Layers of Fear Recensione: il labirinto della mente

Layers of Fear

Follia; una mente in pieno stato confusionale. Si tratta di una rappresentazione molto frequente nei giochi horror, una scelta popolare nonostante sia spesso oggetto di aspre critiche. La paura che attribuiamo al pensiero di “perdere la testa” è viscerale e immensamente efficace, e molti di noi sono ossessionati dall’idea di esplorarla il più vicino possibile. Il concetto di mente instabile viene trattato così di frequente nel genere horror da essere diventato un tropo, e quindi può purtroppo risultare banale e problematico. Ma un titolo fra tanti è riuscito a trasmettere questo concetto in modi che potrei definire geniali: si tratta proprio del qui presente Layers of Fear di Bloober Team, le cui meccaniche articolate, il design dei livelli e la narrazione ambientale, al netto dei propri limiti connaturati, riuscirono ad infondere nuova vita a questo antico tema tanto caro ai racconti dell’orrore di ogni generazione. Anche se oggi potreste conoscere lo studio polacco per The Medium (qui una delle nostre recensioni del gioco) o per gli sforzi che stanno investendo nel remake di Silent Hill 2, il 2016 rappresentò il loro esordio in un campionato di un certo livello dopo anni trascorsi a produrre titoli di caratura decisamente minore, grazie anche al supporto ricevuto dall’editore americano Aspyr, oggi sussidiaria di Saber Interactive all’interno del gruppo Embracer. Questo nuovo Layers of Fear non è, come molti avrebbero potuto sperare, il terzo episodio della serie dopo l’originale e il suo sequel pubblicato nel 2019, bensì una rilettura completa dei capitoli già noti al grande pubblico con i loro rispettivi DLC, alcuni contenuti supplementari ed una storia inedita che fa tanto da cornice quanto da collante alle vicende narrate, un’impresa se vogliamo alquanto rischiosa nella quale però il team non si è imbarcato da solo ma è tornato a collaborare con il talentuoso Anshar Studio, assieme al quale aveva già realizzato l’eccellente Observer: System Redux un paio d’anni or sono, onde sfruttare al meglio quante più caratteristiche possibili dell’Unreal Engine 5.

Layers of FearLayers of Fear: nessuna scusa, nessun incidente, nessuna debolezza

L’avventura si apre con un nuovo personaggio, la Scrittrice, che torna in un luogo decisamente significativo per lei, un grande faro incastonato su un promontorio roccioso nel quale, dieci anni prima, era stata già ospite grazie alla vittoria di un concorso letterario, ancorché stranamente pungolata dal suo mecenate a riprendere il prima possibile l’attività creativa. Prima di riuscire a scrivere qualcosa, però, sente uno strano rumore e si alza per indagare sulla fonte. La lentezza dei movimenti, gli androni lugubri, il sound design dettagliato e un dipinto che cambia quando lo guardiamo denotano un’ovvietà: questo è proprio il Layers of Fear che abbiamo imparato a conoscere. Un breve dialogo telefonico tra la protagonista e suo figlio, che sembra soffrire di una non meglio specificata malattia, è l’inizio di un lungo filo narrativo che si interseca con le vicende dell’Attore, dell’Artista e della Figlia di quest’ultimo, protagonisti delle due iterazioni precedenti, e vuole fornire una chiusura per la mitologia della serie. Se avete già giocato a Layers of Fear e Layers of Fear 2, quando vi ritroverete a percorrere i medesimi fondali non potrete fare a meno di notare il salto qualitativo compiuto dai ragazzi di Bloober Team, grazie soprattutto ad una qualità delle texture superiore e un’illuminazione dinamica evoluta. Gli effetti speciali come fiamme e particelle rivitalizzano un gioco che aveva un aspetto abbastanza gradevole, ma che è sempre stato trascinato dal suo design artistico. Ora, entrambi i fattori riescono a catturare l’attenzione in egual misura. L’impiego dell’ultima versione del motore grafico di Epic Games, benché di certo non spremuto fino in fondo, è fondamentale per rendere il gioco coinvolgente e l’esperienza nel complesso molto più viscerale: oltre al passaggio in 4K, all’HDR e al ray tracing, tutti elementi assenti negli originali, il sistema Lumen di UE5 rappresenta un genuino passo in avanti, e il funzionamento dell’illuminazione dinamica con le fonti di luce a nostra disposizione è una parte essenziale della componente orrorifica.

