La scorsa settimana, proprio mentre l’episodio de L’Attacco dei Giganti andava in onda, il Giappone ha vissuto il suo fin troppo realistico “boato della terra“. Un terremoto di magnitudo 4.7 ha interrotto la programmazione, spaventando un popolo ancora provato dal ricordo del dramma e delle vittime di Fukushima, delle quali si è recentemente celebrato il decimo anniversario.
Per questo motivo l’anime e tutti i fan dell’opera di Hajime Isayama si sono doverosamente fermati. Perché, anche se fortunatamente questa volta non ci sono state gravi conseguenze, anche se il rombo cupo del sisma ha causato soltanto paura, non è un caso che l’arma finale, in grado di distruggere il mondo, nel manga e nell’anime del sensei abbia proprio il nome di “boato della terra“. In un paese sismico come il Giappone, la gente ha imparato presto ad avere un certo rispetto e un sacro timore della terra e del suo modo di muoversi. I boati della terra lì fanno paura davvero.
Per questo è passata un’insolita settimana in più tra un tredicesimo episodio, ancora vivo nei nostri occhi per i suoi sentimenti fortissimi, per le parole di Armin, per la stupefacente e meravigliosa lezione di perdono e vita del signor Blouse, e questa quattordicesima puntata. Una puntata con due grandi protagonisti assoluti. Una puntata che ha riportato in scena quell’azione che mancava da un po’ e un dinamismo piacevole e scorrevole, in grado di mandare avanti la trama.
L’Attacco dei Giganti: “Ti ho sempre odiata”
Questo quattordicesimo episodio riprende da dove si era interrotto il precedente, dallo stupore di Gabi per essere stata salvata da Mikasa e dalle parole amare di Armin, “parli sempre di uccidere”. Gabi ricorda profondamente il primo Eren. La sua ossessione per la morte, la sua concezione assoluta non possono che riportare alla mente nostra e di Armin il primo grande protagonista di questo episodio, che sembra essere quasi evocato dalla frase dell’amico. Al termine del precedente episodio Eren aveva detto di voler parlare. Una ricerca di dialogo che avrebbe potuto far ben sperare, che spingeva i più ottimisti a credere che ci fosse ancora uno spiraglio, che, dopotutto, Eren Jaeger, colui per cui abbiamo tifato per tre intere stagioni, non fosse diventato il vero villain di questa storia.
La realtà però è ben diversa. Eren non è lì per parlare nel senso colloquiale del termine. Non è lì per dialogare con i suoi amici, non è lì per risolvere. Non vuole lasciare spazio alle parole di Armin e Mikasa. Eren è lì soltanto per dettare condizioni, per vomitare una serie di sentimenti oscuri e corrosivi. Eren è lì per fare del male. Per farlo a un livello così profondo da poter distruggere l’interiorità delle uniche due persone che sono sempre state al suo fianco, fin da bambino. Delle uniche due persone che si sono strette a lui anche quando il mondo lo temeva per la sua capacità di trasformarsi in un Gigante.
La prima frase di Eren è una affermazione di libertà. Dice di essere libero, di aver fatto le sue scelte liberamente, di agire in completa autonomia e in pieno possesso della propria volontà. Nessun condizionamento, nessun controllo, nessun vincolo. Si avverte del risentimento, probabilmente per il modo in cui era stato trattato dall’esercito, nascosto, tenuto sotto sorveglianza, idolatrato e al tempo stesso temuto per quella sua maledizione di potersi trasformare in un Gigante. Il resto del suo discorso però è subdolo e crudele, teso soltanto a distruggere e a destabilizzare l’animo di Armin e di Mikasa. Lui che sarebbe legato ad Annie soltanto dai ricordi e dall’amore di Bertholdt, lei che sarebbe stata “progettata”, quasi fosse una macchina, per eseguire gli ordini di un eldiano. Eren svaluta l’intero essere dei suoi unici amici, i loro sentimenti, il loro sistema di valori, il loro rapporto, la loro personalità e umanità. Li chiama schiavi, li chiama bestie, depreca disgustato la loro stessa esistenza utilizzando i concetti (e anche alcune parole chiave) che comparivano nella prima, storica opening de L’Attacco dei Giganti, firmata dai Linked Horizon.
Ci sarebbe la tentazione di dire che Eren sia cambiato, che abbia perso la via e la sua anima, che queste sue parole astiose siano il frutto delle velenose parole di Yelena e Zeke. La realtà è che, se ricordiamo le prime stagioni de L’Attacco dei Giganti, ricorderemo anche che Eren è sempre stato così, fin da bambino, fin dall’inizio. Ricordiamo come odiasse vivere dietro alle Mura, come odiasse la sensazione di essere ingabbiato, chiuso come una bestia da macello, come all’epoca dell’addestramento pensasse soltanto a uccidere tutti i Giganti, per vendicarsi, sì, ma anche per essere libero. La verità, la verità che per anni ci siamo rifiutati di vedere, e che non possiamo più ignorare mentre lo vediamo pestare Armin e sputare un odio viscerale e distruttivo contro Mikasa, è che Eren è sempre stato il villain. La verità è che Eren non ha perso l’anima: non l’ha mai avuta.
