1719, territori Comanche. La giovane Naru vuole dimostrare al resto della sua tribù di essere un’abile cacciatrice, al pari dei suoi colleghi maschi e di suo fratello Taabe, al quale tutti guardano come esempio di coraggio. In Prey la ragazza è in attesa del grande giorno nel quale potrà finalmente coronare il suo sogno e la comparsa di un segno nel cielo, da lei considerato divino, sembra presagirle il suo destino. L’occasione è quella di una caccia al leone, organizzata in seguito al ferimento di un membro dalla tribù che ora si trova gravemente ferito nella foresta. Ma l’animale non è l’unico pericolo dal quale la spedizione dovrà difendersi e ben presto Naru, vera e propria maestra nel seguire le tracce, scopre che qualcosa di molto più pericoloso si nasconde tra gli alberi…
Prey: la caccia è di nuovo aperta
Reinventare l’universo di Predator è un’impresa che hanno tentato in molti, con risultati per la maggior parte deludenti. Se il secondo episodio con protagonista Danny Glover è stato solo un lontano parente dell’originale, ancora peggio hanno fatto i due capitoli di Alien vs. Predator e neanche l’approccio più autoriale, sulla carta almeno, dell’ungherese Nimród Antal con Predators (2010) è riuscito a rinvigorire il franchise. Nemmeno il recente The Predator (2018) firmato da Shane Black era stato in grado di lasciare il segno e vi erano perciò molti dubbi di fronte alla nuova produzione annunciata qualche tempo fa e che oggi tutti possiamo vedere su Disney+, dove entra come esclusiva del catalogo.
Senza lasciarvi inutilmente con il fiato sospeso possiamo dire che il miracolo è infine accaduto e che ci troviamo di fronte alla miglior incarnazione della saga dopo il prototipo con Arnold Schwarzenegger. Prey, titolo già di per sé emblematico, esaudisce infatti tutte le preghiere degli appassionati e ci consegna una sorta di stand-alone affascinante e originale, che beneficia del particolarissimo setting e che regala ulteriori sorprese al pubblico, a cominciare dalla versione recitata interamente in lingua comanche che è possibile selezionare tra gli extra e che ammanta di ulteriore realismo l’insieme, immergendo ancor più in quest’ambientazione selvaggia dove i nativi americani devono difendersi non soltanto dal pericolo alieno ma anche dall’Uomo Bianco.
Sin dai primi secondi, con citazioni che guardano a classici del western come Sentieri selvaggi (1956), si nota l’estrema cura nella gestione dei paesaggi e delle scelte fotografiche, con le immense pianure e le soffici nuvole bianche che si stagliano nel cielo azzurro che offrono scorci altamente evocativi, il tutto accompagnato da una colonna sonora che flirta con l’epica in un crescendo di pathos. Se la prima parte si prende i suoi tempi, col procedere degli Eventi Prey trova finalmente la sua anima prettamente di genere e quando la caccia ha inizio assume diversi significati, con il celeberrimo “ciclo della vita” che prende il sopravvento, con i predatori destinati a diventare prede in un intelligente gioco del contrappasso che poi si applica ai principali contendenti, ossia Naru – coadiuvata a seconda delle occasioni dalla figura fraterna o in solitaria – e il Predator, cattivo e letale come non mai.
Una sana epica di genere
Ma per l’appunto la crudeltà ha mille volti e se il massacro di bisonti trova in breve tempo i reali responsabili, con rimandi a quelle pagine di storia dove il popolo nativo si avvicinava lentamente alla fine per via del genocidio perpetrato dagli invasori, la furia della natura emerge nell’interazione tra le diverse creature, dal leone di montagna al gigantesco orso, tutte messe alla prova dall’arrivo di un’entità ostile e aliena, il più infallibile cacciatore della galassia.
Il regista Dan Trachtenberg ha un vero e proprio talento nel trovare nuove vie per riplasmare franchise già di culto: se con 10 Cloverfield Lane (2016) aveva ridato nuova vita e forma all’universo kaiju-eiga di Matt Reeves e J.J. Abrams, con Prey realizza un’opera unica e accattivante, capace di raccontare qualcosa di nuovo senza snaturare la mitologia alla base. L’azione è dura e pura, senza compromessi, con una violenza sanguigna ma mai eccessiva che si esalta in eroiche scene madri e si sublima in quell’epilogo dolce-amaro, dove vittoria e perdita ballano su un confine sottile. Il discorso sul femminismo, dato dal fatto che la protagonista è una giovane donna, è sì presente ma non predominante e “di comodo”, lasciando spazio alla storia e ai personaggi secondari con il corretto equilibrio e avvalendosi di un sano spettacolo nelle sequenze dove il villain è al centro della scena, con una manciata di gustose citazioni – sia nelle battute che non – che non potranno che entusiasmare i fan storici.
Il franchise di Predator trova finalmente la giusta chiave di lettura e riporta alle atmosfere da tipico survival-movie, con la lotta per la sopravvivenza da parte della giovane protagonista in un contesto selvaggio dove il pericolo può nascondersi ovunque. Ambientato nelle immense pianure americane, dove le tribù indiane scorrazzavano libere prima del predominio dei visi pallidi, Prey acquista proprio grazie alla sua ambientazione d’epoca ulteriore fascino e la caccia si trasforma in una sfida serrata all’ultimo sangue, dove le armi bianche diventano elemento chiave nelle scene di combattimento e il ciclo della vita segue il suo corso più crudo e realistico. Una ragazza desiderosa di valere quanto i suoi coetanei maschi, ma con il concetto di girl-power fortunatamente meno esasperato del previsto – e l’iconico villain alieno sono protagonisti di una resa dei conti ricca di colpi di scena e momenti memorabili, con un’epica velata che ben si ibrida alle dinamiche di genere.