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Starfield Recensione: la nuova culla dell’umanità

Nelle profondità del cosmo, dove le stelle si susseguono come versi di un’antica poesia, si staglia la figura tormentata di Lioran Kael, un pilota del Collettivo Freestar. La sua storia era un intreccio di responsabilità e desiderio, una sinfonia di tensioni scritte nelle costellazioni che ne illuminavano il cammino. Nato sotto la luce scintillante di Castor Prime, il ragazzo crebbe nell’equilibrio instabile tra il Collettivo Freestar e l’Unione Coloniale: i suoi genitori, uno affiliato al primo e l’altro alla seconda, gli trasmisero il significato profondo della diplomazia e una comprensione acuta della fragilità della pace. Da giovane, si trovò affascinato dai misteri dell’universo, ma sentì anche il peso della responsabilità di mantenere l’armonia tra le fazioni.

Intraprendendo la via del pilota, Lioran dimostrò un’abilità senza pari nell’arte di manovrare attraverso l’oscurità dello spazio. La sua nave, Aurora, divenne un simbolo tangibile del costante impegno profuso per tutelare l’armistizio tra il Collettivo e l’Unione. Tuttavia, mentre navigava tra le stelle, il richiamo degli antichi Manufatti di origine sconosciuta dal potere enigmatico, si fece sempre più forte. Essendo anche membro di Constellation, la leggendaria agenzia di esplorazione spaziale che si è fatta carico dello studio di tali misteriosi oggetti, Lioran si trovò ad un bivio. Ogni frammento scoperto alimentava il fuoco della sua curiosità e del desiderio di conoscenza, ma il dovere di pilota e ambasciatore per il Collettivo lo teneva ancorato alla necessità di perseverare nei suoi incarichi abituali.

La tensione aumentò a dismisura quando la scoperta di un legame latente tra i Manufatti fece emergere un segreto che avrebbe potuto ribaltare l’equilibrio di quella delicata tregua. La tentazione di sondare ulteriormente l’arcano divenne irresistibile, ma Lioran percepiva anche i pericoli che tale conoscenza avrebbe potuto scatenare. Si ritrovò diviso tra la sete di scoperta e la sua responsabilità verso lo status quo. Con il trascorrere del tempo, il rischio di un nuovo conflitto si fece sempre più concreto, alimentato da forze oscure al di là di ogni apparente comprensione. Lioran dovette compiere una scelta difficile: rinunciare al proprio desiderio di conoscenza per proteggere i Sistemi Colonizzati, o rischiare tutto per scoprire la verità. Dopo lunghe notti di contemplazione sotto le stelle, l’uomo lasciò scivolare lungo la gola riarsa l’ultimo sorso di Solomon’s Reserve, una delle migliori birre in circolo nella confederazione, e si alzò in piedi: la decisione era presa, il suo futuro tracciato, e il destino dell’umanità, in quell’infinito oceano nero brulicante di astri, forse non sarebbe stato mai più lo stesso.

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Starfield: voi stelle! Che siete la poesia del cielo!

Qual è l’effettiva rilevanza di Starfield nel panorama videoludico? L’ultima volta che il team di Bethesda Game Studios ha lanciato un gioco di ruolo ambientato in un mondo originale, Internet nel nostro paese era ancora un miraggio poco diffuso che rimbalzava tra le testate tecnologiche, gli Oasis e i Blur si contendevano la vetta delle classifiche musicali europee, Pulp Fiction spopolava nei cinema e una certa azienda che si occupava di vendere libri online negli USA, Cadabra, cambiava il suo nome in Amazon e prometteva di rivoluzionare il commercio digitale per sempre. Tecnicamente parlando, Bethesda Game Studios in realtà neanche esisteva, poiché non era ancora stata scorporata da Bethesda Softworks. Quel mondo era, ovviamente, The Elder Scrolls, oggi una delle serie di giochi di ruolo fantasy più vendute e acclamate di tutti i tempi. E sebbene il team dietro i recenti episodi di Fallout sia il medesimo, furono le menti creative di Interplay e Black Isle Studios ad elaborare quel franchise e le corrispettive atmosfere post-apocalittiche. Quindi, a voler essere pignoli, Starfield è solo il secondo tentativo di Bethesda Game Studios di costruire un universo ruolistico originale, e quest’ultimo è proprio il termine giusto per definirlo poiché questa nuova dimensione fantascientifica, incastonata nel 24° secolo, presenta infatti più di 1000 mondi distinti da esplorare, costruiti grazie a un mix di design artigianale e generazione procedurale alimentata da dati scientifici reali. Se a ciò si aggiunge la vastità dello spazio che li collega, perché i cosiddetti Sistemi Colonizzati si estendono per un raggio di circa 50 anni luce dalla Terra, e la moltitudine di città, insediamenti, stazioni spaziali, laboratori di ricerca, avamposti, impianti di estrazione e via dicendo sparsi per tutta la galassia, si ottiene quello che potrebbe essere lo scenario più audace mai concepito per un gioco di ruolo.

