Di norma in un manga e anime di tipo battle shonen, c’è sempre un personaggio che ripudia la guerra e la violenza. Quel personaggio idealista, completamente buono, sempre lucido e razionale al di sopra di ogni impulso che di solito, in un qualche momento cruciale ed estremamente teso, se ne esce con uno spiegone sul concetto di pace e di giustizia. Sempre in grado di pensare, di valutare, di fare ragionamenti filosofici anche nei momenti in cui dovrebbe essere sopraffatto dalle emozioni. Deve essere un certo tipo di stoica eredità che i giapponesi si portano dietro dalla pratica religiosa del buddhismo zen. L’Attacco dei Giganti non fa eccezione a questa regola non scritta del medium, e in questo tredicesimo, riuscitissimo episodio, ci presenta proprio questo personaggio, proprio questo cliché.
Un cliché certo, eppure presentato con una potenza concettuale diversa, più forte, più intensa. In questa puntata molto più che in altre è possibile cogliere il messagio, la penna, le idee del maestro Hajime Isayama. In questo tredicesimo episodio c’è tutto ciò che sta a cuore al mangaka: la condanna della guerra, il gioco dei grigi, l’assenza di un vero villain, l’assenza di un vero eroe. C’è l’eterna lotta, l’eterna differenza, tra ciò che è morale, cioè che è etico (e, di fondo, giusto) e ciò che invece è più umano, viscerale, istintivo. Perché a un primo assaggio quel cliché di un personaggio che fa ragionamenti profondi quando dovrebbe essere soltanto arrabbiato, quando dovrebbe solo odiare, noi non lo capiamo. Non siamo in grado di immedesimarci. Perché prima di tutto l’uomo è istinto, è visceralità. E il dualismo di questo episodio, che è un po’ il dualismo di tutto L’Attacco dei Giganti, sta proprio qui.
L’Attacco dei Giganti: spezzare il circolo della violenza
Dopo un dodicesimo episodio dedicato principalmente agli intrighi politici e agli involuti piani di Yelena e Zeke per riuscire finalmente a incontrare Eren, la scena torna sul ristorante di Paradis gestito dai prigionieri marleyani, dove il padre e la madre di Sasha hanno portato tutta la loro famiglia di orfani (compresi i fuggischi Falco e Gabi). L’incontro con Niccolò è carico di sottintesi sin da subito per lo spettatore a conoscenza di tutti gli avvenimenti. Da dietro lo schermo noi sappiamo che l’assassina di Sasha è seduta allo stesso tavolo del padre di lei a mangiare dl cibo preparato dall’uomo che l’amava, e un minimo di intuizione sembra averlo, molto presto, anche Falco. Quando Kaya spiega che secondo lei Niccolò e “sua sorella” erano amanti, lo sguardo del ragazzo contiene un barlume di comprensione, quasi che, grazie alle sue capacità empatiche, sia già riuscito a capire cosa potrebbe andare storto di tutta quella situazione.
E difatti è proprio il tentativo dei due giovani marleyani di mettersi in contatto con l’altro prigioniero a scatenare gli eventi dell’episodio. La rivelazione che Gabi abbia ucciso Sasha ha un effetto terrificante su Niccolò. Lo deforma, cambia la sua espressione, annebbia in modo completo la sua mente. Si tratta di un’espressione pericolosa, talmente semplice da leggere e da interpretare che riesce quasi incomprensibile il perché Gabi continui con la sua fideistica e ormai stucchevole tirata contro i demoni di Paradis e il fatto che bisogni eradicarli dalla faccia della terra. La violenza improvvisa in cui Niccolò scoppia una reazione umana, viscerale, di pancia. La vendetta il primo sentimento che gli infiamma l’animo.
Per questo dopo aver colpito Falco con quella bottiglia di vino, dopo aver pestato Gabi (una scena che è stata censurata nell’anime, sostituita comunque da una pregevole inquadratura in prima persona del pugno da knockout tirato dal marleyano), Niccolò porta i due ragazzi di fronte al padre di Sasha spiegando la verità. Spiegando che quella ragazza che hanno ospitato, nutrito, vestito è colei che ha sottratto una figlia, una sorella, un’amica. Niccolò è pura e semplice furia vendicativa. E quando Gabi tenta di riproporre per l’ennesima volta, come qualcuno che non abbia più argomenti, la sua logica da asilo del “hanno iniziato loro”, la risposta di Niccolò è la più umana, pura e sincera che esista. “Non me ne frega niente di chi ha iniziato“.