Quello che mancava
Questa quarta stagione de L’Attacco dei Giganti è stata, finora, quasi completamente introspettiva. Tra flashback, discorsi di grande intensità, intrighi politici e lacrime (tante lacrime), c’era la sensazione di un elemento mancante, come di un piccolo pezzo di puzzle disperso da qualche parte. Il che non vuol certo dire che la serie sia vuota o che manchi di interesse, tutt’altro. Isayama (ma anche MAPPA) ha fatto un ottimo lavoro nel tenerci incollati alla vicenda pur presentandoci quasi esclusivamente gli aspetti dell’interiorità dei protagonisti.
Ma allora qual era l’elemento mancante? Per assurdo quell’elemento che mancava erano proprio i Giganti. Non tanto i famosi Nove, che abbiamo visto scontrarsi sullo sfondo di Liberio in quello che è, ad oggi una delle battaglie più belle tra gli anime nel 2021 (chiedere a Crunchyroll per conferma), ma i Giganti Puri, quelli che, dopo essere apparsi nel primo episodio della stagione, sono tornati soltanto nei flashback. Completamente scomparsi dalla narrazione, inghiottiti dalla riflessione sull’orrore della guerra e dalla personalità dei protagonisti.
Ci si era quasi dimenticati della stretta allo stomaco che provavamo nelle prime stagioni nel vedere i nostri eroi circondati dalle fameliche bocche ghignanti di questi esseri mostruosi e sproporzionati, del terrore che ci assaliva alla sola vista del profilo di uno dei quei Giganti. Erano diventati quasi ordinaria amministrazione, qualcosa da mettere da parte. Distrutti, annullati, massacrati dal Corpo di Ricerca, completamente eliminati dalla faccia della terra. Per questo nel momento in cui Zeke comincia a scappare attivando il suo grido e dando inizio al suo piano, trasformando i membri della sua scorta armata in Giganti Puri che accerchiano Levi, è lì che si recupera l’elemento mancante. Con un brivido torniamo a provare quell’apprensione, quella paura quasi dimenticata. I denti che scattano e si chiudono, le mani tese in avanti per cercare di afferrare, di stritolare. I Giganti tornano d’improvviso protagonisti. E vedere di nuovo il capitano Levi in azione è qualcosa che ha del sublime.
Solo un capitano
In realtà lo scontro tra Levi e Zeke Jaeger, anche quando il fratello di Eren si trasforma nel Gigante Bestia, non è esattamente epico, quasi a volerci trasmettere apertamente l’idea di una superiorità schiacciante, imbarazzante del nostro personaggio OP preferito. Il Levi esitante dei primi istanti dello scontro, quello che rivede i volti degli amici, dei commilitoni, dei compagni, lascia subito il posto all’efficiente macchina da guerra che avevamo imparato a conoscere.
Levi è il secondo grande protagonista, il secondo polo dell’immenso dramma di questa puntata. Di fronte a un Eren nichilista e senz’anima, ritroviamo un Levi metodico e misericordioso, che somministra una morte rapida e pietosa, che insegue Zeke con una rapidità, una ferocia bestiale. Il suo disprezzo è solo e soltanto per Zeke. Solo per colui che tratta la vita dei suoi subordinati in maniera così irrispettosa, così indegna, da utilizzare persino il corpo di una di loro come oggetto da lanciare, squarciandola, smembrandola in modo sanguinario dopo averla trasformata in un mostro, gettandola contro Levi. Un momento breve eppure molto forte dello scontro, prima che il capitano ottenga un trionfo totale sul Gigante Bestia, estraendolo violentemente dal suo corpo enorme.
Ogni successivo atto di violenza di Levi, le ferite, le amputazioni inferte a Zeke, sembrano giustificate, forse persino troppo poco per colui che ha dimostrato un tale disinteresse per la vita umana. Hanno il sapore di una giustizia violenta, immediata, totale e senza compromessi.
L’episodio, in realtà, avrebbe potuto anche concludersi qui. E la scena successiva, ambientata a Shiganshina con protagonista Floch, ha il sapore di un’aggiunta non necessaria, quasi completamente slegata dal contesto. Avendo in pugno Hange e i suoi, e come obiettivo quello di scoprire il luogo dove si trovava Zeke, era assolutamente inutile andare a Shiganshina per il puro gusto di far picchiare l’istruttore Keith Shadis da un manipolo di reclute, un desiderio sadico, bambinesco di rivalsa e di vendetta mascherato da grande atto politico, da rivoluzionario sovvertimento della tradizione. Se questo è l’uomo a cui Eren si affida per comandare gli Jaegeristi, il futuro di questa storia non può essere che fosco.
A livello tecnico l’episodio è quasi impeccabile, con solo qualche incertezza nell’animazione che passa quasi completamente inosservata nel dinamismo delle scene. I movimenti di Levi (i più difficili da rendere data la velocità dello scontro) sono resi con puntualità e perizia. Dopo tanti episodi in cui a farla da padrone era stata la staticità, vedere uno scontro animato in questo modo fa davvero molto piacere.
Vi ricordiamo che la quarta stagione de L’Attacco dei Giganti, ormai prossima alla sua conclusione, è disponibile in simulcast sulla piattaforma VVVVID ogni martedì, e doppiata in italiano a partire dal venerdì successivo su Amazon Prime Video!
https://www.youtube.com/watch?v=x9Q9RVqFoYk