Il pesce d’aprile costituisce da sempre una ghiottissima occasione per scherzi e comportamenti maliziosi di ogni sorta: anche l’industria videoludica sembra aver abbracciato la medesima consuetudine da svariati anni, approfittandone per divulgare informazioni fasulle e comunicati demenziali, che tuttavia a volte contengono qualche traccia di verità. Ron Gilbert, il celebre e celebrato co-autore della saga di Monkey Island, non ha mai amato questa ricorrenza, definendola “una stupida tradizione” attraverso i suoi canali social, ma una decina di anni orsono dichiarò di sfuggita che, semmai fosse riuscito a realizzare un nuovo Monkey Island, l’avrebbe annunciato proprio in uno di questi giorni. E così, quando il 1° aprile 2022 scrisse sul suo blog personale, Grumpy Gamer, di essere al lavoro su un certo Return to Monkey Island, gli appassionati si precipitarono sui gruppi di discussione per condividere dubbi, speranze ed incredulità: vista la coincidenza temporale, non tutti (me compreso) erano convinti che si trattasse di una notizia veritiera ma, sebbene il post fosse intitolato “Pesce d’aprile 2022”, Gilbert non stava affatto scherzando. A oltre trent’anni dalla nostra prima visita, è giunto infine il momento di tornare su Monkey Island, e questa volta senza strani codici di protezione scritti su pezzi di cartoncino girevoli!
Return to Monkey Island: chi credi di essere, esattamente?
Parto subito con l’affermare che Return to Monkey Island contiene quasi tutto ciò che speravo di vedere in un ammodernamento della serie, con interfaccia e comandi riveduti e corretti per soddisfare le aspettative degli estimatori più accaniti del genere e quelle dei novizi dei punta e clicca. Presentazione estetica e doppiaggio si amalgamano con criterio per creare un tono accessibile e diabolicamente spassoso, mentre ogni singolo istante dell’avventura, da quelli pacati ai più frenetici, riflette sempre con la dovuta attenzione l’impronta dei suoi artefici, senza mai scadere nel fanservice gratuito. Sia chiaro, cercherò in ogni modo di non rovinarvi la trama del gioco, ma non posso che elogiare la sapiente rivisitazione del concetto stesso di avventura operata da Gilbert, Grossman e l’intero staff di Terrible Toybox ha riversato nel gioco, confezionando alcune delle migliori trovate che il genere stesso abbia mai visto negli ultimi tempi. L’ambientazione e i personaggi risultano immediatamente familiari, con l’aspirante pirata Guybrush Threepwood che insiste sul fatto di avere un conto in sospeso sull’isola titolare, e molto di ciò che fa ricorda i primi giochi della serie: risolvere enigmi, scegliere le opzioni di dialogo più esilaranti e cercare tra le battute indizi utili per l’obiettivo successivo. Come altri classici punta e clicca, Return to Monkey Island su PC supporta l’uso del mouse per fare praticamente tutto: un clic sul terreno per muovere Guybrush, un clic per parlare con i personaggi intorno a noi, un clic per esaminare o raccogliere gli oggetti a portata, ancora un clic per scorrere l’inventario e altri clic per combinare ciò che è in nostro possesso o per utilizzarlo sugli elementi che compongono le schermate. Ad esempio, possiamo unire due parti di una chiave per formarne una intera ed aprire una porta collocata poco più avanti. A differenza dei primi capitoli della serie, in Return to Monkey Island è stata eliminata la storica ma ormai vetusta interfaccia a verbi SCUMM, tramite la quale dovevamo specificare prima l’azione da compiere (guardare, raccogliere, usare, ecc…) e poi il “bersaglio” della stessa. Benché fosse un sostituto eccellente allo scomodo parser di vocaboli che caratterizzava le avventure testuali, gli esponenti moderni della categoria hanno via via adottato un approccio più pratico, con il cursore che mostra al massimo un paio di alternative quando passa su una porzione interattiva, dunque non stupisce ritrovarlo anche qui con risultati tanto agevoli quanto naturali.
