Tra le dinamiche che muovono il mercato videoludico ce n’è una in particolare che, il più delle volte, può decretare il successo o il fallimento di un qualsiasi prodotto senza distinzioni di sorta (rendendola, da un certo punto di vista, perfino democratica). Tutti noi videogiocatori la conosciamo e ne siamo rimasti vittime, chi più chi meno, nonostante la ferrea volontà di restare aggrappati a quell’idea di “conscious gamer” che tanto apprezziamo. Ovviamente parliamo dell’hype. Non serve scomodare l’ultimo titolo sviluppato da CD Projekt Red per rendersi conto dei possibili risultati che questo fenomeno può portare, né tantomeno serve puntare il dito verso quel comunicato stampa, trailer o strategia di marketing per realizzare quanto il “dire la cosa giusta nel modo giusto” possa essere imputabile come colpevole. Tutti noi siamo potenzialmente in grado di riconoscerne l’odore, ma resistere alla tentazione e fare a botte con noi stessi non è sempre facile.
Lo è ancora meno quando il famoso “trenino” si manifesta in modo inaspettato, colpendo il giocatore con un comportamento inusuale. Esempio perfetto di ciò è proprio Biomutant, prima opera di Experiment 101 pubblicata da THQ Nordic, che nel corso dei suoi quattro anni di sviluppo ha saputo conquistare i giocatori grazie alle numerose idee viste, dagli stessi giocatori, come potenzialmente rivoluzionarie. Il continuo silenzio stampa, intervallato da nuovi promettenti trailer e videogameplay e la conferma, da parte del publisher, di lasciare totale libertà creativa e lavorativa al team svedese hanno fatto innamorare ancora di più il pubblico con la speranza che, magari, questo tipo di comunicazione così cristallina e onesta potesse significare qualcosa. Purtroppo ci siamo cascati di nuovo.
Biomutant: mutazione non sempre fa rima con evoluzione
Sono passati chissà quanti secoli da quando l’essere umano è andato incontro alla propria fine. Scorie, inquinamento, biomi alterati, rovine fatte di cemento e macchine arrugginite sopravvivono ai loro creatori. La natura ha preso nuovamente il sopravvento permettendo a nuovi esseri e creature mutanti, scaturite dall’unione di fauna ed elementi radioattivi, di prendere il posto della razza umana sul piano dell’evoluzione e salvaguardare il così detto Mondonuovo. Mondo al cui centro si erge l’Albero della Vita, con le sue lunghe radici che riescono a raggiungere gli angoli più remoti della mappa di gioco, simbolo di rinascita ed essenza stessa della forza vitale che permea ogni essere vivente. Tutto ciò, però, non è destinato a durare in eterno giacché la minaccia della Fine dei Tempi ha iniziato il proprio corso infettando l’Albero (e di conseguenza la flora e la fauna), alimentando guerre tra tribù e scatenando i Mangiamondo: creature mostruose il cui compito è divorare l’albero stesso. In questo contesto si muove il nostro piccolo amico mutante e pelosetto che dovrà farsi carico dell’impresa di salvare l’Albero della Vita o condurlo alla disfatta.
Per quanto la trama di Biomutant, nella sua semplicità, riesca a fare il proprio dovere dando il giusto incipit, la gestione degli elementi narrativi fa crollare tutto in poco tempo. Ebbene sì, il più grande difetto di Biomutant risiede senza ombra di dubbio in tutto ciò che riguarda la narrazione: stile, dialoghi, crescita dei personaggi, risvolti ludici e narrativi, leitmotiv, regia. Tutto scade nel banale, nel retorico e nella noia troppo in fretta. Ma cerchiamo di andare per gradi.
