L’Attacco dei Giganti 4×05 Recensione: Brividi

L'Attacco dei Giganti

L’Attacco dei Giganti è una serie che mi ha sempre appassionato, sin dalla prima volta che l’ho vista. Intrigante come un thriller, spaventosa come un horror, intensa come solo le grandi opere sanno essere, con una violenza sempre sapientemente dosata, mai troppa o gratuita, ma nemmeno mai troppo poca. Nonostante sia sempre stata una grande serie però, nessun episodio era mai riuscito a farmi passare i brividi lungo la schiena per tutti i venti e passa minuti della sua durata. Finora almeno.

Ammetto che forse, almeno in parte, il merito è dell’attesa. Dopo i quattro episodi dello scorso dicembre, non è stato facile accettare la pausa che studio MAPPA ha voluto imporre per il Capodanno, soprattutto perché arrivava alle soglie di un episodio che sarebbe sicuramente stato di svolta, non fosse altro per come si era concluso il quarto. Ma l’attesa da sola non basta a giustificare le sensazioni che questo quinto e, ammettiamolo subito, senza troppi giri di parole, magistrale episodio ha saputo trasmettere.

E proprio per questo, recensire un episodio del genere, provarci senza eccessivi spoiler, è tutto tranne che semplice. Per questo motivo, oltre che per il fatto che si tratta, obiettivamente, di uno degli episodi più singolarmente belli e intensi dell’intera serie (comprese anche le prime tre stagioni, sì), che ho avuto bisogno di rivederlo due volte, di metterlo in pausa, per mettere insieme le idee. Per capire persino io che cosa ne pensassi davvero, al di là dell’emozione, dell’hype e delle sensazioni del momento. Non è stato facile. Perché una cosa di questo episodio rimane, anche ora: i brividi.

L’Attacco dei Giganti: dentro una cantina

L'Attacco dei Giganti

Il quinto episodio della quarta stagione de L’Attacco dei Giganti (disponibile, come tutti gli altri, in simuldub su VVVVID) è giocato su dualismi insanabili e su inspiegabili somiglianze. Questo basilare concetto di due elementi talmente distanti e antitetici tra di loro da essere diventati simili si riflette sulla struttura stessa dell’episodio, che è diviso su due piani: da una parte c’è la superficie, il palco, lì dove Willy Tybur sta facendo il suo discorso, raccontando la sua verità, incantando i suoi spettatori, dall’altra la cantina sotterranea, spartana e piena di oggetti affastellati, dove ci sono soltanto Eren e Reiner, con Falco che li guarda defilato, interdetto, spaventato. Il gioco a due si ripete anche tra il protagonista della serie e quello che è stato invece il protagonista assoluto di questa prima parte del’ultima stagione.

Mentre sul piano esterno Willy tiene il suo discorso, riscrivendo le fondamenta stesse del mondo e della realtà, sottoterra Eren e Reiner si fronteggiano, parlando di un passato che li ha resi nemici, eppure tanto simili. Vedere Eren pervaso da una tale calma e apatia, dal vuoto nei suoi occhi fa venire davvero la pelle d’oca. Ha uno sguardo simile, anche se non del tutto, a quello che avevamo visto in Frieda e Uri Reiss. Evidentemente i quattro anni di timeskip gli sono serviti a controllare il potere del Gigante Fondatore. Eppure c’è qualcosa di diverso. Una consapevolezza e una determinazione cieche che gli occhi vacui e lattiginosi degli altri re non avevano. Solo ascoltando il discorso di Willy, fuori dalla cantina, potremo capire di cosa si tratta. Dall’altra parte Reiner passa l’intero episodio con gli occhi bassi e sgranati, preda di ricordi e sensi di colpa laceranti. Questo quinto episodio chiude, in modo ideale, la piccola, intensa parte di questa stagione di cui Reiner è stato lo (stupendo) protagonista assoluto.

Il confronto tra Eren e Reiner è di una intensità e di una maturità disarmante, quanto di più lontano dai precedenti rapporti tra i due nelle prime tre stagioni. Non ci sono grida, non c’è animosità. I due stanno fermi, parlano a voce bassissima, in un chiarimento potente, necessario, che lascia capire quanto, pur essendo diversi, essi siano simili. Gli anni hanno cambiato entrambi. Reiner è ormai lontano da quella fede cieca da Guerriero che lo aveva animato, è un uomo consumato (come avevamo visto nel terzo episodio). Eren a sua volta è mutato, si è trasformato in quello che era Reiner prima di lui. Ha capito profondamente il suo nemico, la sua umanità, ha incontrato persone da rispettare, come Falco. Ma non è disposto a fermarsi. Lo dice lui stesso, alzandosi per la prima volta dalla sedia dall’inizio del dialogo, saldo su entrambe le sue gambe. “Io… sono come te!

