Proviamo per un solo momento a fare un piccolo salto indietro nel tempo. Ci troviamo all’interno di una vecchia sala giochi, o anche di un bar se volete, tipica degli sfavillanti e “glitterosi” anni ottanta. Tra il fumo di sigaretta, il suono delle palle da biliardo colpite dalla stecca, le slot machine che tintinnano e tutto quel caro vecchio “frastuono” di avventure a 8 bit, c’era un cabinato che attirava più giocatori di tutti.
Ecco, quel cabinato altri non era che la casa di una delle palline più famose del mondo dei videogiochi, e non stiamo parlando di Kirby creato dal buon Masahiro Sakurai, ovvero Pac–Man realizzato dall’allora venticinquenne Tōru Iwatani. Ma quello che creò Iwatani non fu un semplice gioco, fu anzi uno dei giochi per eccellenza che hanno caratterizzato le sale giochi di quel periodo e non solo finendo in tutte le case degli appassionati grazie alle conversioni per console portatili e non. Ma come è stato possibile avere questa folgorante illuminazione?
Leggenda vuole che, durante una pizza con dei colleghi nella primavera del 1980, Iwatani notò che mancava una fetta nel suo piatto. Questo evento, apparentemente insignificante e banale nella sua stessa quotidianità, fece sì che “pakupaku” (ovvero “aprire e chiudere la bocca” in giapponese) rimbalzassero nella sua testa.
Dopo tale illuminazione sulla via di Damasco, Iwatani chiamò a raccolta i colleghi, un compositore e designer (incluso il compianto Hiroshi Ono che poi avrebbe contribuito a realizzare anche Galaga) per creare quello che oggi possiamo chiamare Pac–Man. Un gioco che, invece di essere “statico” come i titoli di allora, avrebbe addirittura posseduto dei veri e propri intermezzi per rendere le partite decisamente più interessanti e coinvolgenti.
Ah, ma aspettate perché non è certo finita qui! Esatto poiché, a quanto pare, il gioco doveva inizialmente chiamarsi Pakkuman (in onore all’espressione giapponese) e poi Puck–Man, ma alla Midway Games l’idea non piaceva molto. La casa americana, che in seguito diventerà famosa per aver prodotto Mortal Kombat e Space Invaders, era interessatissima a portare il progetto nipponico sul suolo statunitense, ma c’era un problema con il nome.
Come insegna il film “Scott Pilgrim vs. the World”, infatti, sarebbe stato fin troppo facile vandalizzare il cabinato passando dalla lettera P alla F mediante una semplice monetina e quindi andare a “snaturare” la stessa essenza del gioco pubblicato in patria da Namco.
Ed è proprio per questo, buffo, motivo che oggi tutti noi conosciamo Pac–Man. Un personaggio che ha fatto la sua comparsa in una serie infinita di cartoni animati, film, fumetti e persino altri videogiochi come Super Smash Bros. a fianco di Mario, Link, Zelda, Wario e tutto l’entourage di casa Nintendo ed oltre.
Ovviamente anche la saga stessa della nostra simpatica pallina gialla è andata a riempirsi di capitoli fino all’inverosimile e, per chiunque voglia recuperarli, allora non può assolutamente perdersi una chicca come PAC-MAN MUSEUM+ per rigiocare a ben 14 avventure diverse e riscoprire una delle icone più importanti del videogioco a livello mondiale.