Se c’è una cosa sicura ne l’Attacco dei Giganti, questa è che il numero di sconvolgimenti e colpi di scena apparsi nell’ultima stagione è aumentato vertiginosamente rispetto alle prime tre: merito anche di una scelta narrativa di Hajime Isayama che ha voluto saltare in avanti di quattro anni per poi cominciare a rivelarci, brano a brano, passo dopo passo cosa fosse accaduto durante quel salto temporale. Per questo, tra la prima e la seconda parte di questa Final Season, c’è stata una sovrabbondanza di rivelazioni, plot twist, dubbi e momenti di tensione, tanto da lasciare i fan quasi disorientati di fronte a una storia che ha cambiato completamente volto.
Per questo motivo, forse, lo studio MAPPA ha sentito il bisogno di rifiatare, di fermarsi un attimo e rimettere insieme le fila di una storia che si stava ingarbugliando in maniera estremamente complicata. Perché dopo un episodio frenetico, fatto di cambi di scena e di punti di vista come era stato il ventiquattresimo, quest’ultima puntata dell’anime dark fantasy si è letteralmente immobilizzata, concentrandosi su argomenti di cui i fan erano già largamente a conoscenza, rischiando di non aggiungere praticamente nulla alla trama. Eppure, anche in questo frangente particolare, questa serie riesce sempre a fornire alcuni, interessanti, spunti di riflessione.
L’Attacco dei Giganti: la coscienza non tace mai
L’episodio inizia con un nuovo flashback, riportandoci indietro di una notte, nella fredda stanza di mattoni dove Jean si trovava in bilico tra i suoi desideri e la sua stessa etica. Le immagini che gli scorrono nella mente sono intense, quasi vive. Jean si vede seduto su un terrazzo, in un pomeriggio fragrante di primavera, un bicchiere in una mano, una famiglia amorevole al di là delle tende leggere gonfiate dal vento. Il ritiro di un eroe, la degna vita che spetterebbe a chi ha passato i suoi anni migliori tra la guerra e il dolore, a combattere contro i Giganti, a veder morire i suoi amici. Quella vita è lì, alla sua portata, Floch glielo ha promesso. Eppure Jean sa che si tratta di un patto col diavolo, che quel sogno verrebbe costruito sul sangue e sulla vita di gente innocente, la stessa che lui ha sempre lottato per salvare. E anche se prova in tutti i modi a ignorare quella voce insistente che gli dice che è sbagliato, anche se prova a farla tacere con quelle dolci promesse, la mostruosa consapevolezza torna sempre a perseguitarlo e infine prende forma, volto e voce. Nel picchettare leggero di Hange Zoe alla finestra, nella sua chiamata che Jean può sentire anche attraverso le mani con cui si sta coprendo le orecchie, c’è il prevalere dell’etica, della moralità e del coraggio di un personaggio che è cambiato e cresciuto in maniera radicale, e che ora, in tutti i suoi aspetti e nelle sue particolarità, è probabilmente uno dei più belli e approfonditi de l’Attacco dei Giganti.
L’incontro nell’edificio distrutto tra Hange, Jean e Mikasa è un altro momento chiave, e non solo perché è il luogo dove viene deciso il piano di fuga che porterà gli ultimi eroi del Corpo di Ricerca a mettersi sulle tracce di Eren per poterlo fermare, ma anche, e anzi soprattutto, per il monologo di Hange. Un discorso nel quale la Comandante del Corpo di Ricerca sembra perdersi, abbandonandosi tra le braccia dei fantasmi dei compagni scomparsi, di coloro che hanno dato la vita, che si sono sacrificati, senza nemmeno sapere la verità, convinti di farlo per il bene di tutta l’umanità. Hange vaga con la mente tra le ombre fumose di Erwin e Mike, di Nanaba e Gelger, di Petra ed Erd e di migliaia di altri soldati senza nome, caduti donando la loro vita per un’ideale più grande. Per loro Hange non può mollare. Per onorare il loro sacrificio non può accettare lo sterminio indiscriminato di Eren. È un momento intenso, che richiede il silenzio, e che sostituisce la opening: questa volta non c’è spazio per il Rumbling.