Lo stesso vale per tutte le altre migliorie che rendono il titolo avvicinabile da chiunque, indipendentemente dalla propria esperienza sul campo: se volete essere aiutati a riconoscere quali sono gli oggetti con cui si può interagire, potete premere il tasto TAB e li vedrete evidenziati da un debole alone, laddove l’impiego di un pad consente addirittura di utilizzare un singolo tasto per identificare e raggiungere in automatico gli elementi di interesse. Qualora la prospettiva di affrontare valanghe di enigmi cervellotici dovesse metterci a disagio, abbiamo a disposizione una modalità casual che alleggerisce parecchio i passaggi necessari per completarli, a totale vantaggio dell’immersività. Ma la caratteristica principale che eleva il nuovo Monkey Island al di sopra di tanti analoghi è il meraviglioso sistema di suggerimenti, che mi ha affascinato molto più di quanto mi aspettassi: subito dopo il prologo, un personaggio ci offre un libro dei consigli, facendo vaghi meta-riferimenti alla possibilità che potremmo trovarci all’interno di un videogame. Ogni volta che pensiamo di essere bloccati, possiamo consultarlo per scorrere un promemoria delle cose da fare (diverso dalla lista degli obiettivi attuali, sempre a disposizione nell’inventario) che, se selezionate, forniscono una concisa imbeccata sotto forma di una lieve rielaborazione del compito in oggetto, con la speranza che sia sufficiente a sbloccarci dall’impasse. Se così non fosse, abbiamo la facoltà di continuare a sfogliare le pagine per ottenere indizi via via più decisi, con riferimenti espliciti a luoghi o personaggi, che culminano nella spiegazione perspicua delle azioni da compiere. Insomma, qualunque sia il modo con cui decideremo di affrontarlo, Return to Monkey Island rimane coeso e divertente dall’inizio alla fine, ma la gestione degli aiuti è l’aspetto che più di tutti mi ha colpito (anche in negativo, ci arriveremo fra poco), riportandomi letteralmente ad un’epoca in cui la risoluzione di un’avventura rappresentava un vero e proprio lavoro di squadra tra appassionati che impegnava lunghissimi pomeriggi. La natura autoconsistente di questo sistema garantisce che l’attenzione resti sempre focalizzata sul gioco, e mi ha ricordato non poco gli spunti che le nostre comitive di nerd formulavano nel tentativo di superare un rompicapo più ostico della media. Inoltre, il proposito secondario del libro dei consigli è quello di farvi entrare in sintonia con la mentalità di Grossman e Gilbert, allorché non siate pienamente consapevoli delle elucubrazioni che si celano dietro ogni singolo enigma: farsi dare qualche dritta durante le prime fasi tornerà utile in quelle successive, quando ci troveremo di fronte ad ostacoli di natura diversa ma fondati su logiche molto simili, per oltrepassare i quali potremo quindi servirci di quanto appreso fino a quel momento. Per farla breve, nel corso di queste nuove peripezie di Guybrush mi sono sentito sotto la costante supervisione di una coppia di amici che le avevano portate a termine già da un po’, sicuro del fatto che potessero darmi una mano alla bisogna ma senza interferire più di quanto volessi, una paradossale ventata d’aria fresca proveniente dal passato in un periodo storico nel quale FAQ, guide, video gameplay e wiki collettive la fanno da padrone.
Sono Guybrush Threepwood, probabilmente avete sentito parlare di me
E poi, c’è poco da fare, ma la sensazione di trovarsi di nuovo a casa è immediata, a partire dal pratico album dei ricordi nella schermata iniziale che non si limita soltanto a riassumere le circostanze salienti dei predecessori, ma conferma pure che il canone di Monkey Island, stando ai creatori dell’originale, si estende a tutti i giochi della serie, compresi quelli a cui non hanno contribuito direttamente. Se vi siete persi qualche episodio o Return to Monkey Island è il vostro primo incontro effettivo con Guybrush e la sua cricca, grazie a questa trovata capirete immediatamente quali dettagli potrete ritrovare nel sequel, complice anche una nostalgica quanto stupefacente sequenza iniziale che, in una manciata di minuti, riesce a consolidare l’intera cosmogonia della saga in un’unica linea narrativa. Una piccola percentuale delle migliori battute del gioco si basa sulla conoscenza dei predecessori, sul carattere dei comprimari di lunga data o su qualche vecchia disputa con Threepwood, ma persino queste ultime risultano abbastanza chiare anche ai neofiti: per fortuna, il suddetto album dei ricordi consente di rinunciare a lunghi spiegoni in-game su cosa ha fatto e chi ha incontrato il nostro protagonista in passato, ed è un bene perché la coppia di autori ha preparato un inedito arsenale di demenzialità e spiritosaggini (alcune molto “da papà”, devo ammetterlo) che sfrutta a fondo senza pietà. L’umorismo caratteristico della serie trasuda sia dai dialoghi che da altri dettagli, come un’azione in apparenza semplicissima che Guybrush si ostina a compiere in modi assurdi, oppure la combinazione di due oggetti che ne produce un terzo completamente illogico da impiegare con estremo imbarazzo, in un tripudio di gag visive e sensoriali che ci strappano di continuo risate di ogni tipo, da quelle a denti stretti alle più sguaiate. Tutti questi passaggi vengono completati dall’incredibile chimica tra i membri del cast, che riescono ad enfatizzare la sceneggiatura con performance vocali degne delle migliori serie animate: Guybrush, Elaine, Stan, Murray e tutti gli altri personaggi vecchi e nuovi interagiscono meravigliosamente tra di loro, tanto che mi è risultato difficile saltare le loro conversazioni e, nei rari casi in cui è successo per sbaglio, le ho rilette utilizzando la pratica opzione per visualizzare i dialoghi recenti, pregevole retaggio delle visual novel che mi piacerebbe vedere implementato più spesso.