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Naturalmente, qualsiasi missione che ci porti ad attraversare distanze così ampie deve essere altrettanto epica, e la soluzione avanzata da Starfield consiste nel farci immergere in uno dei più grandi misteri del viaggio interplanetario: siamo davvero soli nell’immensità dell’universo? Veniamo chiamati a vestire i panni di una nuova recluta della Argos Extractors, una società mineraria spaziale, e durante il nostro primo giorno di lavoro ci imbattiamo in quello che sembra essere un artefatto alieno, il cui semplice tocco trasmette al nostro cervello un sovraccarico di informazioni talmente elevato da farci perdere i sensi. Da questo punto in avanti, faremo la conoscenza di Constellation, uno sparuto gruppo di esploratori che amano definirsi gli ultimi pionieri del cosmo, dediti a spingersi sempre oltre i confini delle mappe stellari conosciute ed a svelare gli enigmi celati dal vuoto che distanzia i corpi celesti. Ingaggiati dall’organizzazione, che vede in noi un elemento aggiuntivo per avvicinarsi a comprendere la reale natura dei Manufatti, spetterà dunque a noi seguire le tracce di questi ultimi e del loro misterioso potere, ovunque e a qualsiasi risposta ci conducano, visitando mondi tanto familiari quanto incredibilmente estranei, e facendo la conoscenza di una pletora di personaggi che si uniranno a noi in qualità di compagni, alleati o nemici a seconda delle conseguenze delle nostre scelte.

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Lo spazio sta al luogo come l’eternità al tempo

Senza anticipare molto altro sulla storia vera e propria di Starfield che ho completato in circa 40 ore, questa rappresenta soltanto l’introduzione al mondo di gioco come ben sanno tutti gli estimatori dei giochi di ruolo firmati Bethesda, e mai come in questo caso una simile affermazione si rivela veritiera, poiché il completamento della stessa implica un certo numero di conseguenze ludiche e narrative che influenzeranno il prosieguo del gioco. Esplorando l’universo, incontrerete decine di altre storie secondarie, grandi e piccole, che possono coinvolgere le due fazioni principali, il Collettivo Freestar e l’Unione Coloniale, un tempo impegnate in una lunga e dolorosa guerra per la supremazia territoriale, oppure consorterie secondarie come i pirati della Flotta Cremisi, gli zeloti del Casato Va’Ruun e i delegati delle Industrie Ryujin, una megacorporazione dedita al commercio interplanetario, o ancora piccoli contingenti di esploratori distanziati dai problemi politici e sociali dei settori più affollati, ma non meno bisognosi di aiuto.

Al centro di tutto c’è il cammino personale dell’eroe, che generiamo liberamente e facciamo crescere nel corso degli innumerevoli pellegrinaggi che affronteremo. Con la presenza di un background e diversi tratti personali specifici che possono influenzare sia le scelte da formulare che la percezione altrui nei nostri confronti in determinate circostanze, cinque alberi di abilità, più di 80 talenti distinti e quattro gradi diversi per ciascuno, avremo a disposizione un’infinità di permutazioni per decidere che tipo di protagonista vogliamo interpretare: forse ci piace affrontare ogni situazione lasciando parlare le pistole laser e il jetpack, oppure siamo più propensi al dialogo e preferiamo concentrarci sull’intimidazione e sui bluff per tirarci fuori dai guai, o magari adoriamo la furtività e vogliamo poterci muovere di soppiatto per cogliere di sorpresa i nemici e borseggiare vittime ignare, o ancora l’attitudine verso scienza e tecnologia ci spinge a specializzarci nella violazione di serrature e dispositivi elettronici, nonché sull’addomesticamento della fauna aliena affinché prenda parte agli scontri in nostra vece. Insomma, il senso di libertà assoluto che ha reso Bethesda così popolare tra i fan dei giochi di ruolo digitali risplende fortissimo anche in Starfield, abbinato con sapienza a tutte le convenzioni e le sfaccettature tipiche del genere sci-fi.

