Capcom Arcade Stadium Recensione: un cabinato un po’ spoglio

Capcom Arcade Stadium

Ammettiamolo: benché l’amore che nutro nei confronti dei grandi classici che hanno inciso sulla mia crescita videoludica sia profondo e spontaneo, con il passare degli anni diventa sempre più difficile manifestare un sincero entusiasmo nei confronti dell’ennesima compilation di giochi retro come questo Capcom Arcade Stadium. È probabile che la responsabilità ricada sul quantitativo di produzioni simili rilasciate su ogni piattaforma possibile e immaginabile, con Capcom e SEGA posizionate beatamente in cima alla lista dei colpevoli grazie al numero spropositato di antologie e rifacimenti dei loro capisaldi più amati, ed oggi che anche le mini console e collezioni del calibro di Johnny Turbo’s Arcade, Arcade Archives e ACA Neo Geo consentono di mettere le mani in maniera legale su titoli meno conosciuti, ma ugualmente apprezzabili, quel mondo fatto di schermi a tubo catodico, sale con le luci attenuate dal fumo delle sigarette e file lunghissime nell’attesa di sacrificare la paghetta settimanale in una gettoniera sembra più vicino che mai. Anzi, girovagando un po’ per i gruppi di discussione su Internet, ho notato che questo afflusso continuo di offerte nostalgiche ha generato in qualcuno una certa resistenza, alimentata dalla sensazione di trovarsi davanti sempre gli stessi giochi da comprare ripetutamente per piattaforme diverse, anche se il ricambio generazionale continua a giustificare almeno in parte tale pratica come un tentativo di mantenere vivo il ricordo delle opere più influenti dell’epoca d’oro dei coin-op anche per un pubblico moderno.

Eccoci perciò arrivati a questa antologia, che richiama già dal nome altre analoghe operazioni commerciali rilasciate dalla stessa Capcom in passato (Arcade Cabinet per PlayStation 3 e Xbox 360, e Home Arcade, la replica brandizzata della plancia di controllo di un cabinato da collegare direttamente ad uno schermo), e che contiene 32 piccole gemme pescate dal catalogo storico della casa di software giapponese, sebbene alcune di esse siano comparse in ulteriori raccolte che quest’ultima ha fatto uscire abbastanza di recente quali Capcom Beat ‘Em Up Bundle e Street Fighter 30th Anniversary Collection e quindi, per quanti le hanno già acquistate, potrebbero risultare poco appetibili. Di contro, l’accento posto su un nutrito assortimento dei migliori sparatutto realizzati dalla compagnia aumenta di parecchio il valore dell’offerta per gli estimatori del genere, soprattutto considerata la presenza di un paio di chicche che fanno per la prima volta la loro comparsa su console, anche se la discutibile modalità di vendita dei pacchetti che fanno parte di questo compendio rischia di smorzare parecchio ogni entusiasmo.

Capcom Arcade Stadium: ancora una volta, con sentimento

Il frontend di Capcom Arcade Stadium è scaricabile gratuitamente e include due versioni di 1943: quasi tutti i giochi sono infatti disponibili nelle loro incarnazioni principali, americana e giapponese, che talvolta presentano piccole differenze tutte da scoprire (ad esempio, il protagonista di Strider accompagna i colpi della sua lama con un enfatico urlo di guerra nell’originale nipponico, ma resta in silenzio qui da noi), e si possono alternare a piacimento prima di iniziare la partita. In occasione del lancio di Ghost ‘n Goblins Resurrection, era stata offerta anche la possibilità di ottenere gratuitamente il primo, leggendario Ghost ‘n Goblins, ora acquistabile al prezzo di 1,99 €, mentre tutti gli altri sono disponibili in pacchetti da 10 suddivisi in annate (‘84-’88, ‘89-’92 e ‘92-’01) al costo di 14,99 € l’uno, oppure a 39,99 € per tutti e tre. La complicazione deriva sia dallo stesso Ghost ‘n Goblins, che va comprato sempre e comunque a parte perché non incluso in nessuno dei succitati package, che dall’impossibilità di fare lo stesso con qualsiasi altro gioco: è chiaro che il giudizio su una compilation del genere dipende tanto dalla fama delle opere che racchiude quanto dalla robustezza dell’emulazione e dal volume di contenuti aggiuntivi inseriti, che rappresentano sempre una forte attrattiva per veterani e neofiti, perciò nel nostro caso il primo punto è assolutamente inconfutabile ma in parte anche soggettivo, perché dipende dalla personale propensione a spendere soldi se ci interessano soltanto pochi elementi di ogni antologia. Ad esempio, se individuassimo 3 o 4 titoli a noi carissimi su un totale di 10, scartando gli altri perché magari già posseduti o comunque poco interessanti, saremmo comunque disposti a giustificare l’acquisto oppure no? Beninteso, la selezione proposta da Capcom resta notevole da qualunque punto di vista la si guardi, con un gran numero di proposte che spaziano dai grandi classici da sala giochi a qualche curiosità meno nota, passando per due shoot’em up inediti su console cui avevo accennato poc’anzi, ossia Progear e 1944: The Loop Master, capaci di giustificare da soli il costo dei rispettivi bundle.