Ridisegnare la storia

L'Attacco dei Giganti

Mentre il dualismo (che è molto più simile a un’unità) tra Eren e Reiner si svolge, drammaticamente, nel sottosuolo, in superficie Willy Tybur sta cambiando la fisionomia stessa del mondo de L’Attacco dei Giganti. Riplasmare in modo radicale la storia di Marley e di Eldia, rendere pubblici, raccontare i ricordi del Gigante Martello, significa dare al mondo, a Marley e a tutte le altre nazioni, un aspetto completamente nuovo. Svelare che non è stato Helos, né la famiglia Tybur, né i marleyani a mettere fine alla guerra, ma che è stata la gentile concessione e il desiderio di pace di Karl Fritz è qualcosa che ribalta completamente il modo stesso di pensare alla propria identità, non solo di Marley, ma di tutti.

Per un secolo il “re delle mura” era stato visto come il capo dei demoni, il più disprezzabile, il più odiato, il più sanguinario di quei maledetti eldiani. E invece, all’improvviso, tutti scoprono che era stato soltanto il desiderio di quello stesso re di “fare ammenda”, sentendosi colpevole per le stragi, per il sangue versato, per le morti terribili che il potere maledetto dei Giganti aveva causato a garantire la pace. Che quel demone non era un demone. L’unica richiesta del re era stata quella di lasciare che costruisse la sua utopia, il suo Paradiso. Eppure Marley era venuta meno persino a quest’ultima richiesta: alla disperata ricerca di un modo per continuare a primeggiare a livello militare su tutti i suoi oppositori, la nazione aveva attaccato le Mura, attaccato Paradis, cercando di riportare indietro il Gigante Fondatore, cercando di cancellare quell’utopia. Nessuno lo dice, nessuno lo insinua, ma i marleyani avevano semplicemente intenzione di agire come avevano fatto i “demoni” eldiani.

Ma qualcuno li aveva preceduti. Grisha Jaeger aveva rubato il Fondatore, e l’aveva passato al figlio Eren. E ora dunque chi è il vero cattivo? Chi ha tradito la volontà di pace di Karl Fritz? Come verrà usato il potere di distruggere l’intero mondo?

Sembra facile farsi convincere dalla bella retorica di Willy, lasciando che le parole scorrano libere. Sembra quasi che il rappresentante della famiglia Tybur stia gettando le fondamenta di un mondo nuovo, un mondo in cui le differenze insopportabili che stanno devastando e lacerando le nazioni possano essere alleggerite, se non proprio annullate. Un mondo dove gli eldiani siano trattati come persone. Un mondo dove, forse, si potrebbe pensare persino a una pace coi demoni di Paradis. Eppure l’esito è completamente diverso. Proprio come Eren, pur riconoscendo la fondamentale umanità, la somiglianza, tra lui e i suoi nemici, anche Willy Tybur arriva a un’unica e sola conclusione. Entrambi scelgono la strada dell’annullamento totale. La comprensione reciproca, la conoscenza, non porta alla pace. La dichiarazione di guerra si compie nello stesso istante, chiudendo il cerchio di questi episodi introduttivi, e proiettandoci già nel più sanguinoso e risolutivo dei conflitti.

L’inizio

L'Attacco dei Giganti

L’ultimo piano di dualità sul quale questo quinto episodio de L’Attacco dei Giganti è giocato, è quello che riguarda i momenti di staticità e quelli di movimento. Per la maggior parte del tempo i protagonisti in scena stanno fermi. Così Eren e Reiner, seduti nel loro chiarimento, così Willy Tybur, immobile di fronte ai suoi spettatori. Non è difficile, per uno studio d’animazione del livello di MAPPA, gestire un episodio del genere, che infatti è praticamente magistrale, con una regia intensa e precisa che non fa che sottolinearne i momenti di grande forza, rimanendo sempre sospesa al limite della tensione.

Il movimento, la seconda parte del dualismo, è tutto concentrato in pochi attimi alla fine dell’episodio. Si tratta però di un dinamismo strano, quasi che non riesca a staccarsi del tutto dall’immobilità del resto dell’episodio. Lo slow motion che sottolinea ogni istante della metamorfosi di Eren sembra cristallizzare i movimenti, immobilizzare gli istanti, come se il tempo scorresse immerso nella melassa, come se l’aria intorno ai personaggi fosse solida. E proprio per questo è in grado di regalarci una delle immagini più belle e intense della serie finora. Una trasformazione in Gigante di una luminosità e di una potenza mai viste. La più devastante e spaventosa delle dichiarazioni di morte.

Nel continuo gioco in cui tutto è due, ma anche uno solo, questo quinto episodio de L’Attacco dei Giganti è indubbiamente una perla, un pezzo di bravura raro, entusiasmante e coinvolgente. Da brividi.