L’Attacco dei Giganti 4×10 Recensione: una lunga vita

L'Attacco dei Giganti

Lo scorso dicembre, quando la quarta e ultima stagione de L’Attacco dei Giganti era iniziata, dopo un’attesa davvero febbrile, ci siamo trovati trascinati quattro anni dopo gil eventi che avevamo visto nel corso delle prime tre stagioni, in compagnia di personaggi mai visti o conosciuti. Un necessario cambiamento di prospettiva, dopo le drammatiche rivelazioni che avevano chiuso la terza stagione. Un cambiamento che doveva servire non solo a presentarci i “villain” (sempre che in quest’anime di villain ce ne siano), ma anche ad aprire un vuoto di conoscenza che doveva essere colmato.

Il cambiamento che abbiamo visto nei personaggi nel corso dei primi nove episodi di quest’ultima stagione sarebbe sembrato inesplicabile se non fossero intervenuti i flashback. Molti sono stati i salti all’indietro, e tutti importanti per capire i cambiamenti, i moti interiori, i turbamenti dei nostri personaggi. Se nel terzo episodio era toccato a Reiner ricordare, riportandoci all’origine di tutta la vicenda, finendo per spiegarci, in modo diretto e terribile, il perché di tanta guerra e violenza, il nono episodio ci ha invece riportato indietro nella vita di Eren e degli eldiani di Paradis, mostrandoci il loro incontro con i Volontari Antimarleyani messi insieme da Zeke Jaeger e il loro ingresso in un mondo che non capivano, non concepivano. Come dei bambini. Anche in questo decimo episodio il flashback è l’elemento fondamentale, perché continua a ripercorrere la storia di quei quattro anni di vuoto, cercando di rispondere a una semplice domanda: quando Eren si è trasformato in un simulacro vuoto senza sentimenti?

L’Attacco dei giganti: It’s just good business

Attacco dei Giganti

L’episodio inizia esattamente da dove si era interrotto il precedente, mostrandoci un Eren allucinato che di fronte allo specchio incita se stesso a combattere. Scopriamo però che in questo momento il ragazzo non è solo. C’è Hange che lo osserva da dietro le sbarre, che lo guarda sospettosa con il suo unico occhio, che ascolta le sue parole. Il primo dialogo tra i due (anche se di dialogo non si potrebbe tecnicamente parlare) è delirante, disorientante. La continua ripetizione, anaforica, cantilenante di quel “Combatti, combatti” diventa quasi una litania, un’ossessione nella voce del Comandante del Corpo di Ricerca, che sta cercando di spingere Eren ad aprirsi, a parlare, a schiudere quella corazza quasi mostruosa di indifferenza e cinismo che il protagonista ha eretto attorno a sé. E la mente, forse quella di Eren, forse quella di Hange o, chissà, entrambe, vola indietro, a quel giorno di due anni prima, quando la prima nave era attraccata al nuovo porto di Paradis.

L’arrivo di Hizuru, “l’unica nazione in rapporti amichevoli con Paradis”, e della sua ambasciatrice Kiyomi Azumabito, è un momento epocale per l’isola e per gli eldiani, che si trovano, di punto in bianco, a far parte di un mondo, di un panorama, immensamente più enorme di quello che si sarebbero mai potuti aspettare. Al di fuori del dualismo con Marley, gli eldiani vengono a sapere di altre nazioni e di trame sotterranee, di equilibri precari e interessi economici. Si rendono conto improvvisamente di essere prede facili in un mondo carnivoro, che non vede l’ora di ingoiarli, con la loro isola, per accaparrarsi le loro risorse naturali.

In realtà l’arrivo dell’ambasciatrice Azumabito sarebbe un momento carico di pathos e tensione, non fosse altro che per la scoperta delle vere origini di Mikasa. Il momento però, forse per la troppa fretta di adattare quanto più materiale possible, rimane lì sospeso, non approfondito, ed è una piccola delusione, se si pensa alla peculiare e attenta costruzione del personaggio, ma anche, più in generale, della storia degli Ackermann nelle prime tre stagioni. Da Kenny avevamo scoperto che la famiglia era incaricata della protezione del Re Fritz e che conosceva la verità sull’origine delle Mura, eppure l’assassino morente non aveva mai spiegato a Levi (e quindi a noi) il perché di questa particolarità. La storia dello shogun di Hizuru rimasto bloccato su Paradis dopo la guerra dei Giganti spiega ogni cosa, ma viene presto abbandonata, ridotta a mero stratagemma per cercare di facilitare le negoziazioni tra Hizuru e Paradis.

