Poker Face Recensione: ma cosa abbiamo visto?

Poker Face

Se dovessi riassumere questo film con pochissime parole, probabilmente userei il concetto di stato confusionale. Sono partita chiedendomi se ci servisse davvero un altro film che raccontasse la storia di un genio del poker, con tutte le conseguenze che questo comporta, per poi ritrovarmi davanti a dei primi minuti di nostalgiche avventure adolescenziali. Dopo essermi accertata di non aver sbagliato sala, le immagini sullo schermo sono cambiate drasticamente, portandomi in una terra piena di discorsi zen, credenze New Age e strane sostanze allucinogene, per poi mutare nuovamente, trasformandosi in inseguimenti su macchine di lusso tra vecchi amici… e mi fermo qui, perché altrimenti passeremmo la giornata solo ad elencare le tante cose che Poker Face cerca di essere e raccontare durante tutta la sua durata. Si tratta di una cosa positiva? Ehm… parliamone!

Poker Face: da dove cominciare?

Scritto e diretto da Russell Crowe, il film cerca di raccontare la storia di Jake Foley, fin dall’adolescenza immischiato in scommesse e partite di poker giocate con gli amici. È proprio insieme a questi che ha creato il primo sistema di poker online, trasformatosi poi in un software di sicurezza governativa. Tutto ciò lo ha reso molto ricco (tanto da potersi permettere una vasta collezione di opere artistiche dall’inestimabile valore), influente e con una vita dagli affetti spesso complicati e instabili. Ed è proprio in questo concetto che si nasconde il cuore del film, anche se bisogna cercarlo sotto strati e strati di scelte di scrittura discutibili prima di poterlo vedere chiaramente: Foley è stufo di rapporti che si reggono in piedi solo grazie a bugie e sotterfugi e vuole che la verità venga finalmente a galla. Per questo organizza un’ultima grande partita di poker insieme ai suoi amici di sempre, costringendoli, grazie a una serie di giochetti mentali e sostanze dalla dubbia provenienza, a puntare sul tavolo da gioco tutti i loro segreti.

La metafora del poker

Che per giocare bene a poker si debba essere in grado di bluffare, lo sappiamo tutti, compreso il protagonista di questa storia, il totale delle pagine della sceneggiatura di questo film e Russell Crowe stesso. E Poker Face usa il concetto di bluff come la grande metafora della sua narrazione, così convinto del suo valore funzionale da sovrapporla a se stessa varie volte, creando un millefoglie dello stesso concetto ripetuto su più piani, senza che la scelta regali al film più profondità o ritmo. Anzi, il risultato finale è un vero e proprio pasticcio, che con il poker ha poco a che fare e che fa fatica a trovare un suo posto anche il qualsiasi genere narrativo e cinematografico. È un film esistenziale? D’azione? Un dramma familiare? Un thriller? Credo non lo abbiano ben capito nemmeno loro e, la cosa peggiore, è che sembra non gli interessi nemmeno cercare di dare una direzione a un discorso che è fondamentalmente senza troppo senso. In questo film non si fa altro che bluffare: per vincere una partita di carte che si sa già non si porterà mai a termine; per sventare una tentata rapina, con tanto di armi al seguito, avendo a propria disposizione solo una panic room e tanti quadri di valore; per insegnare dei valori morali alle persone che fanno parte della propria vita. Aggiungerei anche per convincere lo spettatore ad andare al cinema, ma questo forse si era già capito.

Cosa possiamo salvare?

Poker Face è quindi tutto da buttare? La risposta a questa domanda non esiste davvero, in nessun caso. Dipende sempre da cosa si cerca all’interno di un prodotto cinematografico, da cosa ci si aspetta o ritiene fondamentale. Di certo da questa confusione andrebbe tirato fuori Russell Crowe, con il suo potente impatto d’immagine sullo schermo e la sua sincerità interpretativa. Bisogna arrivare alla fine per capire davvero cosa vuole raccontarci ma, quando finalmente le sue parole riescono a emergere dal caos, sono oneste e profondamente emotive. La sua è una storia di sentimenti intensi, che emergono, non sempre in modo brillante, anche dai suoi atteggiamenti.

La vita è solo un gioco, no? Un gioco di karma, fortuna e fisica. Le persone non sempre sanno quando il gioco finirà. Sono queste parole finali di Poker Face che cercano di portare luce su quanto visto nell’ora e mezza precedente, pur non riuscendo davvero a fare la giusta luce su una storia vittima di una confusione produttiva evidente, dove una serie di problemi hanno impedito di prendersi il giusto tempo per rimettere insieme i pezzi di una storia che ha perso completamente di vista il suo obiettivo, quello che avrebbe potuto essere. Il risultato è un film assolutamente scombinato, dal ritmo borioso anche quando non dovrebbe esserlo e che alla fine lascia ben poco nello spettatore, convinto di aver visto qualcosa che ha di certo un cuore, ma molto confuso su tutto il resto. 

Voto: 5.5