Netflix e cartoni animati, un connubio che non sempre ha dato alla luce dei risultati soddisfacenti. Pensiamo alle serie anime prodotte dal colosso americano in collaborazione con alcuni studi d’animazione, e come quest’ultime venissero penalizzate da scelte e investimenti rivelatisi errati. Un esempio su tutti la produzione di serie in 3D e computer grafica, in cui spesso il carattere estetico e artistico veniva profondamente meno, generando un prematuro disinteresse da parte del pubblico abbonato. Sulla nota piattaforma poi, troviamo alcune serie originali a basso budget e ci siamo sempre chiesti il perché di tale spreco di risorse che potevano essere investite su ulteriori – e migliori – acquisizioni. Nell’ultimo periodo, grazie anche agli accordi stretti con i principali distributori, Netflix ha arricchito in maniera smisurata il suo catalogo anime, introducendo pellicole cinematografiche pregevoli (come quelle dello Studio Ghibli, o produzioni come Your Name, A Silent Voice e via dicendo) e serie cult che hanno segnato l’industria dell’animazione giapponese.
Tuttavia, tale investimento ha portato anche alla produzione e pubblicazione nel proprio catalogo, di ulteriori serie animate e film ispirati a brand videoludici, come quelle di Dota, Fate, Yu Gi Oh, Inazuma Eleven, Ni no Kuni o Dragon Quest. Altre serie ispirate ai videogiochi sono tutt’ora in arrivo, come quella di League of Legends o Cyberpunk: Edgerunners. Tuttavia, l’anime di Castlevania è quella che finora ha riscosso il maggior successo – ed interesse – da parte del pubblico, soprattutto tra i fan della storica saga di Konami. Castlevania ha raggiunto la sua conclusione con la quarta stagione, già disponibile su Netflix per tutti gli abbonati. Noi di Gamesvillage abbiamo visto tutta la serie che narra le vicende con protagonista Trevor Belmont, e ve ne vogliamo parlare in questa recensione della serie completa.
Castlevania Recensione: la serie di Netflix finalmente completa!
Personalmente, quando iniziai a guardare la prima stagione di Castlevania di Netflix, serie animata ispirata al videogioco Castlevania III: Dracula’s Curse, rimasi impietrito. Questo perché, notando i riscontri incredibilmente positivi decisi di dare una chance al cartone animato realizzato da Warren Ellis, rimanendo deluso da come tutto sommato, i primi quattro episodi furono soltanto un’infarinatura dell’imminente avventura di Trevor Belmont nella Valacchia. La moglie di Dracula Vlad Tepes viene condannata al rogo dalla Chiesa, scatenando la furia del leggendario vampiro il quale mette a ferro e fuoco la nazione in una guerra di logoramento. Una partenza alquanto timida, che però delineava una caratterizzazione per l’ultimo dei Belmont da mezzo anti-eroe: egli non è il classico paladino della giustizia che si prodiga a salvare ogni vita umana dalle creature della notte, tuttavia il suo comportamento talvolta menefreghista lo rende un personaggio sopra le righe, riuscendo a farsi apprezzare anche per quanto è sicuro di sé. Insomma, in parole povere, potremmo definire Trevor come un beneamato “spaccone”, ciononostante il suo aspetto e il modo in cui si presenta lasciano pensare ad un personaggio alquanto rozzo, mentre nella sua testolina nasconde una vasta conoscenza tramandata nei secoli dalla sua famiglia. La storia inizia ad infittirsi nella seconda stagione, con l’arrivo di Alucard e Sypha Belnades come co-protagonisti e l’avvento di personaggi secondari schierati dalla parte di Dracula, i quali delineano la nascita di sotto trame interessanti che arricchiscono la narrazione della serie Netflix. Sarà proprio il figlio di Vlad Tepes ad impressionare per la cura con cui è stato realizzato nella serie: innanzitutto il design, che riprende a piene mani l’Alucard di Castlevania: Symphony of the Night e riesce a trasmettere un’eleganza persino superiore di quella che raffigura il temuto vampiro. Nel suo profilo troviamo un mezzosangue che ha passato una vita sui libri affinando di volta in volta le sue conoscenze, tuttavia la sua vampiresca freddezza genererà un certo distacco e disinteresse nel dialogo con le persone, ma pian piano anche lui si aprirà in quanto per metà essere umano, svelando così anche una parte sopita di se stesso.