Capcom Arcade Stadium

Curiosamente, i fighting game uno contro uno sono in minoranza, pur essendo una parte imprescindibile della storia del colosso giapponese: ne troviamo soltanto quattro, tre dei quali sono varianti di Street Fighter II, mentre l’ultimo è lo spin-off in chiave versus di Armored Warriors, Cyberbots. Com’era lecito aspettarsi, nessuno dei beat’em up su licenza proposti nel corso degli anni da Capcom, come quelli creati in collaborazione con Marvel o SNK, fa la sua apparizione in questa collection, ma resta l’amaro in bocca per l’ennesima occasione mancata di riproporre uno qualsiasi dei capitoli di Darkstalkers o qualcosa di più particolare come Red Earth. In compenso, troviamo tantissimi picchiaduro a scorrimento quali l’immancabile Final Fight, Captain Commando, Powered Gear (versione giapponese di Armored Warriors), Battle Circuit, Dynasty Wars e il suo sequel Warriors of Fate, che garantiscono ore di sano intrallazzo distruttivo, ma bisogna anche mettere in conto che, se siamo in possesso del già citato Capcom Beat ‘Em Up Bundle, c’è poco o nulla di nuovo sotto il sole. Abbiamo poi diversi platform esemplari invecchiati piuttosto bene, in particolare Ghosts ‘n Goblins, Ghouls ‘n Ghosts e il brillante Bionic Commando, per quanto l’originale da sala sia molto meno profondo del suo porting su NES. Menzione d’onore anche per il coloratissimo Mega Twins, uno dei miei preferiti di tutti i tempi, che non si vede in giro troppo spesso. Ma la parte del leone spetta sicuramente agli sparatutto con Progear in testa, il primo a scorrimento orizzontale firmato CAVE, dotato di un comparto grafico sbalorditivo e di un’eccezionale rigiocabilità. Gli fanno compagnia Giga Wing (che ne condivide le atmosfere steampunk e sfoggia un insolito orientamento landscape pur essendo uno sparatutto verticale), 1944: The Loop Master, Varth, 19XX: The War Against Destiny (precedentemente convertito solo su GameTap, una vecchia piattaforma per la distribuzione online di videogame), Carrier Airwing e altri esponenti più eccentrici come Legendary Wings e Section Z, tutte ragioni validissime per portarsi a casa almeno i pacchetti che li contengono.

Here comes a (not so) new challenger!

Se avete già comprato buona parte di questi titoli, tuttavia, è probabile che siate maggiormente interessati alle funzionalità aggiuntive proposte dalla collezione e, per fortuna, da questo punto di vista gli sviluppatori di Capcom Arcade Stadium non hanno lesinato sforzi: classifiche online, modalità di sfida speciali a tempo limitato e la facoltà di modificare i DIP switch virtuali per intervenire su parametri come vite o energia, nonché riavvolgere le partite al volo per ripetere un pezzo particolarmente ostico o cambiarne la velocità consentono a tutti di giocare a seconda della propria bravura. Ci sono anche molte alternative di visualizzazione che coprono una vasta gamma di preferenze, dal formato dei cabinati elettronici all’aggiunta di filtri quali linee di scansione, pixel sfumati e arrotondamento dei margini per simulare gli schermi CRT. Inoltre, è possibile ruotare lo schermo in vari modi per la felicità di tutti i possessori di un Flip Grip, ma attenzione a farlo con il 55 pollici che avete in salotto! In termini di performance, la stragrande maggioranza dei giocatori non avrà problemi di sorta: ciononostante, è necessario specificare che non si tratta di rielaborazioni ottimizzate alla stregua di quanto hanno fatto i ragazzi di M2 con la collana Sega Ages, ma di semplici ROM riprodotte in emulazione e, in conseguenza di ciò, l’esperienza generale si è rivelata un po’ inconsistente, soprattutto perché sembra che il fantastico layout tridimensionale che punta a replicare una sala giochi in miniatura davanti ai nostri occhi rimanga in esecuzione anche se decidiamo di giocare a schermo intero, continuando perciò a consumare preziose risorse. Alcuni dei titoli più vetusti soffrono di leggeri rallentamenti e sfarfallii, mentre Giga Wing sembra soggetto a un fastidioso input lag al quale bisogna fare un po’ l’abitudine.

