La vita editoriale della saga di Mortal Kombat procede oramai da trent’anni tra alti e bassi, ma pur essendo un titolo “di nicchia” è rimasto nell’immaginario collettivo, traslandosi in sempre nuove (e truculenti) incarnazioni. Ha stupito in molti l’annuncio e il subitaneo arrivo sugli scaffali di Mortal Kombat 1, – dodicesimo capitolo principale del franchise – con una manciata di mesi a separare l’annuncio dal lancio, lasciando i fan della serie intontiti come lo sconfitto in piedi alla fine di un match, in attesa di scoprire la propria sorte: sarà la volta di una Fatality o di una Friendship? Ebbene, vi anticipiamo che l’impatto è quello di una pit fatality, ma il risultato è quello di una friendship particolarmente carezzevole verso i giocatori, la cui fiducia (a patto di stare al gioco, ovviamente) è stata ripagata con un ottimo picchiaduro.
Mortal Kombat 1: Liu Kang come Ed Boon
Mortal Kombat 1 tenta più o meno la stessa carta di Assassin’s Creed Mirage, guarda caso in uscita anch’esso in questo periodo: un reboot parziale che sa di remake pur, furbamente, distanziandosene. Un gioco che prosegue di fatto la storyline classica ma che i nuovi giocatori possono considerare al pari di un “fresh start”, un punto di ripartenza per il quale non c’è bisogno di conoscenze pregresse ma solo di tanta voglia di divertirsi in maniera decisamente sopra le righe. La storia dell’universo narrativo “riparte d’accapo” dal momento in cui Liu Kang passa dall’essere Custode del Tempo a vera e propria divinità, sostituendosi a Lord Raiden e intessendo i fili della vita senziente secondo la propria volontà e i propri sentimenti. Per evitare gli sbagli del passato vengono date nuove opportunità a tanti figuri ben noti, o vengono messi in posizione di non nuocere (fino a che…). Alleanze e faide di una volta sono spesso svanite o trasformatesi, e tutto quello che pensavamo di sapere è stato ribaltato o riserva molte sorprese. Chi, invece, non conosce i vecchi personaggi se non di nome non deve preoccuparsi del pregresso.
In questa mossa Boon, che alla saga ha votato la propria carriera, si dimostra un ottimo demiurgo, per quanto limitato dal non voler creare scompensi di ogni tipo: i cambiamenti son funzionali, ma contenuti, nell’ottica di creare un ecosistema ottimale che non tradisce le sue premesse iniziali. Il parallelo con Liu Kang è palese; con l’unica differenza che, prima, lui era anche Raiden! Il design ci restituisce così un gioco che ha il feeling di un remake del primo episodio ma che evita la trappola del confronto diretto, presentando invece tantissime novità, perlopiù interessanti.
La prima è che il ricco roster iniziale di personaggi non ne presenta neanche uno nuovo… eppure sono, al contempo, tutti nuovi, a modo loro: nell’aspetto, in elementi del gameplay e, soprattutto, nella caratterizzazione, con un redesign davvero convincente.
Test Your Might
A livello di gameplay, il gioco si presenta sulla falsariga dei precedenti, con qualche variazione ma, anche, senza quei passi avanti che ci si poteva attendere. Mortal Kombat 1 opera un soft reboot radicale di storia, lore e personaggi del multiverso di gioco, ma di rivoluzioni, pad alla mano, non se ne vedono né all’orizzonte né in prossimità. Si tratta di un singolare frullato di idee prese (o scartate) ed evolute dalle due versioni di X e 11, nonché da Injustice, con un paio di accenti che, a conti fatti, catturano gran parte dell’attenzione. I combattimenti si svolgono con la solita “meccanicità” meno fluida della concorrenza nipponica, con una impostazione che predilige la spettacolarità e la violenza visiva estrema. Il ritmo di gioco è, tuttavia, piuttosto sostenuto rispetto alla media della serie, con migliorie (anche dell’ultimo minuto, rispetto alla Beta) alla corsa e al gioco aereo e una particolare attenzione al concatenamento delle combo e ai mix-up spesso molto variegati, complici le mosse caricate e la più grande novità di questa edizione: i kombattenti kameo.