Sypha Belnades invece ha un comportamento alquanto colorito, molto pacata e signorile inizialmente, ma finirà col diventare piuttosto scurrile man mano che passerà sempre più tempo insieme a Trevor. Ciò che più mi ha colpito della co-protagonista sono le sue doti combattive: la maga dei Parlatori riesce sempre a sorprendere in battaglia, sfoggiando delle capacità variegate, impiegandole in modi sempre più studiati e a volta bizzarri, facendosi riconoscere come un personaggio dalle mille risorse. Insomma, dell’improbabile trio, la maga è per il sottoscritto quella più dotata in battaglia, e vi saranno tantissime occasioni che mettono in luce le sue abilità magiche. Sebbene la seconda stagione entri nel vivo solamente verso le sue battute finali, la terza calmerà le acque per una narrazione più dispersiva. Infatti la terza parte della serie Netflix è quella che più mi ha fatto storcere il naso, poiché sceglie di interrompere qualsiasi sviluppo concreto per focalizzarsi sulla nascita, evoluzione e conclusione di vari eventi. Certamente, si ha un approfondimento sul “monster-trio” di Castlevania, tuttavia saranno i personaggi secondari a prendere le redini della serie, limitando quanto più possibile l’azione in sporadiche occasioni. Sia chiaro, il voler concentrare gli sforzi sullo sviluppo narrativo di una serie è un atto pur sempre nobile e apprezzabile, ma con la terza stagione ho avuto la netta sensazione che la trama fosse rimasta sospesa in una bolla, in cui al suo interno venivano narrati delle “semplici storie auto conclusive” senza trovare un orientamento ben preciso. Per questo, senza alcun dubbio, ci troviamo davanti all’anello più debole dell’anime, seppur sia estremamente importante per l’ultima stagione a causa del notevole ampliamento del cast di personaggi. Soprattutto nella terza, vi saranno alcuni avvenimenti di dubbio significato, a cui verrà attribuita una concreta spiegazione – o utilità – solo più avanti, lasciando momentaneamente lo spettatore con delle perplessità belle e buone.
Fortunatamente, la serie si rialza qualitativamente dal punto di vista narrativo nella sua stagione finale, risolvendo i conflitti attuati nei precedenti dieci episodi. Soprattutto la faida che vede coinvolti gli ex-sottoposti di Dracula giunge ad una cristallina conclusione che riserva un futuro per coloro che rigettavano l’umanità, trovando finalmente un senso al loro futuro iniziando a creare dei progetti per la propria vita. In questo modo, si dà un’utile continuità a quanto è stato costruito in precedenza, ponendo rimedio agli squilibri di una stagione a mio avviso “soporifera” e faticosamente interessante, riuscendo a conquistare l’attenzione con un ottimo dosaggio tra narrazione, sviluppo ed azione. Evitando dunque di svelare ulteriori dettagli per lasciarvi vergini della visione non soltanto dell’ultima stagione, ma dell’intera serie, il Castlevania di Warren Ellis riserva una storia corale, penalizzata da alti e bassi dovuti a scelte a mio avviso alquanto discutibili, soprattutto in merito ai ritmi con cui si svolge la trama. I tre protagonisti riescono a mantenere una caratterizzazione ed un’evoluzione funzionale, seppur Sypha Belnades perderà qualche colpo caratteriale dalla terza stagione in poi. I secondari, che potevano contare su delle basi solide, cadono in delle banalissime contraddizioni proprio nella penultima stagione, lasciandosi un po’ troppo andare nel flusso degli eventi che intercorreranno. Fortunatamente, vi sarà una piccola ripresa nelle battute finali della serie Netflix, utili per dimenticare gli inciampi dell’avventura di Trevor Belmont nella Valacchia.
