L’horror o il survival horror nei videogiochi ha fatto parecchia strada durante il tempo. Sebbene non sia mai stato all’altezza del genere platform in quanto a vendite raggiunte e a fascino per il pubblico, c’è sicuramente qualcosa che solo questo tipo di esperienza può trasmettere. Qui la sfida non è concludere il livello prendendo tutti gli anelli di Sonic o arrivando alla fine nel minor tempo possibile; non si tratta nemmeno di sconfiggere i nemici e di arrivare al punteggio più alto. Qui si tratta di scappare, rinchiudersi in un armadio, trattenere il respiro e pregare che lo scricchiolio del parquet sia dovuto solo da un topolino troppo vivace, non da un mostro che ci sta inseguendo. Nell’horror non siamo noi ad avere il potere, il controllo, non ci sentiamo invincibili come con Mario che mangia il fiore e spara sfere infuocate. Siamo solo noi, esseri umani, spesso senza nemmeno un’arma. Siamo alla ricerca di una via d’uscita mentre un pazzo, un fantasma o un’entità astratta sta cercando di ucciderci. È una sensazione primordiale intrinseca nel nostro inconscio. Si tratta della paura e della nostra risposta che ne scaturisce: l’istinto di sopravvivenza. Ma allora perché giochiamo agli horror? Perché esistono? E soprattutto perché aspettiamo con ansia il nuovo The Medium (qui la nostra anteprima del gioco).
Questa domanda andrebbe fatta anche a quei simpaticoni che si sedettero nel lussuoso salotto del padrone di casa e inventarono storie del terrore tanto per passare il tempo. Stiamo parlando di Fantasmagoriana e dei suoi mostri. A quanto pare siamo attratti dalla paura, o almeno dalle sensazioni inesplicabili che ci fa provare. Ci sentiamo vivi quando veniamo spaventati e l’idea di guardarci dietro le spalle in un corridoio buio è dovuta dal nostro istinto di sopravvivenza che ci dice di stare attenti… ma anche da qualcos’altro: dal divertimento che ne possiamo trarre. Non si tratta di sadismo o masochismo, no. Si tratta di adrenalina. E quale miglior momento se non questo per parlare di qualche buon vecchio gioco horror? Stiamo tutti aspettando l’arrivo di The Medium, quindi ci sembrava opportuno parlarvi un po’ dei suoi predecessori. In particolare oggi vorremmo soffermarci sulle feature che hanno reso indimenticabili alcuni titoli e che ci hanno permesso di provare quel brivido lungo la schiena che noi, amanti degli horror, di rado riusciamo più a provare.
Prima di iniziare con la lista, è doveroso parlare un po’ anche delle innovazioni che il prossimo progetto di Bloober Team ci farà conoscere dal 28 gennaio. Stiamo parlando della Dual Art. È stato pubblicato un video del “dietro le quinte”, dove alcuni sviluppatori hanno raccontato da cosa hanno preso spunto per arrivare al risultato finale di The Medium. Se ancora non avete visto il gameplay di 14 minuti, vi consigliamo vivamente di dargli un’occhiata. Intanto noi parliamo un po’ delle meccaniche di gioco che a breve potremo provare. La prima cosa che salta all’occhio è il ritorno di un caro vecchio amico. Se nei film, scegliere un’opzione del genere significava impedire al regista di dare maggiore spessore alla pellicola, nei videogiochi la telecamera fissa ha sempre creato una sorta di amore e odio. Ma perché? Semplice, a nessuno piace non avere il controllo della situazione e credeteci quando diciamo che è frustrante non sapere cosa c’è dopo quel corridoio, o quella porta, o qualsiasi cosa. Sebbene questa scelta fosse stata presa per vari motivi, l’idea dietro la telecamera fissa è stata scartata dopo Resident Evil 3 e raramente usata in altri horror game. Ma la sua potenza si può riscoprire ora con The Medium e… diciamo solo che funziona parecchio bene per essere una feature datata, soprattutto nel contesto in cui viene sfruttata. Inoltre, la telecamera fissa qui non è del tutto bloccata, ma si muove. E spaventa quando lo fa, creando un bell’effetto con l’ambientazione circostante, come se fosse un quadro formato da ombre terrificanti e scorci di luce.
