Monster Rancher 1&2 DX è uno di quei titoli che non mi sarei mai aspettato di trattare in una recensione… nel 2021. Già soltanto la serie anime, che pure personalmente tengo stretta nel cuore fin da quando ero piccolo, non aveva esattamente segnato un’epoca in Italia. Come molti suoi simili “Pokémon Like” fuori dalla terra del Sol Levante aveva rappresentato una piacevole distrazione pomeridiana; due stagioni dopo, sempre da noi nello Stivale, si era già passati oltre, e senza nemmeno generare troppo merchandising ufficiale. “Ti ricordi i Monster Rancher?” ho chiesto ad alcuni amici. Ricevendo risposte per lo più negative, o distratti “Ah si, la serie con il pinguino verde e i dischi di pietra?”. Proprio lei. Più o meno. Eppure, stranamente, anche i più smemorati hanno capitolato di fronte a un altro trigger mentale ben più forte: il primo capitolo per PS1 della saga videoludica. Che, pur non associandolo al brand Monster Rancher, è rimasto nell’immaginario di un mio amico in particolare come: “AAAH SI’! Era il gioco in cui potevi trasformare i dischi di Gianni Morandi in mostri!!”. Proprio lui. Più o meno.
Monster Rancher 1&2 DX: dimenticate l’anime
Scordatevi fin da subito, come molti dovettero fare all’epoca della prima release, le velleità narrative dell’anime ufficiale. Di quell’ottimo prodotto audiovisivo e dei suoi personaggi restano unicamente i mostri e la lore. Riassumibile più o meno in “Dio creò i mostri per aiutare gli uomini, gli uomini li usarono per farsi la guerra e combatterci. Allora Dio chiuse i mostri in dischi di pietra magici. Poi, sempre Dio, anni dopo decise di riprovarci, e permise agli uomini di estrarre i mostri dai dischi.”. Indovinate cosa ci fecero loro? Esatto: li usarono per lavorare la terra, consegnare pacchi, come animali da compagnia, e per combatterci. E vabbè. Dio, che vuoi farci: siamo fatti così. Lo ripeto: se però da Monster Rancher 1&2 DX state iniziando ad aspettarvi anche solo una briciola di trama, narrazione o world building… desistete. Non avete minimamente capito di che gioco sto per parlarvi. E anche io, prima di mettermi a lavoro su questa recensione, avevo evidentemente la memoria offuscata dagli anni.
Partendo dal fondo dell’esperienza, ovvero i combattimenti contro altri allevatori e mostri, Monster Rancher si caratterizza dunque come una produzione tarata su altre priorità. Incapace oggi come allora di rivaleggiare sul fronte del “monster battling”. Mancavano, infatti (e oggi in onor di fedeltà non sono stati ritoccati), la spettacolarità, la strategicità dei tipi e delle debolezze; e, ovviamente, i mezzi tecnici a disposizione di Nintendo. Pokémon Stadium a dire il vero venne alla luce solamente un anno dopo Monster Rancher 1 per PS1, nel 1998. Mentre coevo del capitolo presente nella collezione DX nasceva e veniva commercializzato il duo portatile Pokémon Argento e Oro. Così, in parte consci di starsi scontrando con una serie di, letteralmente, “mostri sacri”, in quel di Tecmo preferirono ottimizzare i costi di sviluppo e gli sforzi produttivi. Differenziandosi dai suddetti mostri tascabili con una meccanica meno “digitale” e molto più “analogica”. La lettura dei dischi. Ma andiamo con ordine.
Sta di fatto che senza una guida, o una buona dose di fantasia/intuizione, approcciarsi ai combattimenti di Monster Rancher 1&2, DX o meno, è un’esperienza mistica. “Cosa sto facendo? Perché lo sto facendo? Come faccio a smettere di farlo?” mi sono chiesto a più riprese mentre consentivo a un drago nemico di erodere la barra dei PV del mio lupetto blu. Fino a ucciderlo. Letteralmente e per sempre (più o meno). Perché sì, un’altra delle caratteristiche che Rancher fece sua da subito, imitando forse più Digimon che Pokémon, fu un’adultità più marcata. Che si traduce in: ciba bene i tuoi mostri, non farli stancare troppo e attento mentre lotti. A volte, se non ti arrendi in tempo durante la lotta, i danni riportati potrebbero portare alla morte la tua creatura. E poi ti tocca trovare un altro disco da leggere per farne nascere una nuova. Ma, purtroppo, non se giocate alla versione DX su Nintendo Switch.
Senza disco godi solo a metà
Ricordate l’intro? Non ero impazzito, e nemmeno lo era l’amico che mi ha ricordato questo particolare succosissimo di Monster Rancher 1 per PS1. Che consentiva ai giocatori di riprodurre la meccanica presente nell’anime con fedeltà totale, e usare il lettore dischi della PS1 per liberare mostri unici dalle loro disco-prigioni. Ovviamente, creature diverse in base al risultato della lettura. Era come magia, e come maghi appena usciti dall’anime ci sentivamo tutti. Solo che i dischi non erano di pietra, ma di plastica. Possibile che i Monster Rancher esistessero davvero, e noi fossimo intrappolati dal lato sbagliato dell’Isekai? Chissà. Oggi ancora mi trovo a domandarmelo, pur sapendo che, purtroppo, a meno di non trovare una PS1 e una copia di Monster Rancher, buona parte della magia è sparita con l’avvento del cloud; e la scomparsa dei lettori CD obbligatori dal panorama multimediale. Come faremo a leggere i dischi su Nintendo Switch, che usa solo cassettine? Ci chiedemmo noi tutti fanatici dei Monster Rancher all’annuncio della DX. Risposta di Tecmo Koei: con un database digitale pre-installato nel titolo.