Come sicuramente avrete intuito guardando i video gameplay rilasciati da THQ Nordic in questi anni, Biomutant regge le sue fondamenta narrative sull’utilizzo di un narratore che, a conti fatti, rappresenta la summa di ciò che non funziona narrativamente nel titolo. Già altri videogiochi, nel corso degli anni, hanno sperimentato l’utilizzo di un solo personaggio come voce narrante di tutte le vicende collegate al mondo di gioco e al giocatore stesso in maniera ottima e funzionale (basti pensare a Bastion o Transistor di Supergiant Games). Ciò che fa il titolo di Experiment 101 è ampliare il concetto portandolo in un contesto open world da decine e decine di ore di gioco in cui, semplicemente, non funziona. Usare un narratore extradiegetico fa calare vertiginosamente il ritmo dei dialoghi per via della parlata incomprensibile dei personaggi a cui fa seguito la traduzione e spiegazione del narratore con l’utilizzo del discorso indiretto, rallentando la progressione e aumentando considerevolmente la durata di ogni linea di dialogo. Lo stesso utilizzo del discorso indiretto causa un ulteriore distaccamento emotivo tra gli eventi narrati e il giocatore, il quale si ritroverà a non provare nessun coinvolgimento per ciò che sta accadendo a schermo, perfino se potenzialmente drammatico. Ad aggiungere un po’ di confusione ci pensa la regia delle poche scene d’intermezzo, fatta di inquadrature statiche e bruschi tagli tra una sequenza e l’altra.
Perfino la scrittura dei dialoghi ci è risultata superficiale e ridondante, a causa soprattutto dalla mancanza di una caratterizzazione dei personaggi secondari e dei comprimari, i quali si limiteranno a farsi ricordare solo per le loro caratteristiche fisiche. Tale mancanza rende i dialoghi senza anima, retorici, incentrati sulla filosofia spicciola del “bisogna accettare il passato e andare avanti” o il concetto di “vendetta o perdono” senza dare il tempo adeguato alla trama di approfondire il significato di entrambe le opzioni e tutti (sottolineiamo tutti) ripetitivi all’inverosimile senza neanche il cambio di una virgola; e ciò accade sia con i personaggi secondari che con quelli primari, durante l’avanzamento della trama.
Il nostro protagonista non è da meno in quanto a carattere ed evoluzione, anzi, il suo essere un alter ego del giocatore e la presenza di un sistema karmico rende le problematiche ancora più evidenti. Non solo scelte di dialogo ripetitive ma anche imbarazzanti e senza contesto, soprattutto quando entrano in gioco gli spiritelli che rappresentano la nostra coscienza e che fanno le veci del sistema karmico, i quali compariranno nei momenti di scelta del karma facendo scenette comiche e battutine che farebbero divertire un bambino di quattro anni, gli stessi anni che dimostra il protagonista con le scelte di dialogo che compaiono in tali occasioni. Neanche il suo background narrativo viene in suo soccorso, presentandosi tramite flashback in solo un paio di occasioni e tutte nella prima ora di gioco, cancellando anche quella possibile aura di mistero che non fa mai male.
Biomutant: ha un’Aura potentissima… circa
Come già accennato poc’anzi, all’interno di Biomutant è presente anche una componente legata al karma definita Sistema Aura: durante tutta la durata dell’avventura il furry protagonista si imbatterà in scelte che faranno aumentare un contatore (sempre consultabile) di Luce e Oscurità basato sullo Yin e Yang, per cui non si dovrà scegliere per forza una delle due fazioni ma viene data la libertà di bilanciarle per arrivare a sbloccare bonus di natura ludica (per quanto quella con la statistica più alta rappresenti comunque il lato da cui si schiera il giocatore con relativi cambiamenti nei dialoghi). Più che la moralità, tale sistema rappresenta un ulteriore leveling del personaggio staccato dalle statistiche e legato ai poteri mutageni che in Biomutant si dividono in due categorie: le Biomutazioni e i Poteri-Psio. I primi sfruttano i così detti Bio-Punti per sbloccare poteri legati alle radiazioni come la possibilità di creare un pugno dal terreno o far comparire un fungo utile a far rimbalzare in aria i nemici. I secondi, invece, sfruttano i Punti-Psio (gli uni e gli altri ottenibili esplorando la mappa) in correlazione al punteggio del Sistema Aura per sbloccare poteri un po’ più particolari e ricercati tra cui la levitazione, la psicocinesi e le saette. Poteri che negli scontri non fanno alcuna differenza ma che aggiungono un po’ di varietà.