Si tratta di personaggi selezionabili extra, che fungeranno da spalla per quello principale. Su questo aspetto apparentemente secondario il gioco spinge tantissimo e quello che a prima vista, durante i trailer, sembrava un qualcosa di accessorio, magari disattivabile, entra invece a far parte in maniera centrale dell’esperienza di gioco. Mortal Kombat 1 non è un gioco tag team, quindi sì, selezioneremo due personaggi, ma il secondo fungerà unicamente da supporto e non potrà scambiarsi il posto con il lottatore attivo come in Dragon Ball FighterZ, Marvel VS Capcom o Tekken Tag… ma allo stesso tempo non si tratta neanche di presenze “mordi e fuggi” come gli striker di The King of Fighters, che però sono anche a tutti gli effetti anche personaggi giocabili del roster.
I lottatori Kameo sono versioni alternative di personaggi principali o iterazioni storiche di personaggi secondari (come Striker di MK3) che avranno un loro move-set dedicato – ma non completo – e non potranno essere usati come lottatori principali, ma solo come sidekick. Tuttavia, a differenza di quanto avviene di solito con implementazioni di gameplay di titoli simili, non si limiteranno a entrare, effettuare una mossa specifica e scomparire, ma avranno a disposizione diverse tecniche che possono entrare in kombo con quelle del personaggio principale, in maniera anche piuttosto articolata, andando a chiudere pure le prese e, udite udite, Fatality dedicate. Il loro utilizzo è limitato da un cooldown a cui prestare molta attenzione perché, come in tutti i picchiaduro di nuova generazione, è importante l’offensiva al momento giusto: spammare le mosse espone a punisher terribili.
The path of a warrior
Oltre all’ormai immancabile e fondamentale modalità di gioco online (che non brilla per originalità del contesto ma “gira” abbastanza bene già da ora) e al multiplayer locale, Mortal Kombat 1 offre una modalità di allenamento tra le migliori mai viste in un gioco del genere, permettendo non solo un training generico molto ben riuscito e con elenchi mosse dettagliatissimi e ben studiati, ma anche delle sfide kombo classiche dal giusto feeling e un tutorial che guida passo passo, in maniera davvero esaustiva e didattica senza tuttavia essere pedante, difficile o noioso. Ci sono anche le spiegazioni non solo sul gioco neutrale, ma sui rapporti di vantaggi/svantaggi frame! L’offerta ludica single player non è certo da sottovalutare, anzi, dato che si compone di ben tre modalità: lo Story mode, le mitiche Torri e la nuova Invasioni. Sulle Torri c’è ben poco da dire: è la modalità Arcade, con scontri casuali singoli su due round a diversi livelli di difficoltà. Concluderle sblocca i finali dei singoli personaggi, e a scanso di spoiler consigliamo di provarle solo dopo aver concluso l’estesa modalità Storia, che ci permetterà di utilizzare tutti i personaggi del roster iniziale secondo il filo della macrotrama, tenendoci più a gustarci filmati in computer grafica che a giocare, invero. In questa modalità i personaggi avranno dei modificatori (perlopiù grafici) relativi a quel momento della vicenda e la violenza sarà relativamente più contenuta… ma certo non meno grottesca.
Infine, le Invasioni: una sorta di folle Gioco dell’oca con sprazzi di elementi RPG che ci proporrà combattimenti con regole e ostacoli speciali. Divertente ma anche dispersivo, e la sua natura live service è al contempo un’opportunità e una condanna, con i suoi contenuti legati anche alle Stagioni di gioco. Come sembra sarà il trend d’ora in poi, in generale, anche per i picchiaduro come per altri generi. Oltre ai vari Season Pass per il rilascio di personaggi e arene, le varie cosmetiche passeranno da liste, alberi e missioni stagionali, per la gioia di chi riesce a stare al passo e la disperazione di chi, invece, soffre di FOMO. Ci faremo il callo?
Mortal Kombat 1: viuuuulenza indiscriminata!