Ed è qui che il padre di Sasha, il cliché vivente che ogni shonen deve avere, ha il suo sfolgorante momento di gloria. Nel momento stesso in cui lo vediamo chiedere a Niccolò di dargli il coltello si comprende già quello che succederà. L’intromissione di Hange, che si fa avanti con le sue solite pose sbracciate da clown chiedendo al signor Blouse di non uccidere Gabi, è un orpello fastidioso e inutile. Sappiamo tutti che il padre di Sasha non lo farà mai. Le parole di quest’uomo che ha appena ricevuto la più scioccante e devastante delle rivelazioni sono profondamente etiche, morali. La metafora del mondo come una foresta, l’idea di non serbare rancore, il concetto che sia necessario spezzare il circolo dell’odio, smetterla di rinfacciarsi le colpe, sono tutti elementi potenti di un discorso breve e profondo intorno al quale non solo questo episodio, ma tutta la stagione de L’Attacco dei Giganti è incardinata. Un discorso che ricorda un po’ tutto il dialogo sull’odio tra Naruto e Nagato. Un discorso che si chiude magnificamente con l’invito a lasciare i bambini fuori da questa faida infinita.
Ma sono le azioni immediatamente successive a elevare l’episodio verso vette straordinarie. La preoccupazione dei genitori di Sasha per la salute di Gabi lascia la ragazza attonita a domandare semplicemente “Davvero non mi odiate“, il salvataggio di Mikasa di fronte al tentativo di una Kaya completamente disperata e fuori di sé (umana come è stato umano Niccolò), il tono tranquillo di Armin che assicura alla ragazzina che nessuno ha intenzione di ucciderla. Si tratta di una serie di schiaffi morali che arrivano in rapida successione a Gabi. Dopo Falco, dopo Kaya, riusciranno almeno queste azioni a smuovere le granitiche convinzioni frutto dell’indottrinamento di questa bambina che ha imparato troppo presto a odiare?
Una barzelletta di merda
Esattamente come in ogni anime shonen c’è il personaggio saggio e filosofico, c’è anche l’idolo, l’eroe incontrastato, il guerriero palesemente e per distacco superiore a tutti gli altri. Ne L’Attacco dei Giganti, fin dalla prima stagione, questo è il ruolo di Levi. Il suo fare perennemente sicuro di sé, da puro e semplice badass full optional sono stati un punto fermo per tre stagioni e tre quarti. L’unica emozione che gli abbiamo visto esteranare in questo periodo è stata la rabbia incontrollata durante la battaglia di Shiganshina, quando distrugge letteralmente il Gigante Bestia di Zeke. Ma per il resto Levi era la nostra roccia.
Anche le rocce però alla fine si sgretolano. In questo episodio per la prima volta abbiamo visto Levi abbandonarsi alla tristezza, alla disperazione. Di fronte alla prospettiva che un Eren ormai fuori controllo possa essere sacrificato, fatto divorare ad altri Levi crolla. Quella mano sul viso dice tutto, l’espressione persa dei suoi occhi ci trasporta direttamente nei suoi pensieri. A scoprire che quell’aura di imperturbabilità che lo avvolgeva non lo ha protetto dal dolore della perdita dei suoi compagni, delle sue squadre, dei suoi uomini. E tutto per salvare Eren, perché Eren era la speranza dell’umanità. Ne era stato convinto Erwin Smith, e per questo ne era stato convinto anche Levi. E mentre tutto crolla, crolla anche lui. Perché in fondo, dietro quella scorza fatta di indifferenza, superiorità, aura divina e hype, c’è un uomo che ci tiene. Un uomo che vuole bene a Eren. Che lo vede ancora come il ragazzino spaventato di quel giorno a Trost. Come una speranza da salvare.