Il Sistema Aura, per di più, non riesce a trovare il giusto sfogo narrativo sia per colpa dei dialoghi che per la struttura di gioco: in Biomutant la distinzione tra bene e male è decisamente troppo netta e senza alcuna sfumatura di sorta, in modo analogo a quanto succede nella letteratura per ragazzi in cui tale distinzione serve a far comprendere in maniera più semplice il confine tra l’uno e l’altro. Inoltre (senza rivelarvi troppo), progredendo nella trama, verrà data la possibilità al protagonista di scegliere quattro personaggi che possano “seguirlo in un’impresa”, scelta che ricade ovviamente sul giocatore. Con un unico problema. Dopo questa svolta narrativa, qualora conosciate nuovi personaggi, il primo dialogo vi costringerà a decidere fin da subito se portarlo con voi oppure no con nessuna possibilità di cambiare idea in un secondo momento. In pratica, nel caso voleste prima conoscere tutti i personaggi e poi scegliere da chi farvi seguire non potrete farlo, perché una volta conosciuti e aver dato la vostra risposta non potrete in alcun modo tornare indietro e scegliere diversamente, lasciando tutto alla simpatia a prima vista o al caso.
Troppe idee nel calderone
Lasciamo da parte i problemi più gravi di Biomutant per concentrarci particolarmente sull’aspetto ludico che, per quanto imperfetto e assolutamente non rivoluzionario, è capace di regalare qualche soddisfazione.
L’editing del nostro personaggio, purtroppo, non risulta essere così vario come lasciavano intendere i video di presentazione, con delle semplici barre di modifica camuffate in modo diverso ma rimanendo negli standard offerti dai GDR. La prima schermata dell’editor è adibita alla scelta della razza, fra le 6 disponibili, che delineerà le principali caratteristiche fisiche e le rispettive statistiche di base così care ai giochi di ruolo (vitalità, forza, intelligenza, agilità, carisma, fortuna), le quali verranno approfondite nella schermata successiva con la possibilità di aggiungere 25 punti in più a due statistiche a piacimento, andando ad influenzare maggiormente le modifiche estetiche: nel caso voleste aggiungere tutto a Forza il torace e le spalle dell’animaletto si faranno più grosse; nel caso aggiungeste tutto ad Agilità diventerà più mingherlino e così via. Ad ogni livello ottenuto potrete spendere un punto abilità per far salire, di dieci punti per volta, qualsiasi statistica vogliate senza però andare ad alterare l’aspetto del vostro personaggio. Avrete poi modo di cambiare la disposizione delle macchie sul pelo e la loro colorazione (e non più la quantità e il tipo di pelliccia) e, infine, di scegliere una delle 5 classi (6 col preordine) disponibili. Ognuna di queste classi offre un equipaggiamento iniziale, delle armi e dei tratti passivi diversi fra loro anche nella quantità (alcune classi sbloccano più elementi di altre), ma tutte svolgono la funzione di starting point, permettendo successivamente di variare il proprio stile di gioco, sbloccare nuovi tratti passivi e sfruttare armi corpo a corpo a una mano, a due mani, in dual-wielding e a impatto o armi a distanza come pistole, fucili a colpo singolo, automatici e a pompa; oltre ad armi uniche e particolari sbloccabili avanzando nella trama o svolgendo determinate missioni secondarie.
