Silent Hill: la leggenda dietro alla terrificante città

Silent Hill

Sono passati dieci anni da che Konami ha graziato il mondo con l’ultimo videogame dedicato alla tetra città di Silent Hill. In questo decennio i fan non hanno potuto fare altro che pregare perché l’azienda giapponese riprendesse in mano il brand ormai lungamente sopito, che lo riportasse ai fasti che aveva vissuto negli anni Novanta/Duemila. Nel 2014 ci si è andati vicini, il game designer Hideo Kojima e il regista Guillermo del Toro si stavano unendo in un sodalizio che avrebbe dovuto generare un gioco noto come Silent Hills, ma le ferventi aspettative dei gamer di tutto il mondo si sono scontrate con gli inconciliabili attriti tra il celebre creatore e il publisher videoludico. Ora che recenti rumor stanno accennando a un possibile ritorno del survival horror, sulla Rete emergono centinaia di migliaia di voci tracimanti di rinnovata speranza.  Ma cosa porta le persone a voler rivisitare la cittadina di Silent Hill? Quali sono i segreti che vi si celano dietro?

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Silent Hill, una città colma di frustrazione

Quanto hanno partorito la fortunata saga di Silent Hill, le scuderie di Konami stavano cercando di sfornare un prodotto che fosse in grado di tenere testa al best seller che è ancora oggi Resident Evil. La titanica missione è stata però affidata a uno sgangherato gruppo di sviluppatori composto da soggetti che faticavano non poco a inserirsi nei team di lavoro già esistenti all’interno dell’impresa. Proprio questa “armata Brancaleone” del game design – poi divenuta nota come “Team Silent” – ha avuto la fortunata idea di abbandonare il progetto iniziale che prevedeva di creare un survival horror in salsa action per esplorare un orrore più vicino alla sensibilità dei creatori coinvolti nello sviluppo. Un orrore lento, psicologico, che si insinua sotto la pelle e che fa riferimento a un mondo che viene percepito come scorretto e tremendo.

L’universo da loro intessuto è cadente al punto di essere putrescente, visceralmente grottesco e, soprattutto, ambiguo. Così come i viottoli della cittadina di Silent Hill sono inglobati in una fitta nebbia che li rende imperscrutabili, anche la trama della serie si ammanta di un velo pregno di mistero che si presta bene alle interpretazioni. Che la location fittizia sia in qualche modo “sbagliata” è evidente a tutti, ma ogni giocatore pone l’attenzione su differenti suggestioni, su peculiarità che possono profondamente alterare la percezione della realtà che si cela alle spalle dell’oscura ambientazione pubblicata dall’azienda nipponica. Tra i giganteschi omissis e i molteplici finali che caratterizzano ogni episodio della serie, i gamer hanno la possibilità di leggere gli avvenimenti narrati su schermo in un’ottica personale, riflettendo nella narrazione un piccolo riflesso della propria psiche.

Tenendo conto di questa pluralità ricercata, il canone di Silent Hill è relativamente fluido, solca come niente fosse il mitologico, il pragmatico e l’allegorico e lo fa senza fornire troppi elementi utili a costituire una bussola definitiva attraverso cui potersi orientare. In un modo o nell’altro, i filoni tematici possono condensati su due frangenti dominanti, quello esoterico e quello psicologico. Prima di procedere con l’analisi, è doveroso sottolineare che nelle prossime righe verranno trattati punti chiave della saga, quindi non proseguite a meno che non siate spiritualmente pronti ad abbracciare la sfera dello spoiler.

Degli dei e dei occultisti

La prospettiva mitologica di Silent Hill, Maine, viene esplorata perlopiù – ma non esclusivamente – dal primo, dal terzo e dal quarto capitolo della saga. Si tratta degli episodi che più da vicino affrontano la prospettiva dogmatica dell’Ordine, un culto eretico che ha sviluppato nei decenni una visione estremamente personale della religione giudaico-cristiana. Al posto di credere in un Dio-demiurgo, la setta ripone la propria fede in un’entità ultraterrena che sarebbe giunta in Terra in tempi remoti in risposta alle preghiere di uomini e donne che, pur essendo allora immortali, conoscevano solamente guerra, disperazione e sofferenza.