L’Attacco dei Giganti: uno stufato intorno a un fuoco
C’è del surreale nella scena che riunisce i nostri nuovi eroi intorno a un fuoco da campo in mezzo al bosco. Da una parte ci sono i marleyani: Magath, Gabi, Falco, Rainer, Annie e dietro di loro Pieck, in forma di Gigante Carro, dall’altra gli eldiani: Mikasa, Connie, Armin e Jean. A fare da cerniera tra i due semicerchi opposti ci sono da una parte Hange, dall’altra i Volontari Antimarleyani, Yelena ed Onyankopon. Si tratta di una scelta netta e precisa in un’opera come l’Attacco dei Giganti, che ha sempre trovato forza nelle sfumature, nelle zone di grigio, nella difficoltà di distinguere il giusto dallo sbagliato. Perché sarà anche vero che il nemico del mio nemico è mio amico, ma tra questi due “schieramenti” c’è troppa storia, troppa violenza, troppo rancore e troppo sangue.
È una scena fatta di imbarazzi, di occhi che non riescono a fissarsi l’uno nell’altro, e di atteggiamenti scontrosi, ostili, o persino puerili. Jean e Magath che si mettono a discutere su quale delle due nazioni abbia dato inizio alla guerra, con un’imbarazzante logica da asilo nido, Mikasa e Annie che rischiano di ammazzarsi a vicenda. Tutti elementi che ci fanno comprendere come questa collaborazione nata dal caso e dall’opportunità possa rivelarsi molto più difficile di quanto gli stessi protagonisti sperassero. Ed è forse comprendendo questa situazione che Yelena decide di gettare benzina sul fuoco, di alzare la tensione fino a quel punto massimo oltre il quale il cervello si blocca, e l’unica opzione sembra quella di passare alla violenza.
Il nome di Marco esce fuori di nuovo, come una piuma nella notte, posandosi sulla coscienza di Jean con una leggerezza dolorosa. Quel personaggio che sembrava così secondario, morto insieme a tanta altra carne da cannone nella prima sanguinosa stagione di quest’opera maestosa, è tornato a perseguitarci proprio in questa serie finale, con un groppo alla gola ogni singola volta che ne ricordiamo la triste fine. Ed è con una soddisfazione estrema che vediamo Jean, sconvolto, sopraffatto, alzarsi e picchiare Rainer, sfogando su di lui rabbia, frustrazione e vendetta. Almeno fino all’intervento di Gabi.
Una bambina che, per l’ennesima volta in quest’ultima manciata di episodi, si rivela essere il personaggio meglio sviluppato e cresciuto dell’opera. Una bambina in grado di riportare la ragione tra uomini adulti che l’hanno persa. Pronta a farsi carico di un’ira che non è rivolta a lei, di un odio che non la riguarda, pronta a incassare calci che non le sono destinati, pronta a prostrarsi, a chiedere scusa, a implorare quegli adulti persi nei loro rancori di pensare a cosa ancora sia possibile salvare. È diventata un personaggio meraviglioso questa Gabi. Una perla nel cuore de l’Attacco dei Giganti.
Gli spiegoni
Come abbiamo detto all’inizio però, questo episodio de l’Attacco dei Giganti è fatto soprattutto di elementi già visti e già sentiti, mentre le poche rivelazioni che vengono fatte non sono nulla di sconvolgente o di essenziale. Cambia poco scoprire che Yelena sia nata a Marley, e che il suo unico desiderio fosse quello di compiacere Zeke, semmai rende soltanto il personaggio più cinico, spietato e pronto a tutto, e allo stesso modo i riassuntoni fatti proprio dalla Volontaria mentre la variegata e improbabile compagnia di guerrieri siede intorno al fuoco non aggiungono alla trama nulla che i fan non sapessero già.
Tutto ciò a cui servono queste scene è permettere a tutti di ricomporsi, di essere ragguagliati sulla situazione, di ripartire alla pari. Di riordinare le idee e preparasi per l’ultima, definitiva avventura, quella che potrebbe non garantire un ritorno a casa. Quella che potrebbe andare incontro a una morte dolorosa, a un massacro senza precedenti, a un genocidio senza senso.
E in questa dimensione assumono un significato tutto nuovo anche le scelte tecniche fatte dallo studio MAPPA in questo episodio, a partire dal sonoro. È una puntata molto silenziosa questa, immersa nel buio umido e ovattato degli alberi che sembrano quasi assorbire i suoni. Non c’è spazio per la musica (nemmeno per la opening), solo per le voci dei protagonisti, per i loro pensieri, per i loro confronti. E allo stesso modo si tratta di un episodio visivamente statico. Spesso i personaggi non sono altro che voci fuori campo che parlano sullo sfondo di un paesaggio immutabile, di un primo piano insistito, di un’inquadratura immobile. Una scelta registica voluta e sapiente, che serve a sottolineare come non sia l’azione il punto focale di questo episodio, ma soltanto le parole. Parole che ci dovranno trasportare verso l’ultima decisiva battaglia della storia de l’Attacco dei Giganti.