Dopo averci danzato intorno fino a qui, è quindi arrivata l’ora di affrontare l’elefante nella stanza, ovvero la nuova direzione artistica che tanto ha fatto discutere nei mesi scorsi. Premetto di essermi schierato fra i meno entusiasti all’epoca, e di aver riservato un giudizio definitivo a quando avrei potuto mettere le mani sul prodotto completo. Ebbene, dopo averci trascorso insieme una generosa manciata di ore, posso attestare senza problemi che questo drastico cambio di rotta estetico funziona molto bene e, anzi, contribuisce a sottolineare la comicità generale sfruttando di continuo la mutevolezza e l’elasticità dei personaggi, mentre la sincronizzazione labiale si sposa in maniera impeccabile con l’espressività dei volti e dei corpi. Benché inquadrature, animazioni e prospettiva siano innegabilmente strutturate per dare vita ad un palcoscenico a due dimensioni, gli effetti particellari e di illuminazione sui modelli tradiscono la loro natura tridimensionale, che risalta ancor di più quando la telecamera stringe sui volti per mostrarne la mimica, ma la resa è nel complesso fluida e gradevole. E che dire poi della colonna sonora, un crescendo che parte da livelli già altissimi con il tema principale, riconoscibile per i fan quanto quello di Indiana Jones o di Guerre Stellari, e raggiunge le medesime vette alle quali Land, McConnell e Bajakian, i compositori originali chiamati a ricoprire il medesimo ruolo in Return to Monkey Island, ci avevano magistralmente abituati. La lunghezza dell’avventura si attesta intorno alle 10 ore, qualcosa di più se siamo dei completisti e vogliamo per forza ottenere tutti gli obiettivi e guardare ogni possibile finale: mi riferisco a piccole variazioni legate ad alcune risposte che sceglieremo di dare, perciò non sarà necessario ripercorrere grosse porzioni di storia perché la conclusione, di fatto, sarà sempre la stessa ma, se lo spirito di Monkey Island riuscirà a catturarvi, vorrete letteralmente scoprire ogni sua sfaccettatura.
Devo però confessare che un leggero retrogusto amarognolo me l’ha lasciato la pressoché totale mancanza di enigmi che si estendono lungo una varietà di ambienti, come accadeva nei precedenti episodi della serie, con un’unica, ammirevole eccezione che precede di poco l’epilogo delle vicende. Con una simile attenzione riservata all’assistenza per il giocatore, è un peccato che la maggior parte dei capitoli del gioco si concentri su scenari più piccoli e circoscritti, con puzzle logici e divertenti ma fin troppo lineari e privi di quel respiro che avrebbero meritato. Per il resto, al termine del viaggio ho compreso di aver vissuto la naturale sublimazione di un’avventura iniziata più di trent’anni fa: il team di sviluppo è cresciuto, e Guybrush ha dovuto maturare insieme a loro. Ho apprezzato enormemente la sua progressione caratteriale, e sono felice che la serie sia riuscita alfine a chiudere un cerchio rimasto aperto forse troppo a lungo, anche se per farlo mi ha “costretto” a scoprire, una volta per tutte, il segreto di Monkey Island.
Piattaforme: Nintendo Switch, PC
Sviluppatore: Terrible Toybox
Publisher: Devolver Digital
La narrazione di Return to Monkey Island, al netto di qualche piccola esitazione, trabocca di ironia e satira mordace, elargite in maniera divertente e mai didascalica, ma in più di qualche occasione è possibile scorgere un team più anziano e più saggio che vuole condividere un tipo diverso di avventura grafica, veicolandola attraverso gli occhi dei personaggi che ha costruito negli anni. Ho iniziato Return to Monkey Island pensando che sarebbe stato solo un divertente e confortevole ritorno a un classico del genere, ma ho lasciato l’isola con la convinzione di aver giocato a qualcosa di innovativo e assolutamente necessario, che utilizza l’interattività per parlare allo spirito umano in modi che un film o un libro non potrebbero mai fare. In una parola, l’ho adorato, e mi auguro con tutto il cuore che anche voi possiate innamorarvi del suo messaggio.