Altra piccola chicca del gameplay di The Medium è questa fantomatica Dual Art. In pratica, essendo dei mediatori tra le due realtà, la nostra e quella spirituale, avremo dei momenti dove sarà necessario sdoppiarci per risolvere degli enigmi in una o nell’altra dimensione. Anche le cutscene sono costruite ad hoc per mostrarci due punti di vista dove, stavolta, la camera punta in differenti direzioni alterando il nostro modo di vedere le cose. Detto questo, è giunto il momento di parlare invece dei titoli scelti da noi di GamesVillage per ripassare un po’ di basi di gameplay. Siete pronti?
The Medium: impossibile non citare Resident Evil
La scelta della telecamera fissa era stata fatta all’epoca per creare suspense e terrore. Un ottimo modo per coprire alcuni angoli ciechi e per far perdere il controllo al giocatore. In questo modo non potevamo più decidere dove andare, ma eravamo obbligati a passare per alcuni punti senza sapere cosa ci avrebbe atteso dopo. Una feature che si è andata a perdere nel tempo, ma che ha spaventato un’intera generazione.
Ma parlare solo della telecamera fissa sarebbe troppo poco. Negli anni la saga di Resident Evil ha proposto ai propri successori e competitor delle solide basi su cui appoggiarsi. Partendo dal salvataggio tramite macchina da scrivere, diventata poi l’emblema della saga insieme al logo dell’Umbrella Corporation. Prendiamo come esempio il terzo capitolo, denominato Nemesis, uscito nel 1999. Già di per sé, l’idea di ambientare un gioco nella stessa linea temporale del proprio predecessore significava avere un vantaggio a livello di familiarizzazione, soprattutto se pensiamo che la protagonista Jill Valentine l’avevamo già incontrata nel primo episodio. Oltre, quindi, a creare questo effetto nostalgia nella mente dei fan, si era optato per un titolo più action dove le munizioni non erano più misere e dove la figura interpretata da Mister X in RE2 era stata modificata e migliorata per servire non solo come stalker, ma come vero e proprio boss di fine livello. C’è anche da aggiungere che gli enigmi erano ancora ben presenti, ma lasciavano parecchio spazio alle fasi più aggressive, dove bisognava scappare e usare qualsiasi tipo di arma per fermare l’avanzata del Nemesis. E, dulcis in fundo, il terzo capitolo della saga permetteva anche di compiere delle scelte che andavano a intaccare il finale.
Dopo questa evoluzione abbiamo avuto la possibilità di testare un’altra feature intrigante che è servita al medium e ai titoli action adventure successivi per prendere spunto: stiamo parlando della cooperazione tra personaggi. In Resident Evil 4 abbiamo finalmente una visuale in terza persona che permette un approccio più dinamico al giocatore. Dovevamo fronteggiare dei contadini di un villaggio infetti, non più degli zombie. Le dinamiche che si andavano a creare necessitavano, da parte nostra, maggiori riflessi nel puntare l’arma e sparare alle orde e parecchio intuito per far collaborare Leon con Ashley. Questo tipo di rapporto si è andato a consolidare nei titoli successivi di casa Capcom permettendo anche a due amici di giocare insieme contemporaneamente.
Silent Hill: è qui che The Medium ha preso ispirazione?
La nebbia di Silent Hill andava messa per forza in questa lista. Anche se ormai tutti sanno che era una scelta obbligatoria a causa della piattaforma su cui girava il gioco, c’è comunque da dire che per l’epoca si è trattato di una rivoluzione per il medium videoludico. Non sapere cosa ci aspetta ad un palmo dal naso crea una sensazione di paura dell’ignoto, ma stimola anche l’immaginazione. Molti titoli hanno sfruttato questo elemento per giocare con la mente dell’utente. Spaventare con della semplice foschia è stato il primo passo per far capire, al pubblico e ai competitor, che non serve creare un mostro inquietante… basta incutere timore partendo dal giocatore stesso e da ciò che lui può pensare.