Layers of FearLe suddette sorgenti di luce funzionano come ci si aspetterebbe, illuminando l’ambiente sul quale vengono proiettate e aiutandoci al contempo a scoprire messaggi nascosti ed interagire con una strana sostanza nera disseminata nei luoghi che visiteremo. Una novità di questa versione è che i lumi servono anche a respingere le entità che cercheranno attivamente di nuocerci e renderle inabili per qualche istante. Attenzione, però: un indicatore specifico si riempie man mano che li usiamo e ne segnala la prossimità al surriscaldamento, dunque c’è il rischio concreto di ritrovarsi senza alcuna possibilità di difenderci qualora dovessimo mostrarci troppo ingordi. Dovremo adoperare con giudizio i mezzi a nostra disposizione, sia per risolvere i nuovi enigmi che per affrontare gli esseri ripugnanti che ci danno la caccia. Malgrado l’aggiunta di un ingrediente supplementare alla formula, comunque, la natura di Layers of Fear resta quella di horror psicologico incentrato sulla narrazione e la presenza di uno strumento con cui poter combattere dall’oscurità non serve a banalizzare il senso di impotenza di fronte alla moltitudine di fenomeni soprannaturali cui saremo costretti ad assistere ma, anzi, ad accentuare le modifiche apportate alla progettazione dei livelli e all’intelligenza artificiale che guida le azioni ed il comportamento dei nemici, per veicolare angoscia e tensione nel giocatore. Buona parte delle produzioni firmate Bloober Team utilizza la salute mentale come tema portante, e questo nuovo episodio di Layers of Fear non fa eccezione, anche se la differenza va ricercata nel modo in cui la sceneggiatura ha rielaborato e rappresentato alcuni dei temi più delicati come la depressione, gli abusi domestici e l’alcolismo. Forti delle critiche mosse dagli utenti nei confronti di The Medium, gli autori si sono mossi in maniera tale da trattare con maggiore oculatezza le questioni legate allo stato psicofisico dei protagonisti, cercando anche sostegno e collaborazione da partner esterni per indirizzare al meglio il soggetto e non prestare il fianco a sfavorevoli controversie.

Layers of FearSolo il fuoco che divampa dal profondo della tua anima

Senza approfondire troppo gli argomenti presentati, poiché fulcro preponderante dell’intera esperienza, una delle sensazioni più evidenti che ho provato giocando a Layers of Fear è quanto l’intera avventura risulti assolutamente omogenea. Piuttosto che muoversi intorno e all’interno di essi, l’impressione trasmessa è che siano gli ambienti a mutare in continuazione, con le cose che raramente restano invariate per molto tempo. Un’ottima meccanica, una delle migliori tra quelle implementate, è l’uso di transizioni senza soluzione di continuità negli scenari per creare un senso di movimento costante. Gli attimi in cui ci giriamo solo per scoprire improvvisamente che la stanza è cambiata, o che ci troviamo in una zona diversa e sconosciuta, non mancano mai di sollevare i proverbiali peli sulla nuca. Non necessariamente per paura, sia chiaro, ma per l’effetto disarmante e adrenalinico che producono. A volte possono causare un forte disagio, soprattutto per il modo in cui le transizioni vengono attuate: non sono quasi mai accompagnate da forti rumori o sinistre fanfare, ma si insinuano silenziosamente mentre siamo voltati di spalle, lasciandoci spesso sconcertati perché tradiscono le aspettative sullo svolgimento tradizionale della perlustrazione. Spesso noteremo anche gli oggetti ed il mobilio fluttuare a mezz’aria, apparentemente sospesi a causa di un’improvvisa perdita di gravità. La mutevolezza così spontanea dell’intero ambiente infonde davvero il sentore che tutto ciò che circonda i protagonisti sia completamente instabile e caotico. Alcune sequenze amano anche giocare con le stesse percezioni del giocatore, anziché del personaggio che sta controllando, ingannando i suoi sensi con subdoli indizi periferici che si fanno sempre più incalzanti per suggerire il lento tracollo da una relativa normalità ad una dimensione più onirica, lontana ma al contempo molto vicina.

