Siete pronti a tuffarvi in un Giappone feudale che si confonde col mito, fatto di eroi dalla ferrea forza di volontà intenti a combattere per i propri sogni? Samurai Warriors 5 fa propria, quanto e forse più dei predecessori, una tematica shonen evidentissima e, chiaramente, calzante a pennello. Un pennello per pittura sumi-e, naturalmente.
Samurai Warriors 5: Affilate le katane… abbiamo un Giappone da unificare!
Sono passati quasi 25 anni dal primo Sangokumusou: all’epoca l’idea era quella di creare un picchiaduro versus con protagonisti versioni idealizzate dei grandi eroi della storia classica cinese dell’epoca dei Tre Regni. Nel 2000, il grande passo: il titolo (divenuto noto in occidente come Dinasty Warriors) diventa un action che riproduce conflitti su grande scala in cui interpretiamo un condottiero, intento a dar battaglia in ampi scenari falcidiando frotte di nemici e conquistando obiettivi strategici, assediando fortini, combattendo generali avversari e dando man forte agli alleati. Il format, tra alti e bassi, piace abbastanza, tanto che da allora Omega Force, in seno a Koei prima e Koei – Tecmo dopo, realizzerà quasi solo questo gioco, in mille salse e varianti. La più nota tra queste è la versione con i personaggi della storia nipponica relativa al periodo Sengoku, che ha portato poi all’unificazione del Giappone: Sengoku Musou, o Samurai Warriors in occidente, è noto e seguito dagli appassionati, che però non vedevano una nuova versione da molti anni: l’ultima versione è stata la 4-II, del 2016.
L’innovazione passa dalla tradizione
Nel 2021, dopo i successi delle ultime versioni rebrandizzate della formula di gioco (Persona 5 Strikers e Hyrule Warriors: Age of Calamity, che hanno convinto anche la critica e non solo lo zoccolo duro dei fan) Omega Force decide di dare una svecchiata alla saga con un reboot parziale: Samurai Warriors di fatto riparte dal 5 episodio numerale, sia da un punto di vista della storia che da quello stilistico. Ma l’approccio al gioco? Non tanto, in verità. Ma andiamo con ordine.
La storia prende le mosse dal periodo Sengoku, pieno di conflitti tra signori della guerra in perenne conflitto per espandere i propri domini. È un periodo molto amato della storia del Giappone, perché ha visto fiorire la figura del samurai eroico e del condottiere “illuminato”, dando vita a mille e una leggenda fiorite poi nella fiction. I condottieri dell’epoca sono veri e propri miti, assurti a eroi e villain di mille romanzi, film, anime… e videogiochi, tra cui il Sengoku Basara di Capcom e il qui censito Samurai Warriors.
La storia di Samurai Warriors 5 non tiene conto degli episodi precedenti ma riparte dalle “origini” del mito, sotto altre prospettive. Sanada Yukimura, figura protagonista degli altri episodi, al momento non è presente nel roster dei personaggi né è stato annunciato: inizieremo la nostra avventura nei panni di Nobunaga Oda, per certi versi visto come il “grande boss” del franchise, qui presentato inizialmente in una versione giovanissima ma non certo inesperta. Un po’ tutti i personaggi, in verità, appaiono decisamente più giovani di quanto siamo abituati a vedere: ma dall’ultimo trailer ora sappiamo che, perlomeno sul concludersi del gioco, guadagneranno un aspetto più maturo. Il punto di vista di Oda (e dei suoi alleati) sarà quello iniziale, ma l’altro grande eroe della nostra storia sarà Mitsuhide Akechi, che ci mostrerà un altro aspetto del conflitto. Del resto, la narrazione di una guerra non ha mai una versione unica, ma dipende dal punto di vista di chi la affronta…
