Scrivere una recensione è sempre un compito complicato e delicato, ma ci sono alcune occasioni in cui il semplice atto di esprimere un’opinione, un giudizio, su qualcosa che si è visto, si rivela essere molto più arduo del consueto. Questa seconda parte della Final Season de l’Attacco dei Giganti sta dimostrando, settimana dopo settimana, episodio dopo episodio, di essere quel genere di serie di cui è difficilissimo parlare, anche se ci sarebbe almeno qualche milione di spunti di riflessione.
Negli ultimi due episodi in particolare, il diciannovesimo prima, e il ventesimo adesso, la narrazione della serie (che esce in simulcast in esclusiva su Crunchyroll) è arrivata a un fondamentale punto di svolta, con Hajime Isayama e lo studio MAPPA che ci hanno condotto in un vasto deserto desolato, sotto una volta celeste notturna trapunta di stelle scintillanti, occupato soltanto dal luminoso albero da cui si dipanano i Sentieri e che rappresenta la Coordinata. Qui le storie di Zeke ed Eren Jeager stanno per cambiare. Qui l’intera storia sta per cambiare. Qui l’Attacco dei Giganti entrerà, effettivamente e definitivamente, nel suo arco narrativo conclusivo. Eppure, nonostante l’importanza di questo momento, di queste scene, è difficilissimo parlarne. O meglio, è difficilissimo esprimere in maniera coerente e lineare il caos di pensieri, idee e sensazioni generate dalla visione di un altro episodio che si è rivelato un capolavoro. Un capolavoro psicologico, s’intenda bene, di scrittura e introspezione, che non indugia mai nell’azione, che non ci mostra una sola battaglia, un solo Gigante, eppure riesce a tenerci col fiato sospeso, i muscoli tesi e il cuore che quasi non vuole saperne di battere.
L’Attacco dei Giganti: Ritorno al Passato
La seconda metà dell’episodio precedente ci aveva ben chiarito che Eren e Zeke, entrando finalmente in contatto dopo una lunghissima attesa, erano penetrati in un luogo inaccessibile, dove il tempo e lo spazio hanno un significato diverso. Lì, nella Coordinata, la Fondatrice Ymir è ancora viva, bloccata da millenni da una forza inspiegabile, che la costringe a creare i Giganti, che le impone di rispettare il volere della famiglia reale. Ogni cosa che avviene in questo luogo non ha un corrispettivo temporale nel mondo reale. Ogni azione di fuori della Coordinata è come congelata, in stand-by. Zeke lo ha chiarito benissimo, spiegando come, in quel luogo, molti anni possano equivalere a un secondo, e un secondo a molti anni.
Eren e Zeke hanno “tutto il tempo del mondo”, e si prendono la libertà di utilizzare i Sentieri della Coordinata, di rivivere i ricordi di Grisha Jeager, il padre che con il suo idealismo e le sue azioni li ha condotti infine a questo luogo, l’ultimo portatore del Gigante d’Attacco prima di Eren. Quello che Zeke vorrebbe mostrare al fratellastro è il supposto lavaggio del cervello che il padre gli avrebbe imposto, un po’ come aveva tentato di fare con lui a Marley, nella speranza di rifondare la nazione di Eldia. Zeke si aspetta di trovare un Grisha iroso, calcolatore, pronto a schiacciare tutto e tutti, a far soffrire la sua famiglia e le persone che lo amano pur di raggiungere il suo obiettivo.
Ma ripercorrendo quel fiume di ricordi, balzando di momento in momento, Zeke non riesce a ritrovare quel padre. Quello che si vede davanti è un uomo che ama la sua famiglia, che sembra capace di rinunciare al suo progetto per amore di Carla e di Eren, un uomo che, in un tenerissimo e toccante momento, intravede la figura del primo figlio vivida, di fronte a lui, e la attribuisce a un semplice sogno, senza sapere, senza capire invece, che è la realtà, che Zeke è lì, che lo guarda e lo sente davvero.
Il Grisha che Zeke voleva mostrare a Eren non c’è. La sua convinzione che il fratello minore sia stato condizionato dagli ideali restaurazionisti paterni si infrange su una verità incontrovertibile e terrificante. È Eren, è sempre stato Eren. Quella che gli si è mostrato non appena entrati nello spazio della Coordinata, quella è la vera anima di suo fratello minore. Eren è e rimane, in tutti i suoi pregi e in tutti i suoi difetti, il personaggio degli assoluti. Libertà totale o annientamento, Eldia o Marley, noi o loro, Tutto o Niente. È qui forse, che per la prima volta, Zeke comincia a comprendere di aver commesso un errore.
L’Attacco dei Giganti: i Tratti Caratteristici
Sono state moltissime le opere di narrativa, nel corso della storia umana, che hanno fatto ricorso a un qualche tipo di manipolazione del tempo. In genere il rischio è sempre quello che, non sapendo come gestire un simile potere le storie si vadano a ingarbugliare, perdendosi in un numero infinito di universi alternativi e paralleli. Questo rischio l’Attacco dei Giganti non lo corre. Quando sentiamo Grisha parlare per la prima volta dei Tratti Caratteristici dei Giganti, gridandolo in faccia a una Frieda Reiss attonita e stupita, la spiegazione delle abilità straordinarie del Gigante d’Attacco non sembra mai essere una forzatura. I possessori del Gigante d’Attacco sono in grado di percepire e vedere tutti i ricordi degli altri possessori, sia di quelli che li hanno preceduti che di quelli che li seguiranno. Quasi che tutti i possessori del Gigante d’Attacco vivessero in una sorta di limbo temporale all’interno della Coordinata, uno spazio in cui il tempo come flusso non esiste, e tutti i momenti, il passato, il presente e il futuro coesistono in una sorta di Eterno Adesso.