Layers of FearQualcuno potrebbe venire dissuaso dal fatto che in realtà si agisca molto poco, attivamente, tra le stanze che varcheremo. Certo, si aprono porte e cassetti e ci può essere richiesto di tirare una leva qua e là, ma il più delle volte le cose accadono senza nostra diretta agenzia, anche tenendo conto delle nuove modalità di interazione fornite dai vari strumenti aggiuntivi. Una volta che ne acquisiamo consapevolezza, veniamo travolti dalla netta impressione che il nostro protagonista senza nome stia vagando quasi privo di meta nella propria mente devastata, passivo e impotente di fronte al supplizio di rivivere i tormentati ricordi conservati al suo interno. Una scena in particolare era emblematica nella sua versione originale ed è rimasta tale in questa rilettura, ulteriormente enfatizzata dalla revisione estetica che sfrutta le potenzialità dell’Unreal Engine 5: sto parlando di un segmento che si svolge verso la fine della storia dello Scrittore, dopo il suo ingresso in una determinata stanza, dove in una manciata di minuti assistiamo ad un turbinio di eventi di una potenza tale che dovremo ricordarci di respirare di tanto in tanto. Sia chiaro, non accade nulla di realmente spaventoso, inteso come uno dei tanti jump-scare di cui comunque è piena l’avventura, ma l’ingegnosità della sequenza risiede nella sua stessa struttura: le immagini sono deliziosamente inquietanti, il ritmo è perfetto, il sound design e la fotografia sono superbi, e l’incertezza di cosa stia per accadere è costante. La quintessenza dell’horror psicologico, insomma. In effetti, Layers of Fear può essere descritto proprio così, un titolo capace di muoversi con grazia e originalità mediante il tema non del tutto unico dell’esplorazione della follia umana e dei luoghi abbandonati, vasti e inquietanti. Sviscerare i brandelli di un’immaginazione malata e autodistruttiva non è mai stato così affascinante. Anche il comparto musicale è stata aggiornato: il merito è di Arek Reikowski, due volte candidato nella categoria Miglior Colonna Sonora degli Hollywood Music in Media Awards e vincitore del premio Digital Dragons Best Soundtrack per The Medium, autore di una colonna sonora ipnotica che aggiunge un ulteriore strato di suspense al gioco. Le sue composizioni di struggente bellezza, abbinate alla straordinaria qualità visiva resa possibile dal motore grafico, mi hanno lasciato a più riprese con la mascella spalancata ed i brividi lungo la schiena. Ciò detto, nonostante il mirabile lavoro di accorpamento svolto per dare un senso all’intera raccolta e la notevole modernizzazione audiovisiva che porta un titolo già piuttosto apprezzabile di suo al pari con gli standard attuali, la struttura di base resta sempre quella di un racconto lineare che poco o nulla richiede al giocatore, a parte mettersi comodo sulla poltrona e godersi lo spettacolo, cercando di trascurare qualche incertezza nei comandi o la ripetitività di certe trovate “scioccanti” che, dopo svariate ore di gioco, potrebbero lasciare un retrogusto stantio.

Piattaforme: PC, PlayStation 5, Xbox Series X|S

Sviluppatore: Bloober Team, Anshar Studios

Publisher: Bloober Team

A dispetto dei controlli poco intuitivi, della linearità intrinseca e della scarsa interazione, Layers of Fear offre un’esperienza spaventosa e una narrazione avvincente, anche per quanti hanno già avuto modo di vivere i predecessori ma vogliono scoprire i vincoli che li rendono parte di un’unica opera. Il vero punto di forza del gioco è il tono e la dedizione ai temi artistici dei rispettivi personaggi, che siano la pittura, la scrittura o la recitazione, grazie ai quali emerge la loro straordinaria umanità fatta di molteplici sfumature, spesso molto cupe. L’esposizione, unita ad una cornice estetica e musicale davvero encomiabile, rende il viaggio meritevole di essere affrontato, e di certo non lascerà indifferente nessun appassionato del genere, posto di attendersi quel che è un’ottima pellicola interattiva e nulla più.

VOTO: 7.7

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.