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E uno degli aspetti più interessanti che caratterizzano il modo in cui il titolo si avvicina alla fantascienza è costituito dall’utilizzo da parte di Bethesda della vastità dei Sistemi Colonizzati per esplorare tante tradizioni ed estetiche diverse all’interno del genere. Troveremo insediamenti che sembrano tratti dal futuro scintillante e immacolato di Star Trek e metropoli cyberpunk intrise di neon alla Blade Runner, ma anche polverosi mondi di frontiera usciti da un western spaziale stile Firefly e colonie minerarie con una tecnologia consumata e polverosa che sarebbe stata perfetta in Alien o Total Recall. Piuttosto che scegliere un singolo profumo fantascientifico, Starfield ci offre un intero bouquet di luoghi da scoprire e di cose da fare, nel quale ogni appassionato del filone, dal romanzo scientifico in poi, riesce a cogliere uno o più elementi in grado di soddisfarlo.

Inoltre, sebbene un approccio così diversificato al genere possa correre il rischio di sembrare disarticolato, c’è una sensibilità di design unificante che lega il tutto, qualcosa che Bethesda ha ribattezzato “NASA-Punk”: la tecnologia che incontreremo in Starfield può anche essere più avanzata di qualunque altra meraviglia ingegneristica fruibile oggigiorno, ma tutto sembra visivamente fondato sui principi che abbiamo utilizzato per esplorare lo spazio per decenni, comprensivi di interruttori fisici, idraulica complessa e pannelli dall’aspetto robusto e massiccio. La figura più esemplificativa di questa filosofia è Vasco, una macchina industriale pesante ristrutturata da Constellation e primo dei nostri possibili compagni di viaggio, divenuto nel corso dei mesi una sorta di mascotte non ufficiale del gioco: il suo scopo è assisterci nel corso delle missioni grazie alla sua elevata capacità di carico, e coadiuvarci durante gli scontri con le capacità difensive di cui è dotato. La NASA non è in procinto di costruire un robot umanoide dotato di armi laser ma, se lo facessero, è facile immaginare che assomiglierebbe molto a Vasco.

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Ci vuole un pianeta per esplorare l’universo

Insieme a Vasco, possiamo reclutare un nutrito numero di comprimari per farli lavorare a bordo delle nostre navi, accompagnarci nelle missioni o persino occupare gli avamposti che lasceremo in giro per la galassia, strutture in un certo qual modo simili agli insediamenti di Fallout 4 che possiamo stanziare su un gran numero di pianeti per estrarre le corrispondenti risorse in autonomia anche quando siamo lontani, così da avere un flusso di materiali continuo per portare avanti la costruzione di attrezzatura ed i progetti di ricerca, tutte caratteristiche tradizionalmente presenti negli RPG Bethesda che qui vengono ravvivate in chiave sci-fi. Alcuni di questi membri dell’equipaggio sono dei compagni a tutti gli effetti, con  missioni dedicate da completare e la possibilità di approfondire la relazione per farla andare al di là del semplice cameratismo. Gli alleati più prossimi durante il viaggio sono gli altri membri di Constellation, tra cui la sua leader, l’ex militare Sarah Morgan, e Sam Coe, un cowboy spaziale con particolari legami familiari con il Collettivo Freestar. Le persone che portiamo con noi durante gli incarichi possono avere un notevole impatto sullo svolgimento degli stessi, sia come sussidio balistico che come partecipanti alle discussioni, perché potrebbe accadere che possiedano una comprensione del contesto o una serie di nozioni complementari alle nostre che ci aiuteranno a uscire dai guai.

Continuare a scrivere di Starfield in sede di recensione senza dilungarsi è davvero difficile: non ho nemmeno accennato al robusto combattimento spaziale, reminiscente dei classici Wing Commander di Origin Systems e Star Wars: X-Wing di LucasArts, che consente di reindirizzare l’energia tra gli scudi, le armi, i motori e altri sottosistemi della nave durante le battaglie, né della possibilità di salire a bordo delle navi avversarie cui abbiamo distrutto i motori e rubare il loro carico (o l’intero veicolo) come un vero pirata spaziale, né dei rilevamenti via scanner che consentono di catalogare la fauna e le piante aliene di ogni sistema, o di come le diverse atmosfere e gravità dei pianeti, prelevate da dati reali della NASA laddove possibile e da ipotesi verosimili in tutti gli altri, ce li fanno sentire distinti e unici a modo loro, o delle abilità misteriose e apparentemente soprannaturali che possono essere o meno legate alla ricerca di vita aliena intelligente, o ancora… insomma, di cose da discutere ce ne sarebbero un’infinità, proprio come quella che Starfield promette di farci visitare. E che, da questo punto di vista, riesce senza alcun dubbio a fare.