Si tratta di un qualcosa che Eren aveva già accennato nella prima parte della stagione, insinuando che gli evidenti sentimenti provati da Armin nei confronti di Annie fossero dovuti ai ricordi di Bertholdt, il precedente possessore del Gigante Colossale, che era innamorato proprio della ragazza. Eppure è qualcosa di ancora più enorme, e a suo modo spaventoso. Quello che Grisha non dice (forse perché inizialmente nemmeno lui lo ha capito) è che i possessori del Gigante d’Attacco non si limitano a conoscere i ricordi degli altri, ma possono visitarli, vederli, e intervenire direttamente su di essi.
È interessante, per esempio, che, nonostante abbiamo rivisto la scena decine di volte nel corso delle prime tre stagioni, solo in questo episodio siamo riusciti per la prima volta a guardare in viso Grisha mentre lascia la sua casa di Shiganshina per l’ultima volta e promette a Eren di mostrargli la cantina. Il motivo è tutto nell’espressione dell’uomo: è vacua, assente, e al tempo stesso terrorizzata. Come se non fosse più padrone delle sue azioni, come se qualcun altro lo stesse costringendo a fare qualcosa che non vuole e lui non possa fare altro che osservare, spaventato, da un angolo della sua mente, cosciente ma incapace di agire. E la dimostrazione finale è lì, nella cappella sotterranea di cristallo dei Reiss: Grisha si sta tirando indietro, non è in grado di compiere la sua missione, non è in grado di uccidere dei bambini, forse si lascia persino convincere dalle parole di contrizione e autoannullamento di Frieda Reiss, che tanto somigliano agli insulti razzisti che i marleyani riservavano agli eldiani. Eppure, durante quel dialogo, con una scelta registica che potrebbe solo in apparenza sembrare scontata, l’inquadratura indugia sull’espressione di Eren, che è stato apatico per tutto il corso dell’episodio, ma che qui, solo qui, reagisce alle parole della Regina della Mura con quello che sembra quasi un ringhio.
E solo a quel punto, Eren interviene. Interviene apertamente nel ricordo di suo padre, sussurrandogli all’orecchio terribili ricordi, giocando col suo stato mentale, manipolandolo nel momento di estrame fustrazione fino a argli quell’ultima spinta giù, nel baratro della follia. In un momento denso di pazzia, Grisha compie il suo destino, e quello di suo figlio: ottiene il Fondatore, si prepara a farsi divorare, e soprattutto vede. Grisha vede i piani di Eren, vede il futuro nei ricordi che suo figlio stesso non ha ancora vissuto, e tutto ciò che può fare è, disperatamente, cercare rifugio nell’abbraccio, nelle lacrime, chissà, forse nel perdono, di Zeke.
Il villain
Ogni storia ha un protagonista, che in genere è anche l’eroe positivo della narrazione, e un antagonista, che il suo grande oppositore. In secoli e secoli di umana narrativa questi ruoli sono stati quasi sempre abbastanza monolitici, con l’eroe impegnato nella sua lotta a favore del bene contro il villain che cerca di far prevalere il male. Pochissime sono le opere che, al pari de l’Attacco dei Giganti, ci mostrano una migrazione totale di quello che ritenevamo essere l’eroe protagonista verso il ruolo dell’antagonista. In questo episodio della serie di Isayama si consuma un cambiamento totale, sottolineato anche e soprattutto da quell’ultima scena, con Eren che si erge di fronte a uno Zeke terrorizzato nello spazio della Coordinata. L’eroe è diventato il villain. Finalmente, dopo tanti dubbi e tante incertezze, sappiamo chi è il nemico. È Eren, è sempre stato Eren.
È stato lui a causare tutto, lui a dare il via alla spirale di morti e distruzione. Lui, che nella ferma volontà di compiere il suo piano non si è fermato di fronte alle morti, alle perdite, alle vite infrante. Il vero motore de l’Attacco dei Giganti è quello stesso ragazzino con i verdi occhi duri che ora sembra pronto a scatenare l’Apocalisse per di perseguire quel suo unico, incrollabile ideale: la libertà!
In conclusione, alcune parole devono essere necessariamente dedicate a MAPPA, è alla sua capacità di confezionare un anime che non fa altro che salire di colpi di episodio in episodio. Con questa seconda parte della Final Season de l’Attacco dei Giganti, lo studio d’animazione giapponese sta veramente dando dimostrazione di tutta la sua maestria da ogni singolo punto di vista. Esattamente come il precedente episodio (tra l’altro molto più dinamico), anche questa ventesima puntata è animata in modo sublime, ma sono soprattutto i disegni e il cromatismo spettacolare a colpire l’occhio, senza dimenticare una colonna sonora sontuosa, in grado di accompagnare con delicatezza i momenti più introspettivi, salendo poi rapidamente di tono nelle scene clou. Un capolavoro che verrà ricordato come una delle pietre miliari della storia degli anime.
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