Basilarmente, il gioco è una interessante evoluzione (ma ben lungi dall’essere una rivoluzione) della formula di gioco classica: avremo degli scenari di battaglia da affrontare, di volta in volta, in cui potremo scegliere il nostro condottiero e scendere in campo per conquistare il nostro obiettivo, che varierà di volta in volta, anche all’interno della battaglia stessa: sconfiggere un determinato nemico, conquistare un avamposto e così via. All’interno dello stesso scenario, inoltre, saranno presenti numerose quest secondarie, tutte da svolgere a seconda delle proprie priorità e abilità. A piedi (o a cavallo) il nostro eroe potrà esibirsi in tutta una serie di mosse più o meno uniche volte all’annichilimento di orde di avversari di fanteria, arcieri, truppe semplici e così via, da spazzare via senza rimorso alcuno (e, in verità, anche senza difficoltà alcuna) con un cospicuo numero di ufficiali presenti con cui ingaggiare avvincenti duelli. Qui solitamente si dividono gli estimatori del franchise Musou e chi, invece, non riesce proprio a “digerirlo”: l’azione, in sostanza, è discretamente ripetitiva, tra orde di soldati da sbaragliare come fuscelli, corse a rotta di collo tra i vari angoli del campo di battaglia e sfide con eroi titolati dagli accentuati poteri. C’è chi lo trova noioso, chi invece si esalta (e al contempo trova catartico) nel far fuori centinaia di soldati semplici per poi trovarsi faccia a faccia con un generale e scegliere dove accorrere subito dopo, con un dinamismo e dei capovolgimenti di fronte da anime, elemento tra l’altro ancor più accentuato in questo episodio grazie al nuovo appeal grafico del motore di gioco.
Samurai Warriors 5: inchiostro fluttuante
Lo stile pittorico del cell shading applicato alla grafica dona sicuramente una marcia in più al titolo rispetto a tutte le altre incarnazioni del franchise, ricordando vagamente l’Ukiyo-e e il Sumi-e, ma anche quanto fatto da SNK con l’ultimo Samurai Shodown, visto anche lo svecchiamento del character design, inizialmente spiazzante per chi conosceva già le vecchie versioni dei personaggi, ma che effettivamente conquista dopo poco, rendendo i protagonisti decisamente meglio caratterizzati e con più sfumature caratteriali espresse già solo dal look. E l’appeal dei personaggi, in un gioco come questo, fa davvero molto: le storie personali e gli intrecci sono parte integrante del contesto e appassionarsi a tutto ciò è fondamentale per appassionarsi al gioco e dare un significato a tutte le interminabili battaglie dell’epoca.
Il nuovo stile grafico non è l’unico tentativo di svecchiar una formula che ha ormai più di vent’anni sul groppone: lo shift della narrativa da una prospettiva più episodica e corale a una più intima e quasi familiare, incentrata su Oda, tesse i fili di una trama più efficacemente appassionante, meno dispersiva e meno confusionaria, per chi non conosca già questi personaggi per averli studiati sui libri di storia (vera).
Qualche aggiunta alle meccaniche di gioco, qua e là, è presente e generalmente ben gradita: ad esempio c’è un’implementazione tutta nuova della propria roccaforte, detta Citadel Mode, che permette di partecipare a molte missioni di difesa atte a racimolare punti esperienza e oggetti, nonché a potenziare lo stesso avanposto, le proprie armi e le proprie caratteristiche. Il Citadel Mode poteva essere reso più coinvolgente, con la possibilità di decorare il castello e assegnarne le stanze, magari rendendole esplorabili; così com’è è solo un ammasso di menù. Oltretutto, è buona l’idea di potenziare il rendimento nella campagna principale utilizzando proprio un elemento aggiuntivo come questo, ma il fatto che sia solo comunicante con la campagna principale e non direttamente integrato è una strana scelta.
La quantità di personalizzazioni è discreta, ma un po’ dispersiva e banale, dato che si possono praticamente creare personaggi piuttosto simili che, alla fine, differiscono unicamente per la skin e qualche animazione, utilizzando però armi e moveset simili se non identici. Sebbene tutti abbiano la loro arma d’elezione, difatti, vengono così a mancare tratti davvero distintivi, al di là di animazioni e finisher. Tutte le varie mosse, contromosse e supermosse aggiunte, poi, aumentano sicuramente la varietà, ma rimangono nella maggior parte dei casi mosse da spammare ad libitum o, nei momenti più complessi, con un pizzico di furbizia relativa al nostro avversario.