Parliamo anche delle mattonelle, che ne dite? No, non stiamo scherzando. Se vi metteste a chiedere in giro quale sia il luogo più inquietante, una buona parte delle risposte delle persone risponderebbe: un ospedale, un manicomio, un edificio fatiscente e chi ne ha più ne metta. Questo perché? Una stanza deteriorata, marcia o sporca crea un impatto visivo che porta chiunque a farsi qualche domanda. C’è una campanellina di allarme nella nostra testa che collega le cose fuori posto e malandate all’oscurità, al male e al corrotto. Proprio per questo motivo le mattonelle in Silent Hill compiono un lavoro impeccabile per creare uno stato di malessere in noi. Che sia un bagno, un po’ alla Saw; un corridoio, come vedremo in Outlast; o un semplice pavimento lurido, non ha importanza… basta che ci faccia viaggiare con la mente.
Alien Isolation: non c’è via di scampo!
La feature principale di Alien Isolation è… Alien? Ebbene, non ci voleva un genio per arrivarci. La parte davvero innovativa di questa meccanica è dovuta dal sistema di stalking dell’I.A.. Mettiamo caso che voi stiate passeggiando per i corridoi, “a volte ritornano”, della navicella spaziale. In questo caso non stareste facendo nulla di male, giusto? Sbagliato! Alien sa dove siete, sempre. Proprio come accadeva nel film, in questo titolo sarete sempre accompagnati dall’idea di non essere mai al sicuro. Questo tipo di meccanica funziona divinamente con il mood del gioco e con l’immaginario collettivo che tutti possediamo di Alien. Essendo uno Xenomorfo, questo simpatico NPC, impara dalle nostre mosse e progredisce insieme alla narrazione. Il gameplay che prima si basava su semplici stratagemmi muta insieme all’alieno, dandoci l’impressione che stia migliorando i propri sensi. Qualcosa che si ripercuote sulle nostre azioni e modifica le successive scelte dell’I.A. di Alien.
Fatal Frame: dite cheese!
Un grande feature, anch’essa parecchio interessante e innovativa, è stata sicuramente quella di obbligare i giocatori a battere i fantasmi di Fatal Frame tramite l’utilizzo della macchina fotografica. Solo con il click e lo scatto della fotocamera era possibile andare avanti. Fin qui, nulla di eccezionale, direte voi adesso. Beh, sappiate che non era così facile soprattutto se per farlo bisognava avvicinarsi parecchio al pericolo.
Aspettando The Medium: P.T. non un vero gioco, ma…
Parliamo ancora una volta di un titolo horror dove c’è lo zampino di Hideo Kojima. A differenza di Silent Hill però, P.T. non ha un’intera città per spaventarci, ma solo poche stanze e un semplice corridoio. Cosa c’è di così spaventoso in un corridoio? Aprire una porta e ritrovarsi al punto di partenza, non importa quante volte ci stiate provando è snervante, frustrante e terrificante sotto qualsiasi aspetto. Anche stavolta si parla di impotenza del giocatore e di ciò che delle luci e dei suoni possono creare se studiati ad hoc.
Outlast: videocamere e fughe!
Ebbene, Outlast è uno degli ultimi titoli horror che ha potuto riesumare quello che stava diventando un cadavere polveroso. Il genere stava zoppicando sia nell’ambito videoludico che cinematografico e necessitava di uno svecchiamento. Qui, dove ormai tutto sembrava essere stato ideato, fatto e messo in pratica, si torna alle basi del survival: scappa e nasconditi. Tutto qui? Beh, sì. Ma anche no. Se ci pensate bene l’idea di correre tra i corridoi di un manicomio con nessuna fonte di illuminazione e qualche pazzo che ci rincorre, farebbe già spaventare una buona fetta di audience. Purtroppo non sarebbe stato abbastanza inquietante per le nuove generazioni, proprio per questo motivo si è optato anche per un altro fattore: la videocamera. Unico oggetto a darci l’idea di controllo. Una fonte di luce in mezzo all’oscurità che però si scarica e quindi va preservata. Come? Facendoci venire un infarto quando non la usiamo, sperando di riuscire ad arrivare al prossimo checkpoint senza consumare troppo le batterie.