Il combat system risulta essere una piccola ventata di aria fresca per il genere degli open world, prendendo spunto direttamente dagli stylish action come DmC e Bayonetta con meno tecnicismo e più user friendly ibridandoli al free flow della serie Arkham, grazie all’alternanza di combo corpo a corpo sia a terra che in aria, di attacchi dalla media e lunga distanza con armi da fuoco (con la possibilità di rallentare il tempo nel caso si sparasse mentre si salta o si eseguono delle schivate), alla possibilità di contrattaccare e stordire i nemici effettuando una parata perfetta e, nel caso le armi non vi bastassero, all’uso delle Biomutazioni e dei Poteri-Psio di cui sopra. Avanzando di livello è possibile sbloccare alcune mosse dette Wung-Fu, in base alla tipologia di arma scelta, la cui esecuzione riempirà l’apposito indicatore Super Wung-Fu che permetterà di effettuare devastanti colpi corpo a corpo e ad area. Purtroppo, anche qui non è tutto oro ciò che luccica poiché il sistema di combattimento mostra i fianchi da più lati: la varietà di mosse sbloccabili è molto misera risultando nella stessa combinazione di tasti ed effetti per tutte le topologie di armi; rallentare il tempo durante gli spari in aria e con le schivate non ha un vero e proprio utilizzo se non quello di rendere più spettacolare l’azione di gioco; l’impossibilità di stoppare l’animazione dei colpi del protagonista per parare quelli di un avversario porta l’azione a essere meno frenetica e veloce di quel che sembra costringendo il giocatore a cercare un attimo di respiro allontanandosi dalla calca; la mancanza di un sistema di lock-on manuale rende un po’ complicato il prendere di mira un determinato avversario quando questi sono numerosi; scarso numero di animazioni per i nemici che molte volte si muovono come manichini e, più di tutti, la mancanza di feedback dei colpi inferti rende meno leggibili e appaganti gli scontri.
Una parte fondamentale dell’esperienza di Biomutant è la modifica totale di armi ed equipaggiamento. Per quanto quest’ultima si limiti all’aggiunta di accessori sulle varie parti dell’armatura e del vestiario preesistenti, la modifica delle armi si è rivelata essere più accattivante. Non solo avrete la possibilità di stravolgere completamente tutto il vostro arsenale ma anche di crearne di nuovo. Tutto ciò che vi occorre sono i numerosi pezzi di ricambio e scarti che troverete durante le vostre esplorazioni. Una volta raccattato abbastanza materiale potrete partire dalla base della vostra arma che ne definirà anche il tipo (a una mano, a due mani, a impatto per le armi bianche e fucili o pistole per quelle a distanza), da qui sarà possibile aggiungere il manico, il calcio, un caricatore esteso, accessori extra o una volata differenti. Tutto ciò che attaccherete alla vostra arma cambierà il suo lato estetico creando nuove forme d’arte od obbrobri inguardabili e modificherà le statistiche legate al danno, alla perforazione, eventuali effetti extra, precisione e via dicendo. Da non sottovalutare anche la richiesta dei costi di fabbricazione per le suddette modifiche che, in alcuni casi come l’upgrade della rarità o il passaggio a un materiale più pregiato, possono risultare davvero dispendiosi e, per quanto esplorerete, la soluzione migliore sarà sempre quella di smontare equipaggiamenti o parti di arma che non fanno più al caso vostro.
Un paesaggio da cartolina
Parlando di un titolo open world è impossibile non spendere qualche parola sulla mappa di gioco e su come viene strutturata la sua esplorazione. Il mondo di Biomutant creato da Experiment 101 è ricco di scorci e paesaggi da far invidia a un’agenzia turistica: dalle montagne innevate alle spiagge solcate da acqua cristallina è impossibile non perdersi ad ammirare il continuo panorama che si presenta con un colpo d’occhio niente male: le rovine grigie e cementate di vecchie abitazioni fanno a braccetto con le foreste rigogliose di un verde acceso, simbolo di come le cicatrici lasciate dall’uomo non riescano minimamente a scalfire la bellezza della natura incontaminata. Perfino le zone radioattive o completamente morte come in un film di Mad Max si lasciano esplorare con i dovuti accorgimenti: che siano armature con percentuali di resistenza molto alte o un Mech, su cui potete montare la testa di un papero meccanico e non solo, ogni luogo è interamente esplorabile fin dall’inizio del gioco. I mezzi a disposizione sono molteplici: animali ammaestrati sparsi per i vari biomi, una mano meccanica, e una moto d’acqua fatta di ferraglia, con l’unico limite che ne impone l’utilizzo solo in determinate aree. Non che l’esplorazione a piedi sia così male: tra gallerie, vecchie stazioni del treno, piccoli villaggi, fognature e città fantasma l’esplorazione vi terrà occupati per svariati minuti di zona in zona, poiché all’interno di cassetti, mensole, frigoriferi e divani potrebbero trovarsi oggetti utili al crafting o un nuovo equipaggiamento per rendere ancora più strano il vostro animaletto mutante. Oppure potreste imbattervi in vecchie cianfrusaglie legate al Mondochefu: oggetti in uso all’epoca degli umani al cui interno potrebbe esserci qualche oggetto utile ma che bisogna innanzitutto sbloccare tramite un rompicapo quasi sempre identico e sempliciotto basato sulla rotazione di manopole entro determinate mosse per far combaciare due colori identici, pena un po’ di danno che si cura in pochi secondi.