Le epiche battaglie di Castlevania
Abituato alle produzioni dell’industria giapponese, vedere la serie Netflix di Castlevania mi ha “visivamente sorpreso”. Questo perché ci si aspetterebbe in alcuni casi un’animazione impacciata nei combattimenti più efferati, e solitamente le produzioni animate ed originali del colosso americano dello streaming, non brillano di qualità visiva. In questa occasione però abbiamo a che fare con delle battaglie spettacolari il più delle volte, persino quelle meno importanti vengono enfatizzate da animazioni degne di nota, seguite da una regia che che riesce a catturare in maniera omogenea l’azione su schermo. Sotto questo punto di vista, il lavoro svolto da Frederator Studios con la collaborazione di altri studi d’animazione risulta convincente, poiché le sequenze d’azione sono estremamente coinvolgenti, merito soprattutto di inquadrature che risaltano ogni colpo inflitto dai personaggi coinvolti. Ciò che più mi ha colpito è la brutalità con cui questi scontri vengono ritratti: nette decapitazioni, squartamenti, mutilazioni, fiotti di sangue ed ustioni mortali sono solo alcune delle caratteristiche violente della serie, le quali riproducono in maniera fedele la brutalità di un contesto bellico medievale. Insomma, con la violenza il prodotto di Netflix non ci va leggero, ma nemmeno troppo pesante, riuscendo anche a stabilire un equilibrio che non sfocia in un becero gore. Lo svolgimento della serie trova anche dei temi d’attualità come la sessualità e come quest’ultima attraverso dei personaggi secondari viene recepita (considerando anche il periodo storico, in cui tale argomento veniva trattato con vedute ampiamente diverse), oltre all’importanza del futuro e il senso di ciò, senza ovviamente tradire quelli che sono i canoni esoterici e religiosi della saga di videogiochi di Konami.
Ciò che si può apprezzare della serie è il fatto che i personaggi secondari non hanno ruoli del tutto marginali: sebbene nella seconda stagione le sensazioni maturate nei loro confronti portavano il sottoscritto a dubitare della loro utilità, nella meno convincente terza stagione assumono un ruolo addirittura più rilevante dei protagonisti stessi. Certamente, nella terza parte della serie abbiamo dei ritmi pressoché lenti, in cui un episodio sembra non finire mai, eppure è proprio lì che i comprimari possono godere della tanto agognata notorietà, permettendo allo spettatore di conoscerli da più vicino. E il prodotto confezionato dall’autore Warren Ellis trova spazio anche per le macchinazioni politiche, con un gioco di fazioni che tentano di smuovere gli equilibri di un conflitto che, in un modo o nell’altro, vede sempre al centro dell’attenzione Dracula. Soprattutto nella seconda stagione vedremo diversi conflitti d’interesse tra i sottoposti di Vlad Tepes, mentre quest’ultimo è disorientato dalla sua rabbia contro la razza umana: non gli importa dei movimenti che avvengono dietro le quinte, il suo unico obiettivo è sterminare il genere umano e banchettare con il suo sangue. Tornando alla questione combattimenti, il trio anti-creature della notte si evolverà in battaglia, utilizzando tecniche, equipaggiamenti e soluzioni sempre varie: insomma, l’azione in quel di Castlevania non è mai noiosa o banale, basti pensare a come Sypha impieghi i suoi poteri da maga, riuscendo sempre a sorprendere lo spettatore, sia in maniera positiva che negativa. Anche Trevor migliora molto in combattimento, usufruendo persino diversi strumenti oltre alla sua fidata frusta, la quale utilizza anche in altri modi oltre che per sconfiggere i mostri che sbarrano il suo cammino. Tuttavia, i combattimenti sono tutt’altro che semplici: ad eccezione di Alucard che può fare affidamento sulle abilità vampiriche ereditate da suo padre, Sypha e Trevor faranno notare la loro difficoltà fisica nel contrastare i mostri che popolano la Valacchia. Detto ciò, definirei la serie animata di Netflix come un prodotto assolutamente godibile, a fronte di peccaminosi squilibri tra narrazione ed azione che non sempre andranno d’accordo. I combattimenti a mio avviso sono l’elemento di punta della serie, prima ancora della caratterizzazione dei personaggi e della storia, due componenti afflitte da scelte discutibili ed una gestione degli eventi non proprio ottimale.