A funzionare funziona eh: il database è consultabile facilmente, sfruttando una modalità di selezione casuale di un disco musicale presente in memoria, o una barra di ricerca apposita. E come un tempo, da ogni disco del database si ingenera un mostro unico per caratteristiche estetiche, offensive e difensive. Rendendo il database, di fatto, il miglior modo di avere mostri potenti in fretta, dopo una veloce ricerca online. Infatti, a ogni disco è ancora associata la stessa creatura che sarebbe nata se avessimo davvero letto quello specifico CD fisico. Ma la magia non c’è più. “Se non ti lecchi le dita godi solo a metà” recita un noto spot televisivo. E se non prendi il disco dalla Fiat Uno della nonna, per poi tentare di evocare lo spirito di Rino Gaetano in Monster Rancher, senti che un pezzo della tua infanzia se ne è andato. E tu sei ancora più inchiodato nella parte grigia dell’Isekai.
Tamagotchi
Sì, va bene, come si combatte lo avete capito. O forse no, dato che pure io ho qualche difficoltà ancora adesso. Scherzi a parte: di base ricordate solo che la distanza tra voi e il mostro nemico corrisponde a una di tre mosse a disposizione. Poi spammate e vincerete/perderete molto in fretta. Ah già: non pensate di fare gli eroi che credono “nel cuore del proprio mostro”: la differenza di statistiche è davvero tanto, tanto rilevante in Monster Rancher 1&2 DX. Ragion per cui anche qualora riusciate a padroneggiare l’arte degli scontri, sarà fatica vana senza una preparazione impeccabile a posteriori del vostro mostro personale. Preparazione che, vi avviso, anzitutto corrisponde a buoni ¾ del gioco. E non varia troppo da un’esperienza “Tamagotchi” semplificato. Giuro.
Una volta ottenuto il primo mostro, per circa 2 anni di gioco vi prenderete cura di lui con amore. E lo farete combattere rischiando la sua morte, ovvio. Ad ogni mese corrisponde una serie di attività che potete svolgere con il mostro, e che modificano le sue statistiche. Classiche come dire “attacco, velocità, ps ecc.”. Ma sia in Monster Rancher 1 che nel 2 per PS2 di qualche anno dopo, non pensate di assistere a chissà quali scenette di intermezzo, cut-scene o simili. Accontentatevi di un piccolo riquadro esemplificativo in MR1 (questa, come anticipavo, in stile Tamagotchi); o di una sequenza renderizzata (male) in engine di gioco nel 2. Ciononostante, non mi sento di criticare troppo questa scelta semplificativa. Il cui risultato, alla fine, è un focus totale del giocatore direzionato verso l’unico risultato che conti davvero: migliorare il vostro Monster. In questo, Monster Rancher 1&2 DX si giocano proprio come i fan del vero e vetusto Monster Taming genre desiderano da anni: senza pensare ad altro che alla cura del mostro. Sta a voi gestire le risorse economiche per cibarlo ogni mese, farlo lavorare per migliorarlo e ottenere introiti sufficienti a spedirlo “a scuola” per far crescere di molto le sue stat. E poi guidarlo in battaglia, di torneo in torneo, fino ai più prestigiosi livelli di sfida possibili. Anche perché complice l’operazione di remaster, potrete farlo godendo di qualche quality of life improvement, e di 27 mostri precedentemente non ottenibili in Europa e USA.
Monster Rancher 1&2 DX: in conclusione, come un ottimo aceto
Monster Rancher 1&2 DX non è invecchiato come un buon vino. Ma come un ottimo aceto. Un balsamico che non va certo tracannato in bicchiere, data la sua asprezza e mancanza di rotondità, di morbidezza. Un aceto che condisce un genere di alimenti, il monster-taming, come si faceva una volta. E che per questo, non piace a tutti, né vuole piacere a tutti. Tuttavia, non basta questa ferrea volontà di restare fedeli a se stessi e alla propria storia per atterrare in sicurezza nel futuro. E infatti questa remaster è innegabilmente datata sotto ogni punto di vista, dal tecnico al sonoro al ludico. Tanto da non consigliarla alle nuove leve? Quasi. Di sicuro, tanto da non consigliarla a giocatori che si aspettano un’avventura. Perché Monster Rancher 1&2 DX di avventuroso non ha proprio un bel niente.
Piattaforme: PC, Nintendo Switch
Sviluppatore: Koei Tecmo
Publisher: Koei Tecmo
Il bello è che il venticinquennale della serie, però, può comunque dirsi festeggiato a dovere. Un party in piena regola per tutti coloro che non si aspettavano altro da una serie di nicchia. Che tenta di riportare in auge fuori target (in Europa) un genere di videogiochi sempre più annacquato e lontano dai suoi esordi. Che questa remaster sia l’inizio di una nuova alba occidentale per i Monster Taming Game puri?