Secondo questo Dogma, la divinità, spesso rappresentata come un essere femminile, ha dunque creato il tempo dandogli una forma misurabile e lineare, alternata dal ciclo giorno-notte, quindi si è impegnata a far dono agli umani della mortalità così che potessero godere della liberazione concessa loro dal trapasso. Per assicurarsi una maggiore efficienza, Dio ha generato una serie di “angeli” che potessero sostenere i suoi progetti, tuttavia, stremato dal consumo d’energia, l’essere supremo si è estinto prima di poter concretizzare il suo desiderio ultimo, ovvero l’istituzione del Paradiso.

L’Ordine confida nel ritorno di Dio e nel completamento del suo disegno, tuttavia le frange più zelote del culto sono pronte ad accelerare forzatamente l’avvento di quello che si potrebbe considerare il Giorno del giudizio. Facendo riferimento al retaggio della caccia alle streghe e ai culti degli indigeni indiani, l’alta sacerdotessa Dahlia Gillespie si è impegnata ad avviare un rituale in cui sua figlia, Alessa, avrebbe dovuto fare da incubatrice per il seme divino, ma il procedimento ha avuto conseguenze terribili e impreviste.

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Il caso di Alessa

I disegni manipolatori dell’Ordine sono alla base di molte delle vicende narrate da Silent Hill, ma la chiave di volta degli avvenimenti ci è fornita proprio da Alessa Gillespie, vittima e carnefice della perversa cittadina. Al momento del sacrificio, la ragazza aveva solamente sette anni ed era perlomeno restia nell’accettare di fare da madre surrogata a un essere che, più che un Dio, dimostra nei fatti di avere molto da condividere con un diavolo. Ancora più importante ai fini degli avvenimenti, la giovane era dotata di poteri paranormali che si sono risvegliati in tutta la loro violenza nel momento in cui la madre l’ha sottoposta al sopruso religioso.

La celebrazione del rituale si è tradotta fatalmente in un incendio che ha inghiottito l’intera casa e ha lasciato Alessa gravemente ustionata. Non solo, il trauma degli avvenimenti e il desiderio di contrastare l’avvento del dio hanno spinto la bambina a scindere il proprio spirito in due parti: un involucro fisico colmo di sofferenza è stato trascinato prontamente in un ospedale del posto, ma una frazione del suo animo ha assunto la forma di una neonata ed è stata tratta in salvo da un camionista di passaggio. Complice questa spaccatura, a Dahlia non è rimasto che lanciare una maledizione che avrebbe prima o poi ricondotto la “neonata” a riavvicinarsi alla sua controparte ricoverata a Silent Hill, così che le due potessero tornare una cosa sola, riattivando di conseguenza la gestazione ultraterrena. 

Nel frattempo, il dolore psicologico e fisico dell’Alessa rinchiusa nell’ospedale ha finito con il tracimare, inondando la città. Progressivamente, i suoi poteri hanno iniziato a plasmare il mondo che la circonda fino a trasformarlo in un incubo fatto di foschia e orrore, dando vita all’immaginario dark-industrial che l’Ordine considera una “terra santa”. Nelle varie pubblicazioni videoludiche, la setta in questione ha cercato più volte di evocare il proprio dio, tuttavia ogni sforzo è stato frustrato e l’influenza degli incubi di Alessa si è attenuata. 

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Silent Hill: la psiche disturbata

Risolta la situazione dell’adolescente indemoniata, verrebbe da pensare che Silent Hill sia salva dagli influssi negativi dell’orrore che l’aveva attanagliata, ma così non è. Silent Hill 2, amatissimo capitolo della saga, ha introdotto una lettura dell’inquietante città che si discosta molto dall’elemento esoterico esplorato dal suo predecessore. Piuttosto che interpretare la cittadina come un’ambientazione vittima di un “maleficio”, il secondo episodio preferisce dipingerla come un purgatorio capace di attrarre anime penitenti i cui vizi assumono forme mostruose e letali.