Un sangue di buona qualità
Come dichiarato poc’anzi, le serie animate originali e prodotte da Netflix solitamente non sono molto convincenti: con Dragon’s Dogma e Dota per esempio, gli studi d’animazione non hanno compiuto un lavoro che definirei buono, soprattutto quello basato sulla nota Ip di Capcom. Personalmente, quando guardo una serie animata valuto soprattutto gli elementi estetici: disegni, dettagli, palette dei colori ed animazioni. L’aspetto visivo in questo caso – rispetto ai videogiochi soprattutto – assume una prorompente importanza, poiché persino una grande narrazione può stonare dinanzi ad un lavoro qualitativamente deludente. Nonostante i combattimenti siano la punta di diamante della produzione Netflix, merito di coreografie notevoli, animazioni fluide e dettagliate e soprattutto, una regia che sta al passo con la frenesia di certe azioni, i disegni in alcune sequenze risultano alquanto certosini. Durante le fasi più concitate, i tratti dei disegni soffrono di un leggero sfarfallio, e in alcuni casi avvertiamo anche un leggero stuttering nel momento in cui parte l’animazione stessa. Soprattutto i tratti a volte sembrano imprecisi o appena abbozzati nelle prime due stagioni, mentre nei successivi episodi è stata posta una maggiore cura in fase di realizzazione. Il character design è molto interessante, ricco e variegato, e con Alucard raggiunge persino la perfezione della fedeltà con l’opera originale. Nei momenti più tranquilli, come nelle scene di dialogo, si riescono ad apprezzare maggiormente i disegni che ritraggono i personaggi, seppur quest’ultimi vengono caratterizzati da una palette di colori non sempre soddisfacente. In sporadici frangenti dell’opera, si ha la sensazione che manchi la profondità, mentre in altri casi i modelli sembrano addirittura estranei allo scenario, creando una netta separazione tra personaggio e fondale.
Tuttavia i personaggi risultano abbastanza dettagliati e i background sono alquanto piacevoli da osservare, ma è nell’azione in cui possiamo notare il maggiore impegno da parte di Frederator Studios, che ha migliorato la sua tecnica con l’avanzare delle stagioni. Oltre alle splendide coreografie menzionate poc’anzi che delineano delle sequenze spettacolari, sono gli effetti speciali e i cambi di stilizzazione che rendono ancor più piacevole la visione di Castlevania, soprattutto quando Sypha si scatena in combattimento. Anche la colonna sonora si fa valere, riuscendo a rendere ancor più appetibili i momenti più concitati della serie. Soddisfa anche il doppiaggio italiano, il quale potrà generalmente sorprendervi grazie anche al modo con cui i doppiatori nostrani riescono a caratterizzare i vari protagonisti della serie, un esempio tra tutti è Francesco Orlando nel ruolo di Trevor Belmont, che con la sua voce riesce a trasmettere egregiamente quell’atteggiamento da spaccone del personaggio.
Il Castlevania di Netflix è un prodotto afflitto da alti e bassi, tra stagioni non proprio convincenti e momenti epici. Sebbene la narrazione viene intaccata da ritmi poco generosi, specie in un’interminabile terza stagione, sono i combattimenti e le scene d’azione a ricatturare l’interesse dello spettatore – e del sottoscritto -, seppur la storia stessa proponga degli spunti interessanti che potevano essere elaborati molto meglio. Il lavoro di Frederator Studios è indubbiamente di buona qualità, il team d’animazione ha curato specialmente i combattimenti, con animazioni, regia e sequenze spettacolari, che meritano di essere viste più di una semplice volta. Ciononostante, i disegni talvolta vengono penalizzati da dei tratti quasi approssimativi, seppur vengono avvalorati da una moltitudine di dettagli che migliorano il character design della serie. Il nostro consiglio è quello di seguire la serie senza mollare la presa: nonostante una prima e terza stagione poco avvincenti, la seconda e la quarta saranno quelle che vi terranno incollati allo schermo, pertanto suggeriamo di opporre resistenza contro i ritmi squilibrati della serie, e di godervela dall’inizio alla fine.