Floch Machiavelli
A margine di questo tredicesimo episodio fatto soprattutto di filosofia e sconfitta c’è però la politica del dodicesimo che torna a farsi largo. Con l’incursione degli Jaegeristi nel ristorante e l’arresto di Hange, Jean e Connie torniamo infatti all’attualità, mentre i perversi passaggi del piano di Yelena e Zeke vengono alla luce in tutto il loro orrore. La collusione di Floch, e con lui degli Jaegeristi, è un colpo al cuore per Hange, forse perché effettivamente il Comandante del Corpo di Ricerca non se lo aspettava. Era facile del resto sottovalutare Floch che però, da quando si è trasformato nel più fervido sostenitore di Eren, ha maturato un’inclinazione machiavellica ai piani contorti che ha dello spaventoso, e che si rivela tutta in quel ghigno malefico da psicopatico rivolto ad Hange quando l’enormità del piano viene alla luce. Floch ha già abbandonato il concetto di umanità, è andato persino oltre la distinzione razziale tra eldiani e marleyani. Persegue il suo obiettivo in maniera tanto cieca da essere diventato, con tutta probabilità, il personaggio più pericoloso de L’Attacco dei Giganti.
L’unico elemento stonato è forse il tradimento di Griez. Perché rimproverare a Niccolò di essere diventato troppo amico con gli eldiani e poi partecipare a un complotto teso a far prevalere Eldia su tutte le altre nazioni del mondo? Un comportamento contrastante e difficilmente spiegabile.
Se a livello di trama e contenuti questo episodio è stato sicuramente pieno e soddisfacente, qualcosa sul piano tecnico non ha funzionato del tutto. Non mi riferisco ai disegni, che stanno acquisendo connotazioni sempre più dark (e per un buon motivo) il che anzi è un elemento assolutamente positivo, ma all’animazione di alcuni personaggi e soprattutto alla gestione dei loro movimenti in scena. Con delle inquadrature che ci mostrano nella stragrande maggioranza dei casi situazioni statiche, sembra quasi che i personaggi vadano e vengano a loro piacimento, senza una vera logica nelle loro posizioni. L’esempio lampante è nella scena in cui Niccolò sta minacciando Falco. Il padre di Sasha si trova inizialmente alle spalle di Gabi, mentre Niccolò è di fronte a entrambi, con il coltello in mano. A quel punto il padre di Sasha fa un paio di passi avanti e prende l’arma dalle mani del cuoco. Nell’inquadratura subito successiva però, quando si avvicina a Gabi con la lama in mano, lo fa dalle sue spalle, come se non si fosse mai spostato dalla sua posizione iniziale.
Ma si tratta di piccolissime sbavature se confrontate con la delusione dell’entrata in scena di Eren. Dopo la scenetta alla Taylor Lautner dei tempi migliori che aveva chiuso il precedente episodio, ci si sarebbe aspettati qualcosa di meno anonimo dall’uomo più ricercato di Paradis. Invece Eren entra nella stanza dove si trovano Mikasa, Armin e Gabi come una qualsiasi comparsa, come uno sguattero sbadato, come se fosse improvvisamente uscito dal muro. Verrebbe da chiedersi come abbia fatto a passare inosservato fin lì, ma tutto viene cancellato dalla vista di quella ferita sanguinante sulla mano, più spaventosa ed evocativa di mille armi da fuoco (lo stesso gesto, tra l’altro, con il quale aveva minacciato Reiner nel quinto episodio), e da quella frase conclusiva, “Volevo parlarvi”. Forse nel prossimo episodio scopriremo se Eren ha ancora un’anima.
Mancano soltanto tre episodi alla conclusione di questa quarta stagione de L’Attacco dei Giganti che, ormai è ufficiale, non coprirà il manga fino alla sua conclusione. Mentre attendiamo di scoprire quali siano i progetti di MAPPA però, continuate a seguirequeste ultime puntate, in simuldub su VVVVID ogni martedì, o doppiate in italiano il venerdì successivo su Amazon Prime Video. E non dimenticate di seguirci qui su Gamesvillage.it, con la recensione del nuovo episodio settimana dopo settimana!