Gli eldiani vengono presto avvinti nelle spire di una politica che non comprendono del tutto, come neonati, per usare le parole del generale Pixis, che si affaccino al mondo per la prima volta. Il sottile, insinuante piano di Zeke Jeager comincia a dipanarsi nei suoi complessi, infidi passaggi, ma risulta immediatamente chiaro che tipo di immenso sacrificio richieda: Historia Reiss, la Regina dalla storia triste, deve essere pronta al sacrificio di se stessa, a diventare un Gigante, a divorare il Gigante Bestia e a perpetuare una dinastia condannata a trasmettersi il potere dei Giganti, condannata allo stesso triste sacrificio per mantenere vivo il deterrente del boato della terra.

La Regina

Attacco dei Giganti

In un suo trattato politico datato 1746 il re di Prussia Federico II il Grande scriveva che “La nostra funzione è di vegliare sulla felicità dei nostri popoli […] In ciò il sovrano si sacrifica per il bene dei suoi sudditi”. Si tratta di un concetto di filosofia politica che si è diffuso in modo particolare durante il periodo dell’Illuminismo e che ritroviamo anche in questo episodio de L’Attacco dei Giganti. Nella stoica accettazione di Historia Reiss di fronte al destino misero di ereditare uno dei Nove Giganti c’è proprio questo aspetto di sacrificio di se stessi che sembra essere richiesto a un regnante. Si tratta di un’accettazione che proviene da una profonda consapevolezza del proprio ruolo e dei propri doveri nei confronti del popolo, una consapevolezza che Historia aveva già dimostrato nelle precedenti stagioni, nell’arco narrativo dedicato alle sue origini e nei primi, decisi atti del suo regno.

Di fronte a questi massimi sistemi filosofici però, c’è Eren che, da buon protagonista anime, non conosce valori al di fuori di quello dell’amicizia. Il suo rifiuto di sacrificare Historia, il suo rifiuto di sacrificare chiunque altro degli eldiani, condannandoli alla breve vita cui lui stesso (e anche Armin) sono stati condannati, viene da un sentimento perfettamente egoistico, un sentimento che ci sarà chiaro soltanto più avanti nel corso dell’episodio. Si tratta, ancora, di quel tipo di sentimento utopico e puro, di quella volontà di salvare tutti, senza sacrificare nulla, di voler preservare la felicità degli altri. Eren spera in una nuova via, la via dello sviluppo economico e tecnologico, la via del duro lavoro. Ma il piano di Zeke non ammette deviazioni e Hizuru si dimostra interessato soltanto al controllo delle risorse di Paradis più che alle vite di chi vi abita

L’unico modo per “allontanare questo calice” (per usare una citazione evangelica) da Historia diventa allora avere un bambino. Un erede. Historia stessa sceglie il suo compagno, un uomo che l’aveva bullizzata da bambina, sceglie l’esilio dalla corte, in quella stessa campagna, al tempo stesso amata e odiata, dove aveva vissuto la sua triste infanzia. Un gesto che gli uomini dell’esercito giudicano come un egoistico atto di autoconservazione che non tiene conto del destino del popolo. Le parole degli alti ufficiali eldiani sono inequivocabili in questo senso. Essi credono fortemente che il dovere della regina fosse quello di lasciarsi trasformare in Gigante e di divorare Zeke per mantenere sempre viva la minaccia del boato della terra. Il sacrificio per il proprio popolo.