Esplorare può anche portare alla scoperta di nuovi personaggi che potrebbero sbloccare missioni secondarie sparse per tutta la mappa e che, sicuramente, offrono ricompense migliori rispetto a quelle principali. Purtroppo, però, Biomutant soffre anche a livello strutturale: lo scheletro è quello del classico gioco open world di cui il mercato è ormai saturo, con una gestione delle missioni secondarie soverchiante e decisamente dispersiva (trovare solo due oggetti per un furetto mutante non è poi così male, se non fosse che stanno ai due estremi inesplorati della mappa). In poco tempo vi ritroverete con 30 missioni secondarie in svolgimento e solamente 4 (di cui 3 a lungo termine) legate alla quest principale in cui seguirete sempre e solo lo stesso tipo di design: ad amico X serve che ripari oggetto Y perché ti tornerà utile contro l’ennesimo Mangiamondo. Perfino le bossfight con i Mangiamondo, scontri unici e importanti ai fini della trama, passano dalla decenza alla mediocrità con pattern facilmente aggirabili e addirittura rompibili, e situazioni divertenti ma troppo brevi e semplici per essere gustate a pieno.
Ovviamente anche in Biomutant non potevano mancare i soliti problemi tecnici che il genere si porta dietro: la maggior parte delle texture ambientali in bassa risoluzione, sfarfallio eccessivo delle ombre, piante bidimensionali che si deformano al passaggio, interazione ambientale totalmente assente e qualche pup-up di troppo di personaggi ed elementi dell’environment. Nulla che una sostanziosa patch del day one non potrebbe risolvere. Per quanto riguarda il lato ottimizzazione, il titolo se la cava egregiamente su PS4 Pro mantenendo i 60fps la maggior parte del tempo, con sporadici ma pesanti cali di frame in situazioni del tutto casuali. Nel caso voleste giocare il titolo su console next-gen sappiate che non è ancora disponibile una versione apposita: sia su Xbox Series X che PS5 gira grazie alla retrocompatibilità, con una risoluzione 4K per la console Microsoft e 1080p upscalati a 4K per la console Sony a causa di alcuni problemi tecnici che verranno risolti il prima possibile.
Atteso per anni come un titolo capace di rivoluzionare e far crescere il genere, Biomutant si rivela essere semplicemente l’ennesimo gioco open world fin troppo derivativo, con alcune idee potenzialmente promettenti ma di cui viene scalfita solo la superficie e scelte stilistiche decisamente sbagliate. La forza del titolo di debutto di Experiment 101 non risiede nella sua voglia di stravolgere chissà cosa ma nel trovare espedienti e soluzioni ludiche capaci di conquistare la curiosità del giocatore e regalargli qualche ora di divertimento, nonostante i numerosi difetti e limitazioni portate da uno sviluppo sicuramente travagliato e dalla voglia del team svedese di dimostrare la propria bravura. Una cosa è certa: tante idee e talento, senza il giusto bilanciamento e supporto, non portano a nessuna evoluzione.