All’interno degli anime shonen la morte è un concetto strano e spesso evanescente. Tra sfere del Drago, poteri demoniaci, piani alternativi dell’esistenza, immortalità e chi più ne ha più ne metta, sembra quasi che gli autori vogliano accuratamente evitare di lasciar morire i personaggi principali delle loro opere. L’uso è talmente diffuso che in alcuni franchise i fan hanno persino smesso di preoccuparsi delle conseguenze dei combattimenti: in Dragonball Super ad esempio, nessuno batte ciglio mentre Zeno cancella interi universi con lo schiocco delle dita, certi ormai che il solito deus ex machina a forma di drago sia pronto a emergere da sette sfere (come puntualmente succede) per rimettere a posto la situazione. C’è, insomma, una generalizzata desensibilizzazione di fronte alla morte dei personaggi anime. Se c’è un’eccezione a questa regola però, quella è certamente L’Attacco dei Giganti. La serie di Hajime Isayama ha messo in chiaro le cose fin dal suo primissimo episodio, massacrando indiscriminatamente personaggi principali e secondari senza grande riguardo e anzi con una violenza degna del più ispirato George R.R. Martin.
Nel corso degli episodi della serie (con soltanto un paio di vistose eccezioni) la morte è calata come una falce cruenta, mietendo talmente tante vittime da farcene perdere il conto, e in modo sempre irrevocabile, definitivo, assoluto. Nessuna speranza, nessuna incredibile possibilità di cambiare il corso degli eventi tirata fuori dal cilindro. Proprio per questo L’Attacco dei Giganti è un’opera così oscura, e questo ottavo episodio della quarta e ultima stagione lo ha dimostrato ancora una volta, privandoci brutalmente di un personaggio che non ci eravamo mai accorti di amare tanto, finché non ci è stato tolto.
L’Attacco dei Giganti: le buone, sane, vecchie abitudini
L’episodio riprende proprio là dove si era interrotto il settimo, con Eren a fronteggiare Reiner nella sua forma da Gigante Corazzato incompleto. Se sognavamo un rematch degli scontri avvenuti tra i due nelle precedenti stagioni, ci siamo presto dovuti ricredere. Le condizioni di Reiner, era evidente, non avrebbero permesso un lungo combattimento, e l’unico slancio è servito solo a salvare in extremis lo spericolato Porco Galliard. MAPPA è riuscita a rendere in modo eccellente l’incompletezza della trasformazione in Gigante grazie a un disegno del volto nei primi piani molto più simile a quello di Reiner che a quello classico del Corazzato, come se si trattasse di una sorta di forma ibrida e stanca. Anche Eren però è allo stremo e viene infine portato via da Mikasa, sul dirigibile. Soltanto qui il protagonista rivede Armin, nel cui sguardo c’è tutto il dolore di almeno un miliardo di parole non dette. Soprattutto però, Eren rivede il capitano Levi, e con lui nelle vicinanze la punizione per l’insubordinazione non poteva che essere una soltanto: un principio di pestaggio che ai fan più accaniti avrà sicuramente riportato alla mente, per un fugace istante, quello ben più violento e sonoro della prima stagione. Lo stesso Levi lo nota in modo sarcastico. Ma stavolta non sono (o almeno non dovrebbero essere) le botte a fare male, ma il disprezzo percepibile nelle parole del mentore deluso. Eren però non sembra più in grado di provare niente.
Mentre il Corpo di Ricerca comincia a ritirarsi, l’attenzione si sposta di nuovo su Gabi e Falco. Ciò che i due ragazzini hanno vissuto nella notte di Liberio è un’esperienza devastante e terribile, che mette fine alla loro infanzia in modo brutale. Si potrebbe obiettare che i due sono, in pratica, dei bambini soldato, che sono già scesi in battaglia nella guerra contro gli Alleati Mediorientali che aveva aperto questa quarta stagione dell’anime. Eppure, nonostante questo, c’è qualcosa di diverso in tutta questa esperienza. Perché tutte le paure e gli orrori della guerra Gabi e Falco sembrano averle vissute quasi come filtrate, come se fosse un gioco in realtà virtuale. Nessuno di loro si era ferito seriamente, nessuno era rimasto ucciso. L’attacco di Eren invece ha portato via ogni cosa. Zofia e Udo sono morti, e tutto il loro mondo sembra essere imploso. I due però comprendono e metabolizzano la situazione in modo diverso: Gabi sente il bisogno di una vendetta, scatta in un modo che ricorda completamente il primo Eren, tanto che quel suo grido “Ucciderò tutti i demoni dell’isola!” sembra quasi identico a quel famoso “Ucciderò tutti i Giganti!“. Falco invece ha avuto modo di ascoltare le parole di Eren e Reiner, e di capirle, di interiorizzarle. “Io sono come te” aveva detto il Gigante d’Assalto al Gigante Corazzato, e intendeva ben più che “un infiltrato come te”. Falco lo ha perfettamente capito, e anche in un momento così drammatico, anche nella perdita personale, il suo pensiero non è di vendetta, ma di empatia. “Questo è successo anche a loro quando li abbiamo attaccati”. Ma, come accade sempre, nel turbine potente e inarrestabile dei sentimenti umani, la ragionevolezza e l’empatia cedono sempre il passo alla furia.