“Quello non è Eren”

Attacco dei Giganti

Nella maggior parte delle opere shonen ci sono dei momenti rassicuranti che servono a spezzare la tensione, a distendere lo spettatore. Sono scene leggere, a volte palesemente comiche o fuori contesto. Ma sono necessarie. In questo senso, almeno finora, L’Attacco dei Giganti è rimasto abbastanza al di fuori degli standard. L’opera di Hajime Isayama è estremamente cupa per concezione, e non lascia molto spazio alla comicità. Inoltre questa quarta stagione, fin dall’inizio, è diventata sempre più oscura, violenta e senza speranza. La morte, la perdita ci accompagnano fin dall’inizio dell’opera, ma si sono fatte particolarmente intense negli ultimi episodi.

Forse per questo motivo il decimo episodio ci ha regalato un momento più leggero che però è riuscito a trasformarsi in uno dei più intensi, veri e umani dell’intera serie. La scena di Eren e dei suoi compagni che tornano verso le Mura, nella desolazione di una Paradis deserta, attraversata da un’unica ferrovia, discutendo di chi dovrà ereditare il Fondatore è ricca di momenti che fanno sorridere con dolcezza: dalla vanagloria di Jean alle beccate reciproche tra Connie e Sasha, fino alla confessione stentata di Eren, a quel non voler trasmettere il suo Gigante a nessuno dei suoi amici perché tiene a loro, perché vuole che vivano a lungo. È un momento bellissimo, che fa commuovere. I volti dei giovani che arrossiscono, il sorriso stentato di Armin che cerca di mascherare l’imbarazzo, il burbero affetto di Jean, l’espressione di Mikasa, sono tutti piccoli particolari che scaldano il cuore. Non è nemmeno un caso, forse, che i primi veri sorrisi di Eren in questa stagione siano arrivati proprio in questo episodio, proprio in questo flashback. E proprio per questo il passaggio al presente è così brutale.

Perché l’Eren del presente è diverso. È duro e inflessibile, con gli occhi vuoti e freddi. È un Eren che non sarebbe in grado di confessare i suoi sentimenti, un Eren che non sarebbe in grado di arrossire. Semplicemente, come dice Connie con lo sguardo perso nel vuoto, quello non è Eren. L’uomo che non ha pianto la morte di Sasha, l’uomo che è diventato freddo, chiuso e scostante con tutti loro l’uomo che si erge, alto, imponente, inquietante su Hange, che la minaccia con i suoi poteri, con la sua violenza a stento repressa, quello non è l’Eren che loro conoscono, l’Eren che vuol loro bene, l’Eren che desidera per loro una lunga vita. Gli unici a sperarci ancora sono Mikasa e Armin, gli amici migliori, gli amici veri, gli amici di sempre. A loro l’ultimo tentativo di salvare l’anima di Eren Jaeger. E se non ci riusciranno bisognerà soltanto chiedersi chi sarà il prossimo Gigante Fondatore.

In ultimo, dal punto di vista strettamente tecnico, questa puntata de L’Attacco dei Giganti non è forse a livello delle precedenti: il tratto del disegno, specie nel flashback, è vagamente più incerto, e alcune animazioni sono un po’ macchinose e innaturali, anche se non sono fastidiose. In alcune scene le proporzioni sono un po’ sballate, come nel caso del primo piano sul generale Pixis, la cui pelata diventa improvvisamente un enorme globo che fa assomigliare il militare a una lampadina troppo cresciuta. Si tratta comunque di piccoli dettagli, che non vanno in nessun modo a influire sullo straordinario lavoro di MAPPA su questa stagione de L’Attacco dei Giganti.

Giunti ormai al decimo episodio, il finale della stagione si avvicina sempre di più. Sono solo sei infatti le puntate che ci separano dal termine della Final Season de L’Attacco dei Giganti, e questo rende sempre più plausibile l’idea che l’opera possa essere chiusa da una pellicola cinematografica che adatti l’ultimo arco narrativo del manga di Isayama. Ad ogni modo, aspettiamoci, per i prossimi episodi, una nuova escalation di tensione e puntate ben più movimentate e dinamiche. La guerra sta per riprendersi la scena, e da quel momento non ci sarà più un attimo di fiato.

Vi ricordiamo che la quarta stagione de L’Attacco dei Giganti va in onda in simuldub ogni martedì sul sito di streaming VVVVID, mentre arriva con doppiaggio italiano su Amazon Prime Video il venerdì successivo.