Ai fini del mito, questa discrepanza viene giustificata attraverso un breve testo in cui si spiega che la Silent Hill che abbiamo imparato a conoscere esista anche in assenza di Alessa, che le capacità della giovane non fossero tanto un motore creativo degli episodi di orrore, quanto un potente catalizzatore degli stessi. Secondo il documento in-game “Lost Memories”, la cittadina è stata infatti edificata su un luogo un tempo sacro agli indigeni locali e gli spiriti che abitano il territorio, virtualmente neutrali, sono stati infine corrotti dalle nefandezze perpetrate dai coloni. Senza poter più contare su Alessa, l’area ha iniziato a reclamare persone sofferenti, attirandole con un irresistibile richiamo.

Nei fatti però, i titoli della saga che fanno affidamento all’approccio psicologico finiscono con il porre la continuità narrativa in secondo piano. Il loro interesse si concentra sulla narrazione profonda di profili psicologici complessi e articolati, sul creare un orrore che sia ben più sfaccettato di quello garantito ai gamer di tutto il mondo dalle orde di zombi, se non altro perché gli zombi non adattano la propria esistenza in misura alla personalità dei loro bersagli. Gli sviluppatori esplicitano infatti senza troppa ambiguità che i mondi onirici sviluppatisi in quel di Silent Hill assumano un aspetto diverso a seconda di chi li vive, che un animo innocente non corra alcun pericolo e che i mostri nascano esclusivamente dalle brutture della psiche umana. La Silent Hill temuta dal pubblico non è dunque che un riflesso infranto di un malessere che è proprio della società, dei personaggi protagonisti e, soprattutto, dei giocatori che esplorano i titoli in questione.

Questa dimensione intima è presente su scala ridotta in molte delle uscite della saga, ma la sua esistenza è particolarmente evidente nel remake/spin-off Silent Hill: Shattered Memories, videogame che arriva a esplicitare con un avviso formale l’intenzione di creare dei profili psicologici di tutti i giocatori che vi dedicano tempo e attenzioni. Ancor più dei suoi omologhi, questo titolo analizza azioni e scelte degli utenti per alterare l’andamento dell’esperienza di gioco, la quale viene coronata nel suo epilogo da un vero e proprio resoconto analitico dei tratti caratteriali dimostrati dai videogiocatori.

La psiche disturbata

Storia, ambientazione e stile hanno certamente contribuito a rendere Silent Hill una saga iconica, ma la sua fortuna è stata dettata anche dal fatto che molte sue scelte registico-editoriali siano state condizionate da influenze pop di tutto rispetto. Un ruolo da gigante nella definizione del setting l’ha avuta per esempio la filmografia del regista David Lynch. Il telefilm di Twin Peaks ha lasciato in particolare segni profondi ed evidenti nelle fantasie degli sviluppatori del Team Silent e i punti in comune tra i due prodotti sono innegabili: entrambi esplorano le vicende di una cittadina sperduta ai confini col Canada, sono vittime di spiriti malevoli e sono dotati di universi “paralleli” che coesistono con il mondo reale.

Particolarmente trasparenti sono state anche le influenze derivanti del lungometraggio Allucinazione perversa di Adrian Lyne, de La montagna sacra di Alejandro Jodorowsky e del disneyano Alice nel paese delle meraviglie. Nel campo prettamente artistico sono stati invece presi esplicitamente a riferimento Hieronymus Bosch, Pieter Brueghel, Francis Bacon, Salvador Dalí e, più avanti negli anni, Chris Cunningham, tutti soggetti che sono altamente riconoscibili al vasto pubblico, se non nel nome nelle creazioni topiche che sono state poi distribuite massivamente nei libri, nelle trasmissioni televisive e sulla Rete.

Silent Hill non può che essere una città che lascia un segno sulla mente dei giocatori e del pubblico ampio. La sua presenza è altamente memorabile perché struttura la sua base su dei concetti che sono già noti ai più, quindi li deforma per fomentare un senso di disagio e perturbazione che però non si annulla mai i criteri di riconoscibilità del contesto. Silent Hill ci spaventa perché la sua esistenza ci è allo stesso tempo facilmente riconoscibile e aliena, ovvia e incomprensibile, straniante sotto ogni aspetto.

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