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Il cosmo non è tuttavia privo di insidie, e in questo Starfield cade un po’ nei tranelli tipici dei suoi predecessori. Anzitutto, il sistema di mappatura presente torna molto utile per spostarsi tra zone differenti o indicare la posizione dei numerosissimi punti di interesse, sia a terra che nei cieli, ma del tutto manchevole quando stiamo esplorando caverne, edifici o ambienti al chiuso, che spesso possono rivelarsi oltremodo complessi. E quando dico manchevole intendo dire proprio che non c’è, dunque le nostre capacità di orientamento visivo verranno messe molto spesso a dura prova. Un plauso va alla rifinitura delle meccaniche sparatutto che, pur essendo decisamente lontane da un qualsiasi Call of Duty (mirino, grilletto e probabilità di andare a segno vengono comunque influenzati dalle nostre statistiche più che dai riflessi e dalla bravura nell’inquadrare i bersagli), regalano una sensazione invidiabile di fluidità anche quando gli scontri si spostano sul piano verticale grazie al jetpack. Di contro, l’intelligenza artificiale dei nemici è abbastanza risibile anche quando questi ultimi sono di livello elevato, perché la semplice tattica del mordi e fuggi dove andiamo a provocarli sparando qualche colpo, ci allontaniamo dalla loro visuale e restiamo nascosti lasciando passare il pericolo per poi ripetere l’operazione fino al decesso degli ostili è sufficiente nella stragrande maggioranza dei casi, minimizzando la sfida offerta.

Caso differente è quello dei duelli tra astronavi, che invece richiedono una valutazione precisa delle forze avversarie e un bilanciamento oculato degli impianti energetici per non bruciare gli scudi o ritrovarci senza armi, con il vantaggio se non altro di poterci ritirare con un salto gravitazionale qualora la situazione volga al peggio per poi riprenderla in un secondo momento. Ho inoltre riscontrato una certa frequenza e pesantezza dei caricamenti, che su PC dotati di SSD performanti si sentono molto meno rispetto alle Xbox Series, ai quali non si fa caso a lungo andare ma che comunque spezzano di tanto in tanto il ritmo, e qualche bug occasionale che tuttavia non macchia in maniera significativa l’esperienza, davvero una delle più pulite mai sfornate dalla casa di Rockville: il motore utilizzato è il nuovo Creation Engine 2 che permette di ottenere maggiori dettagli e varietà rispetto alla sua precedente versione, consentendo il supporto alla risoluzione 4K e 30 FPS su Xbox Series X e PC (1440p e 30 FPS su Xbox Series S), nonché effetti di ray tracing che migliorano l’illuminazione e l’ombreggiatura. Menzione d’onore per la colonna sonora originale composta da Inon Zur, compositore molto noto al grande pubblico per il suo contributo su opere quali Dragon Age, Fallout e Dragon’s Dogma, che ha miscelato sonorità elettroniche a sinfonie orchestrali ottenendo un risultato complessivo evocativo e solenne.

Piattaforme: PC, Xbox Series X|S

Sviluppatore: Bethesda Game Studios

Publisher: Bethesda Softworks

Così come ci sono fan sfegatati che giocano ancora ai più recenti Elder Scrolls e Fallout decenni dopo il lancio, Starfield è il tipo di esperienza in cui potrete perdervi più e più volte negli anni a venire. Quello che il team di Todd Howard ha confezionato è la summa di tutti gli aspetti migliori, e di parte dei peggiori, dei giochi di ruolo realizzati da Bethesda fino ad oggi, una sintesi di passione e consapevolezza mirata ad offrire migliaia di ore di divertimento, capace di farci scoprire ad ogni passo qualcosa di mai visto prima. Starfield è un titolo che realizza la sua ambiziosa visione di immenso gioco di ruolo fantascientifico ambientato nello spazio: l’universo da esplorare è vasto ed immersivo, la storia ricca e coinvolgente e il gameplay variegato e dinamico. Il target è chiaramente il pubblico che già conosce e ama il modo in cui Bethesda realizza da sempre le sue avventure, e qualora tale approccio non vi appassioni il vostro giudizio complessivo potrebbe ridimensionarsi anche di 1 o 2 punti, ma a mio avviso varrebbe comunque la pena dargli una possibilità perché, pure fosse l’eccezione che conferma la regola, ciò che vi ritrovereste a vivere è un’odissea la cui portata non conosce davvero rivali.

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.