Fin da quando l’uomo ha iniziato a farsi domande sul proprio posto nel mondo e nell’universo, la sua riflessione è andata in due direzioni fondamentali. Da una parte l’uomo si è chiesto “Da dove veniamo?“, una domanda alla quale, soprattutto nell’antichità, si è risposto creando un complesso sistema di mitologie, cosmogonie e racconti di creazione, tutti circondati da un alone di sacralità religiosa. L’altra domanda, o forse più che altro una paura profonda, onnipresente quanto incofessabile, che alberga nell’animo umano, è quella sulla fine, quella sull’Apocalisse. Si tratta di un tema allo stesso tempo spaventoso e intrigante, che nel corso dei secoli ha ispirato alcune opere d’arte iconiche e che, negli ultimi tempi, va per la maggiore nelle opere narrative di qualsiasi genere, dalla letteratura al videogioco, passando per il cinema, le serie tv, i fumetti, i manga e gli anime. E proprio dal concetto di Apocalisse (che tra l’altro porta nel nome) parte Record of Ragnarok, l’anime prodotto da Netflix e Warner Bros. Japan e realizzato dallo studio d’animazione Graphinica, adattamento del manga firmato da Shinya Umemura, Takumi Fukui e di Ajichika, il collettivo di quattro mangaka che cura i disegni dell’opera.
Serializzato a partire dal 2017 su Monthly Comic Zenon, la rivista mensile di Coamix, questo manga seinen (ossia destinato a un target più adulto rispetto ai più comuni shonen) ha incontrato un successo folgorante in Giappone, anche se il suo arrivo in Occidente è storia recentissima, del 20 giugno in effetti, quando VIZ Media ne ha acquisito i diritti per la pubblicazione, con l’intenzione di realizzare la prima edizione inglese entro l’autunno 2021. Nel frattempo però il controverso adattamento anime ha fatto il suo esordio globale su Netflix (anche se ci sono stati dei problemi in alcune specifiche regioni). Scopriamo qual è stato il risultato!
Record of Ragnarok: dèi capricciosi
La storia degli esseri umani è andata avanti per oltre sette milioni di anni, mentre una volta ogni mille anni gli dèi si riunivano a consiglio per decidere il destino degli uomini. Stavolta però il Consiglio del Valhalla, presieduto da Zeus, prende una decisione drastica: la razza umana è irredimibile, impossibile da guidare, litigiosa, un vero e proprio cancro per il pianeta. E per questo deve essere distrutta. Tutti sono d’accordo, e Zeus sta per decretare ufficialmente la distruzione dell’umanità quando Brunilde, la maggiore delle Tredici Valchirie, interviene per fermarlo. Esiste un articolo nel codice divino che prevede una possibilità di salvezza per l’umanità: è il Ragnorok, uno scontro senza quartiere tra tredici divinità e tredici tra gli esseri umani più forti della storia.
La premessa di Record of Ragnarok è disarmante nella sua semplicità, quasi banale, eppure, sulle prime, intrigante. Gli uomini che affrontano gli dèi in singolar tenzone per difendere il proprio diritto a esistere, la prima visione dell’Apocalisse nella storia in cui gli esseri umani non sono semplici spettatori, o vittime sacrificali. Allo stesso tempo, una simile impostazione è una rinuncia palese e conclamata a qualsiasi tipo di ambizione di trama: Record of Ragnarok non ha un intreccio, non ha nemmeno un minimo di canovaccio. È pura e semplice azione, una sequela continua di violenza, botte da orbi, addominali scolpiti e muscoli ipertrofici. Non c’è (e non deve esserci) approfondimento psicologico nei personaggi, non c’è una storia da seguire, persino l’accenno al fatto che le anime dei combattenti sconfitti vengano cancellate dall’esistenza ci lascia abbastanza indifferenti. Tutto quella che interessa alla serie, e dunque agli spettatori, è vedere gli dèi e alcuni grandi personaggi della storia dell’umanità (anche se la lista è un po’ controversa, ma ci torneremo) massacrarsi a vicenda in un deathmatch senza esclusione di colpi.
