliosi da ammirare, ogni bioma ospita le sue delizie, che si tratti dei toni tropicali di una radura piena di canti di uccelli o dei duri frangenti delle onde contro i fulmini che contornano poeticamente un naufragio. Non ci sono due aree che si presentano allo stesso modo, e in effetti non tutte appartengono al nostro mondo, ma attirano tutte l’attenzione a modo loro. L’aspetto classico dei poster e delle fotografie degli anni ’30 è infuso nello stile artistico e consente ai colori di esplodere dallo schermo. Questo scenario paradisiaco consente agli elementi architettonici e artistici più inquietanti e insoliti dell’isola di risaltare più di quanto farebbero in un luogo meno naturalmente tranquillo. In sostanza rispecchia perfettamente i temi e la storia di Call of the Sea; un’esperienza ricca di bellezza e meraviglia che nasconde un oscuro mistero che ribolle sotto la sua superficie.

Call of the Sea: toni caldi e note sublimi

Call of the Sea mette in mostra un ambiente vibrante, caldo e stilizzato, forse in alcuni punti troppo stilizzato. Ho avuto la possibilità di giocare sia su Xbox One che su Series X, e con la vecchia generazione ho riscontrato una stilizzazione fastidiosa degli sfondi che in alcuni casi mi hanno fatto pensare ad un bug. Con la Series X non ho riscontrato lo stesso problema ma la stilizzazione non sempre sembrava essere una scelta di stile quanto il desiderio di produrre in fretta contenuti. Nel complesso però il risultato è comunque buono, con antiche rovine polinesiane, boschi rigogliosi pieni di vita, strutture sotterranee e congegni che apparentemente sfidano le leggi della fisica. Sembra tutto accuratamente ricercato, proprio come ci si aspetterebbe da un’avventura romantica su un’isola ambientata negli anni ’30.  Purtroppo però l’interazione con ambiente e oggetti che ci circondano è limitata unicamente a quelli pensati dagli sviluppatori, e avrei gradito maggiore interattività.

Call of the SeaIl sound design invece è solido. L’isola risulta viva e dinamica, autonoma rispetto alla presenza di Norah ma che grazie a lei si sveglia e regala piccoli momenti di magia. Cissy Jones offre una performance affascinante, dando alla protagonista la voce e l’accento perfetti. Nonostante abbia un ruolo significativamente più piccolo, Yuri Lowenthal offre comunque una performance acuta e memorabile nei panni di Harry. Tuttavia, è il lavoro del compositore Eduardo de la Iglesia con la colonna sonora a risultare davvero speciale. Un punto culminante è stato il leitmotiv centrale che rappresenta il viaggio di Norah. Si possono ascoltare costantemente frammenti di queste cinque note deliziose durante tutto viaggio, che variano nel tono e nell’umore dal presagio al trionfante, dal triste al malizioso. La colonna sonora rende davvero alcune sequenze memorabili e ne abbiamo adorato ogni secondo.

In conclusione il gioco di debutto dello sviluppatore Out of the Blue è pienamente riuscito, un magnifico omaggio ai film e ai giochi che lo hanno ispirato. Attraverso coinvolgenti enigmi in stile Myst e una storia accattivante, Call of the Sea trionfa nel portare in vita la sua isola, insieme ai personaggi che l’hanno esplorata. Offre un’esperienza di breve durata e, malgrado la mancanza di plot twist mid-game e suggerimenti, risulta avvincente attraverso una splendida direzione artistica, un eccellente cast vocale e una colonna sonora meravigliosa, e a parte qualche piccolo difetto del reparto grafico il risultato complessivo è molto buono.

La passione per la scrittura e il fantasy nascono prestissimo, ma l’incontro con i videogiochi arriva di soppiatto a casa dei compagni di scuola con Mario Kart, Age of Empires e The Sims. La sua formazione è prevalentemente letteraria ma l’incontro fortuito con Marco Accordi Rickards al Vigamus le ha permesso finalmente di ritrovare il suo lato giocoso e di divertirsi lavorando.