Dalla gioia alla rovina
Le scene che si svolgono sul dirigibile sono l’esatto contraltare di quelle che avevamo già visto nel secondo episodio, sul treno di mezzanotte che riportava l’esercito marleyano a casa. La gioia di alcuni soldati, guidati da un Floch che ha assunto toni propagandistici e messianici adatti a un regime totalitario, si mescola ai sentimenti amari di Jean, Connie e Sasha, che condividono quello che, fino a ora, è uno dei momenti più belli, intensi e ricchi di sentimento nell’intera stagione. Nell’abbraccio e nel sussurro di Connie, nel sorriso appena accennato di Sasha che gli sfiora la mano, nella risposta burbera di Jean c’è il calore di un’amicizia vera, potente e bellissima. Un legame che rispecchia molto quello tra Eren, Mikasa e Armin nelle prime stagioni, ma ancora più umano, semplice e vero. Una scena che scalda il cuore, che lo lascia schiudere in attesa della coltellata.
Perché dopo il momento più alto, quasi lirico, dell’episodio, non può che arrivare quello più oscuro. Gabi e Falco che riescono a salire sul dirigibile, il fucile che ruggisce il suo colpo in un silenzio irreale, la macchia insanguinata che compare, improvvisa e inattesa sul petto di Sasha. MAPPA ha gestito con una precisione assoluta i momenti di silenzio in questa scena shockante, persino la reazine di Gabi è immensamente realistica, con quell’attimo di sbigottimento per il colpo andato a segno, prima di riuscire a ricaricare e a tentare un nuovo sparo. Appare subito chiaro che Sasha non ha speranze. La sua voce è un sussurro, le parole sfumano nel delirio. I tentativi disperati di Connie per salvarla sembrano da subito fallimentari.
Hajime Isayama non è mai stato gentile con i suoi protagonisti, e da sempre li ha eliminati senza remore, basti pensare a Marco. Eppure la morte di Sasha è qualcosa di più, sembra portare con sé conseguenze più complesse di quanto potessimo immaginare. Perché non è casuale che Gabi abbia colpito proprio lei, il personaggio più ingenuo, magari un po’ macchiettistico con quel suo amore smodato per il cibo, a suo modo quella che manteneva “innocenti” gli eldiani. Di nuvo, è la morte dell’innocenza, davvero e in modo assoluto stavolta. La morte di Sasha è l’ultimo freno inibitore che viene fatto saltare: oltre di lei c’è solo la distruzione.
L’anticamera della follia
L’ultima parte dell’episodio è densa di rivelazioni. Attraverso gli occhi di Gabi e Falco entriamo nella sala dove Eren è stato legato, alla presenza di Mikasa, Armin e Levi. Con loro però c’è anche Zeke, il Gigante Bestia, e l’enormità del piano, l’enormità del tradimento viene alla luce. Tutte le illusioni crollano, tutte le parole di facciata cadono di fronte all’unica immutabile realtà che Zeke Jaeger stia cospirando col nemico, le certezze dei due giovani guerrieri crollano, noi loro occhi si nota lo sgomento, il frantumarsi repentino della fiducia.
Ma le rivelazioni non bastano a coprire il dramma. Sembra così impossibile che nella stanza non abbiano ancora capito cosa sia successo a Sasha, sembra impossibile che dopo le parole di Jean qualcuno sia ancora lì a pensare a guerra e tradimenti. Lo spettro di ciò che sta accadendo nella stanza accanto aleggia nella testa dello spettatore e del fedele fan de L’Attacco dei Giganti. L’ingresso di Connie cambia improvvisamente questo stato di cose. La singola lacrima che solca il viso dell’uomo è emblematica, le sue poche, laconiche parole fanno scattare un interruttore. La rivelazione non conta niente, a Zeke che lavora con Eren e con il Corpo di Ricerca si potrà pensare dopo. L’unica cosa che conta è la morte, una morte definitiva, totale, assoluta e irrevocabile come ci ha abituati Isayama. Una morte che va pianta con tutta la rabbia e la disperazione come fanno Armin e Mikasa. Una morte che smuove persino l’apatia vuota di Eren, che lo spinge ancora un passo più in là, nell’anticamera della follia. Perché, esattamente come dice Jean, il peso di questa notte sanguinosa è tutto sulle spalle di Eren. La colpa è soltanto sua.
A livello tecnico MAPPA confeziona quella che è forse la miglior puntata finora sotto tutti gli aspetti, a patire dai disegni realizzati con tratti molto marcati, scuri, a rendere l’effetto chiaroscurale della luce articificiale nel’incavo degli occhi, nell’arcata delle sopracciglia, ai lati del viso. Le animazioni e la regia sono gestite in modo meraviglioso, armonioso e semplicemente perfetto, e allo stesso modo sono integrate con una colonna musicale dai tempi giustissimi. Una puntata che è un piccolo gioiello e che ci lascia con quella triste amarezza della perdita. Una perdita irrecuperabile.