Allo stesso tempo però Record of Ragnarok non vuole rinunciare a una vena comico-umoristica che sfocia spesso nel cringe. A partire dal fatto che gli dèi accettino, con un ragionamento da scuola elementare, di tenere il Ragnarok nonostante sia “una perdita di tempo” perché Brunilde sostiene che abbiano paura della razza umana, per arrivare a Heimdall raffigurato come un commentatore sportivo a bordocampo alla Giacomo Ciccio Valenti dei bei tempi. Senza contare le scene in cui Zeus si rende ridicolo, la rappresentazione di Ares come un energumeno senza cervello e la presenza, fastidiosa e assolutamente insensata di Göll, la più giovane delle Tredici Valchirie. Il risultato è una disturbante alternanza di momenti epici, sottolineati dai magniloquenti canti gregoriani, e di altri puerili e imbarazzanti, e di altri ancora di puro e becero fanservice, con l’inquadratura che indugia spesso e volentieri sul generoso seno della dea Afrodite, perennemente sorretto con le mani dai due schiavi, e che sembra dotato di vita propria.
Se non altro però la rappresentazione delle divinità pagane (in questa prima stagione si vedono quasi esclusivamente dèi greci e norreni) è abbastanza accurata, almeno dal punto di vista della personalità: capricciosi, volubili tanto da rasentare il bipolarismo, come dei burattinai annoiati in cerca di una forma di distrazione qualsiasi. Poco importa che le varie mitologie vengano stravolte, riscritte, e liberamente modificate, l’obiettivo dell’anime non è certo quello di presentarsi come un manuale di storia delle religioni.
Record of Ragnarok: una carrellata d’eroi
Le liste dei combattenti che si affrontano nell’arena così simile a un Colosseo di Record of Ragnarok lasciano un po’ basiti, per tutta una serie di motivi. Anche se in questa prima stagione infatti abbiamo avuto modo di vedere soltanto i primi tre scontri, in qualche breve frame ci è stato permesso di leggere gli schieramenti completi della squadra degli dèi e di quella degli umani (che tra l’altro vengono inviati a Brunilde su un cellulare): dalla parte delle divinità, al di là di Ercole, che sembrerebbe essere un caso un pochino borderline (visto che in realtà si tratterebbe di un semidio) stupisce almeno un nome: quello di Belzebù, che però non è presente come l’Anticristo della religione cristiana, ma viene considerato soltanto in qualità di divnità dei Filistei. Poco da dire invece sui restanti dieci: Zeus, Apollo, Poseidone, Thor, Odino, Loki, Anubi, Vaisravana, Shiva e Susanoo, costituiscono una bella amalgama, abbastanza diversificata, di pantheon diversi.
I dubbi sorgono quando spuntano fuori i nomi degli eroi umani: oltre alla genialità di inserire Adamo, il primo uomo, notiamo che la lista è decisamente sbilanciata (anche giustamente visto che Record of Ragnarok è comunque un’opera giapponese) verso Oriente, con sette eroi su tredici che provengono dall’Asia. Naturale dunque, per un pubblico occidentale, non avere una grande familiariatà con i nomi di Lu Bu Fengxian (grande guerriero cinese del II secolo d.C.), Qin Shi Huang (il primo imperatore cinese, vissuto nel III secolo a.C.), Sakata no Kintoki (una figura semileggendaria del folklore nipponico), Kojiro Sasaki (spadaccino giapponese del ‘600), Raiden Tameemon (lottatore di sumo della fine del ‘700) e Okita Soji (altro grande spadaccino del periodo Edo, nell’800). Noto e arcinoto invece è Buddha, che nonostante il raggiungimento di uno stato semidivino, decide di schierarsi proprio dalla parte degli uomini. Ma i dubbi arrivano soprattutto quando si guarda agli altri campioni, quelli occidentali: se Re Leonida di Sparta è un must, sorprendono i nomi di Nostradamus e Nikola Tesla, del cecchino finlandese della Seconda guerra mondiale Simo Häyhä, di Grigorij Rasputin e soprattutto di Jack lo Squartatore. Bisognerà soltanto scoprire come verranno impiegati questi personaggi.