Forbidden Siren: nella testa dei mostri
Forse, il survival-horror con la meccanica più suggestiva e intrigante l’abbiamo trovato in Forbidden Siren. La serie di Sony e Project Siren ci mette nei panni di un gruppo di sopravvissuti, cui scopo è quello di scappare da alcuni mostri simil-zombie, ma chiamati Shibito. Questi mostri sono molto pericolosi, perché oltre ad attaccare in gruppo sono dei veri e propri stalker, hanno un’intelligenza superiore e alcuni di loro sono anche degli abili cecchini. Gli umani però, tramite una speciale abilità, possono entrare nella loro testa e vedere tramite gli occhi dei mostri (oltre che a quelli degli alleati). Questa feature permette di capire sia dove si trovino in quel momento gli Shibito, sia capire cosa stiano guardando in quel preciso istante. Una meccanica davvero interessante e mai vista in un horror. Ah, nel secondo capitolo è possibile vedere anche attraverso gli occhi degli animali!
Bioshock è il nostro jolly!
La lista, se volessimo, sarebbe infinita. Ma noi non abbiamo tutto il tempo del mondo per parlarne e nemmeno voi per ascoltarci. Quindi, siamo arrivati all’ultimo punto: Bioshock. A differenza degli altri titoli è forse quello più action, ma non per questo non può essere classificato come horror. Le ombre dei cittadini di Rapture, i suoni dell’acqua che gocciola, le flebili luci dei lampadari che vanno e vengono: qui tutto fa atmosfera, e quindi paura. Cosa c’è di innovativo? Una scena in particolare è stata riproposta nei suoi successivi, e che a mio modesto parere funziona perfettamente. È l’unico jumpscare che andrebbe studiato perché funziona, spaventa e sopratutto non te lo aspetti: la scena del dentista.
Siete arrivati nella stanza dove questo pazzo operava le sue vittime; prima sentite delle voci nella vostra testa, poi notate un orsacchiotto poggiato contro il muro; vi avvicinate recuperate gli oggetti sulla scrivania. Non c’è nessuno stacco, nessun motivo per il quale potreste aspettarvi lo jumpscare successivo, per questo funziona così bene. Come se lo stesso dentista vi stesse facendo l’anestesia, inizia ad uscire del fumo dai lati della vostra visuale; non capite cosa stia accadendo e quindi vi voltate, da soli. Non c’è qualcuno che vi obbliga, ma dovete farlo per andare avanti. Quindi vi girate e proprio in quel momento vi accorgete che questo maniaco è dietro di voi, pronto ad uccidervi. Un ottimo metodo per spaventare il pubblico facendo ricordare che non ha il controllo e che, persino quando pensa di averlo, lo sviluppatore può tranquillamente toglierlo da sotto il suo naso senza che se ne accorga.
Quindi, che cosa abbiamo imparato oggi? Che l’horror ha solide basi anche nel medium videoludico? Che non serve grafica eccezionale e jumpscare telefonati per spaventare davvero? Che basta avere intuito per giocare con la mente degli spettatori facendo riaffiorare i loro peggiori incubi? Sì, abbiamo imparato questo, ma anche qualcos’altro. Sebbene sia vera la frase “è già stato tutto provato, testato e messo in pratica” non significa che non si può attingere dal passato e prendere spunto. Non è plagio, ma semplice “istinto di sopravvivenza” dettato dal nostro inconscio. Chi meglio di noi stessi sa cosa fa paura e come trasmettere le nostre inquietudini ad altri? Esatto, nessuno. Proprio per questo motivo siamo davvero speranzosi per The Medium e per l’effetto che avrà sul futuro degli horror game. Non ci resta che attendere il 28 gennaio e vedere come l’impatto che avrà sul mercato modificherà il nostro immaginario, rafforzando sempre di più un genere che non muore mai.