Haters gonna hate
La narrativa con un focus e un periodo storico più centrati aiutano l’immersività ma, al contempo, risultano più limitanti rispetto al passato. Samurai Warriors 5 è perennemente in cerca di un’identità propria, dato che l’impalcatura è quella di sempre ma le novità tentano di darle continuamente scossoni, purtroppo a vuoto. Il gioco è più stylish, meno convulso, ma non riesce davvero a decidere da che parte stare, in bilico tra vecchio e nuovo. In certi punti sembra spingersi verso una fruizione più semplice, in altri complica inutilmente le cose.
Inoltre, il roster di personaggi è piuttosto limitato rispetto al passato: 37 personaggi in tutto, di cui dieci sono minori, e ai fini della trama ancor meno sono quelli che effettivamente utilizzerete spesso. Meglio la qualità che la quantità, senza dubbio (altri musou vantano roster a tre cifre zeppi di personaggi pittoreschi, se non improponibili) ma in questo caso durante la modalità principale potreste sentirvi più legati del solito, se siete fan della saga.
Anche da un punto di vista tecnico viaggiamo tra alti e bassi: graficamente il titolo si difende bene, pur non mostrando eccellenze di alcun tipo. Lo stile grafico è molto bello, ma non così originale, andando però a mascherare in maniera ottimale quel che non è cambiato, rispetto al passato: un generale riciclo di situazioni, ambienti e texture che, ad ogni modo, si dispiegano fluidamente su schermo senza rallentamenti, incertezze, fastidiosi pop-up che caratterizzavano altri esponenti precedenti del genere. A proposito di elementi fastidiosi, c’è da segnalare quel che è, a conti fatti, comunque l’unico vero difetto del gioco, al di là di tanti elementi semplicemente opinabili: la telecamera del gioco. Difficile capire il motivo effettivo, ma è notevolmente peggiorata rispetto ad altri titoli Musou, non riuscendo a seguire efficacemente l’azione e con un lock-on piuttosto fallace e che induce nella camera repentini cambi di posizione che, a seconda del personaggio e del suo stile di lotta, potrebbero addirittura risultare molto fastidiosi.
Piattaforme: PlayStation 4, Xbox One, PC, Nintendo Switch
Sviluppatore: Omega Force
Publisher: Koei Tecmo
C’è poco da fare: da qualunque punto lo si guardi SW5 resta un epigono della saga, nel bene e nel male, esponendosi al più classico dei ragionamenti in stile “haters gonna hate”: se in generale i musou non vi piacciono, guardate altrove; se al contrario vi divertono, avrete pane per i vostri denti. I detrattori della saga non cambieranno idea grazie a SW5: il nuovo stile grafico e narrativo non è abbastanza per passare sopra a tutta una serie di piccoli difetti. Alcuni sono atavici e fanno parte del “pacchetto musou”, ad esempio la non elevata IA degli avversari, che però in chi cerca solo orde di manichini da falciare (ed è una discreta fetta di appassionati) piace; altri, invece, sono specifici: com’è possibile che la gestione della telecamera sia così deficitaria rispetto al passato?
Tuttavia, chi invece apprezza i musou sicuramente impazzirà per questo nuovo capitolo, trovandolo più asciutto e scattante, nonché abbastanza rinnovato senza tuttavia uscire dalla sua comfort zone. Oltretutto, Samurai Warriors 5 è un ottimo entry level all’interno della saga, per chi volesse avvicinarcisi: le meccaniche sono semplici ma non semplicistiche e la storia riparte da capo.
Se non avessimo già avuto Hyrule Warriors: Age of Calamity e Persona 5 Strikers e avessimo visto che “un altro musou è possibile” forse avremmo valutato meglio SW5, che in sostanza è comunque tra i migliori esponenti del genere. Va dritto per la sua strada, imperterrito come un daimyo, conscio dei suoi limiti ma fiducioso nelle sue innegabili qualità.