Record of Ragnarok però si rivela anche un contenitore di easter egg, citazioni, rimandi e omaggi da lasciare senza fiato. La serie infatti omaggia in modo quasi smaccato alcuni altri lavori del mondo anime e manga, come L’attacco dei giganti, su cui è modellato il flashback dell’attacco degli Jotnar ad Asgard. Ma è soprattutto in alcuni personaggi che si nota il citazionismo: il mento squadrato di Ares che richiama lo stile di JoJo’s Bizarre Adventures, il character design di Zeus, a metà tra un Isaac Netero di Hunter x Hunter e un Maestro Muten di Dragonball, Forseti, il dio norreno della giustizia, rappresentato in un modo che ricorda parecchio il Koby di One Piece e potremmo andare ancora avanti.
Ma gli easter egg più belli sono quelli che emergono dagli spalti gremiti: da un dio che ha palesemente la testa di Chtulhu, mostruoso essere semidivino della letteratura lovecraftiana, a Michelangelo, che vediamo abbacinato dalla bellezza di Adamo (geniale tra l’altro la riproposizione dell’affresco michelangiolesco della Creazione di Adamo sulla volta della Cappella Sistina), da Mozart (definito “bambino prodigio”) e Bach che siedono uno accanto all’altro e rimangono estasiati dall’esecuzione di Aria sulla Quarta Corda del dio Hermes, fino alla suora che viene inquadrata, sorridente e solare, poco dopo la narrazione (rivista e corretta) della cacciata dall’Eden di Adamo ed Eva. Piccolezze che arricchiscono l’opera.
Tecnicamente rivedibile
Dal punto di vista tecnico Record of Ragnarok è un’opera dalle molte facce, non tutte esattamente meravigliose. Se i disegni infatti sono dettagliatissimi e spettacolari, con una cura quasi maniacale del particolare e un cromatismo brillante, le animazioni sono ciò che ha deluso di più gli spettatori di questa serie Netflix. Lo studio d’animazione Graphinica è infatti spesso ricorso a degli stratagemmi e a dei trucchetti per evitare di animare alcune parti estremamente dinamiche della serie, in particolare nello scontro tra Zeus e Adamo, il più brutale e adrenalinico visto finora. La scelta di presentare la parte più intensa del duello con una serie di immagini statiche che scorrevano sullo schermo è stata infatti pesantemente criticata, ed effettivamente dà la sensazione di una presentazione fatta su Power Point, non all’altezza dell’epicità della scena. I fan avrebbero certo preferito un’animazione più fluida, che fosse in grado di trasmettere tutta la drammaticità e la tensione dello scontro all’ultimo sangue.
Ma non si tratta dell’unica scena che ha causato qualche polemica: anche il già citato flashback dell’attacco degli Jotnar è animato quasi a scatti, come se le immagini scorressero girando le pagine di un libro (anche se in questo caso la scelta potrebbe essere giustificata proprio dal fatto che si tratti di un flashback). Alcune altre scene invece peccano di una CGI vagamente fastidiosa, come l’esecuzione di Aria sulla Quarta Corda da parte di Hermes e della sua schiera di violini.
A fare da contraltare alle animazioni non sempre perfette c’è però un comparto sonoro da premio. Le musiche hard o black metal, alternate ai pomposi e potenti canti gregoriani e alle sonorità dell’organo che vengono spesso impegati, costituiscono un connubio perfetto e coinvolgente, in grado di scatenare l’hype durante tutti i combattimenti. La opening, Kanigami, interpretata dal gruppo nu metal nipponico Maximum the Hormone, con sonorità da Slipknot wannabe, è in grado veramente di accendere le emozioni. Ci prepara senza dubbio al combattimento!
Record of Ragnarok, nel complesso, è esattamente come si presenta: un anime tamarro, lineare, senza nessuna pretesa, senza inutili dietrologie, senza messaggi tra le righe. Un torneo senza esclusione di colpi, di quelli che ai giapponesi piacciono tantissimo e che sono in ogni shonen che si rispetti. Un anime che non inganna, che non si sopravvaluta, che ha ben chiara fin dall’inizio la sua identità e vi rimane fedele nel corso dei dodici episodi. Un’opera brutale e violenta che, al netto di alcune battutitine trite e imbarazzanti, di momenti non esattamente brillanti e di aspetti tecnici rivedibili, resce a intrattenere e a divertire il giusto. Per cui, se siete in vena di una cafonata con cui passare all’incirca due ore della vostra vita, quest’anime potrebbe fare assolutamente al caso vostro.