A proposito, affrontiamo subito la questione: nonostante menù completissimi e ricchi di qualsivoglia opzione, non è possibile regolare il livello di gore, come una frangia di pubblico si aspettava, per avvicinare anche chi avrebbe piacere a giocare ma trova “esagerato” il livello di splatter. Il messaggio è chiaro: non si fanno sconti e si scende a patti con qualunque (sacrosanta) esigenza, ma la rappresentazione di sangue e budella non si tocca. Indubbiamente una presa di posizione coerente, ma d’altro canto crediamo che lasciare alla sensibilità del singolo giocatore un aspetto del genere non avrebbe inficiato sul prodotto finale. Anzi, a dirla tutta, disattivare i continui fiotti di sangue e le numerose animazioni macabre ripulirebbe l’immagine e snellirebbe assai le tempistiche dei match stessi, spesso appesantiti da una componente grafica spettacolare e preponderante. Perché, oggettivamente, ad esempio i Fatal Blow mantengono l’effetto WOW solo le prime volte, poi inevitabilmente spezzano l’azione più del dovuto, con i giocatori che rimangono in attesa di tornare a combattere davvero. Pensate al risparmio di tempo, durante i tornei, se si potessero velocizzare a livello di animazione…
Ad ogni modo c’è da sottolineare come l’elemento gore non sia certo diminuito, rispetto al passato, ma fa a volte un effetto diverso: sembra aver ritrovato in molti casi la vena parodistica dei primi capitoli piuttosto che una fine a se stessa, e il contrasto con le ambientazioni, a volte coloratissime e variopinte, ne aumenta l’effetto e le mostra in tutta la loro possanza.
D’altro canto, accogliamo molto positivamente l’idea di spogliarsi dei toni eccessivamente cupi e horror degli ultimi capitoli, ritrovando la vena parodistica degli esordi, quando Mortal Kombat era un cosciente concentrato di stereotipi dell’action caciarone e sconsiderato, che non si faceva problemi a mostrare una violenza esagerata ma palesemente fintissima. Goro era un pupazzone che, quando strappava gli arti, faceva ridere, non paura. Da questo punto di vista, il primo pack di personaggi ospiti, con personaggi supereroistici di stampo villain, promette una direzione più interessante di quella squisitamente horror o truculenta dei vari spauracchi slasher o violenti action hero visti in MK X e 11. Johnny Cage, in questo, è proprio una dichiarazione d’intenti: impossibile prenderlo sul serio e siamo impazziti alla genialità del presentarlo, all’inizio, sul set di un Indiana Jones sui generis ma come l’avrebbe diretto Carpenter invece che Spielberg. Tutta la modalità storia è appassionante come un serial anni ’90, con dialoghi volutamente sopra le righe, citazionismo spinto e ribaltoni esilaranti.
Piattaforme: PlayStation 5, Xbox Series X|S, PC, Nintendo Switch
Sviluppatore: NetherRealm Studios
Publisher: Warner Bros. Games
Mortal Kombat 1 spreme come un limone l’Unreal Engine 4 per regalarci una grafica iperdefinita, con belle animazioni, splendidi fondali e animazioni facciali tra le migliori di sempre; l’alta cinematograficità della confezione fa il resto e conquista il pubblico in grado di stare al gioco di una narrazione sempre over the top e che (grazie al cielo!) non si prende mai sul serio. Come gioco in sé, MK1 non tradisce i fan di lunga data della formula ed è in grado di conquistare anche i neofiti, grazie alla sua grande scalabilità e adattabilità, nonostante alcune asperità di fondo che rendono comunque, inevitabilmente, più “entry level” Street Fighter 6 o Tekken 8: per diventare giocatori di un decente livello di bravura c’è bisogno di un minimo di applicazione e il button-mashing non vi porterà da nessuna parte. Però, pur nella sua brutalità, MK1 accompagna per mano il giocatore desideroso di imparare. Sul fronte della longevità (anche in single player), infine, i contenuti non mancano di certo, e la scena torneistica si prospetta interessante. Tirando le somme: i fan del franchise lo comprino pure senza indugio; chi vuole tuffarsi in un universo narrativo espanso e violentissimo, si accomodi, il viaggio sarà emozionante.