Capcom Arcade Stadium

Per fortuna, i problemi non sono cronici e fanno la loro comparsa in maniera occasionale, dunque soltanto i puristi noteranno qualche contraddizione rispetto agli originali. Parlando di contraddizioni e di puristi, non posso fare a meno di rilevare alcune modifiche apportate alle varie versioni di Street Fighter II, un picchiaduro che è stato sempre caratterizzato da una stereotipizzazione volutamente nazionalistica dei suoi personaggi: se da un lato abbiamo il sol levante sul fondale dello stage di E. Honda sostituito da una tinta unita in virtù del suo opinabile richiamo al Giappone imperialista nel periodo di occupazione della Corea, dall’altro la scelta di utilizzare la bandiera cinese per rappresentare Fei Long, lottatore introdotto in Super Street Fighter II, lascia ancor più perplessi poiché la sua provenienza è Hong Kong, soprattutto considerata la crescente tensione fra le due regioni per l’indipendenza. Non è la prima volta che accade un episodio del genere perché già nel 1997, in seguito all’affrancamento dall’Inghilterra (il gioco uscì nel 1994, quando l’isola era ancora sotto il controllo di quest’ultima), lo stendardo di Fei Long cambiò da quello coloniale britannico al drappo con la bahunia bianca in campo rosso, nondimeno questa volta si tratta di una presa di posizione che potrebbe scatenare il malcontento di un gran numero di sostenitori del “porto profumato”.

Capcom Arcade Stadium

Come spesso accade, uno dei vantaggi principali di giocare su Switch è insito nella convenienza di poter sfruttare la modalità portatile per un po’ di sano retrogaming da poltrona o da divano (evitando di menzionare altri luoghi un po’ più ovvi ma meno raffinati), malgrado le levette analogiche dei Joy-Con non siano la periferica migliore per esibirsi in manovre acrobatiche e macinare punti per scalare le classifiche mondiali, soprattutto su uno schermo di dimensioni ridotte. Il setup preferibile resta di conseguenza un monitor o un televisore dal polliciaggio sufficiente e, magari, un arcade stick di qualità per replicare l’esperienza da sala al cento per cento. Devo comunque ammettere che platform e picchiaduro si sono rivelati molto più gestibili con la console staccata dal dock, dunque abbiamo a disposizione una generosa manciata di coin-op con cui divertirci durante i nostri spostamenti. Infine, i manuali digitali compilati da Capcom per ciascun titolo sono molto esaustivi e approfondiscono svariati elementi che influiscono sulle dinamiche di calcolo dei punteggi, un aiuto davvero prezioso qualora decidessimo di cimentarci nelle sfide periodiche contro giocatori di tutto il mondo e accumulare punti CASPO, una sorta di classifica interna generalista che sblocca avatar ed elementi decorativi supplementari per i nostri cabinati virtuali: purtroppo, la totale mancanza di extra quali, ad esempio, scansioni dei manuali operativi dell’epoca, dei volantini, di artwork originali o di qualche altro elemento come interviste a designer e sviluppatori, peraltro allegati in altre produzioni tipo la SNK 40th Anniversary Collection o la summenzionata Street Fighter 30th Anniversary Collection della stessa Capcom, svaluta enormemente l’importanza di questa valuta virtuale, e di conseguenza dell’intera antologia, che perciò manifesta una grave lacuna abbastanza difficile da inquadrare come semplice svista, quanto piuttosto come svogliatezza o frettolosità nella produzione.

Nel complesso, Capcom Arcade Stadium è una buona raccolta piena di giochi storici di tutto rispetto, ciascuno aggiornato con qualche funzionalità moderna che ne facilita l’accesso a chiunque vi si avvicini. La qualità dell’emulazione non riesce a rivaleggiare con l’hardware originale né con porting individuali eccellenti come quelli realizzati da M2 (ad esempio, il recente Esp.Ra.De Psi), l’assenza di qualsivoglia materiale a corredo e l’incognita riguardo il futuro di questa operazione (sono previsti altri titoli e pacchetti da comprare a parte oppure quelli attuali resteranno gli unici?) sono tutti dettagli che pesano come macigni sul verdetto finale, ma tutto sommato il prezzo per portarsi a casa 32 classici di un ventennio indimenticabile è quello giusto e potrebbe valerne la pena anche se dovessimo ritrovarci con qualche doppione di troppo.

VOTO: 7.5

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.