C’è un personaggio, in ambito supereroistico, che si muove sempre tra grandi risultati e tentativi di “vorrei ma non posso” nel fargli fare il salto presso il grande pubblico: Hellboy. Nato dal pennino del grande Mike Mignola, il demone al servizio del bene è stato protagonista di due ottimi lungometraggi in live action diretti da Guillermo del Toro con protagonista Ron Perlman, ma per il resto ha avuto un destino abbastanza infausto nelle sue altre trasposizioni: il reboot cinematografico con David Harbour è stato un sonoro fiasco e le apparizioni in animazione e videogiochi hanno sempre lasciato il tempo che trovavano (anche quando è stato ospite della scuderia supereroistica di Injustice). Ora, con Hellboy Web of Wyrd, potrebbe essere giunta l’ora del riscatto. Purtroppo, il condizionale è d’obbligo…
Hellboy Web of Wyrd: sulle tracce del mistero
Hellboy Web of Wyrd è vanta una trama completamente originale (ma avallata da Mignola) ed è scollegato da qualunque altra rappresentazione del personaggio, anche se guarda con profondo rispetto ai fumetti originali e con ammirazione ai lungometraggi di Guillermo del Toro. La storia è ambientata nel 1982, con un Red dunque ormai adulto e già perfettamente integrato nel B.P.R.D. (Bureau of Paranormal Research and Defense), un’agenzia di intelligence del Governo statunitense dedita all’investigazione e all’intervento verso minacce paranormali di ogni tipo. All’interno dell’agenzia sono presenti elementi con poteri sovrannaturali o dai natali mostruosi o demoniaci, come lo stesso Hellboy, che in quest’avventura si ritroverà ad esplorare il piano occulto (ma tangibilissimo) del Wyrd, che ai suoi occhi presenterà quattro biomi diversi, ispirati a Italia, Scozia, Russia e America. Si tratta di una missione di salvataggio, inizialmente, ma in realtà c’è molto di più in ballo, come scoprirà collegando i puntini ogni volta che tornerà alla base dopo una sessione di investigazione, alla Casa delle Farfalle, magione argentina ricca di misteri e in risonanza con certe forze occulte che abitano il Wyrd e, quando non occupate a tendere trappole al Rosso, raccontano una bizzarra storia…
“Oh, CRAP!”
Pad alla mano, Hellboy Web of Wyrd si gioca come un action-adventure in terza persona con dinamiche di progressione squisitamente roguelite e combat system vagamente “soulslikiano”. Diciamo che appaiono più che evidenti i prestiti da parte di Hades (imbattuto capolavoro indie dell’ultimo decennio), Returnal e Dark Souls. I labirinti procedurali vedono l’avanzata perenne del nostro Red mentre cerca nuove vie percorribili, bonus (o, meglio, “doni”), entità mostruose e folli manifestazioni, in un perenne trial & repeat volto a diventare sempre più forti e resistenti e, al contempo, svelare i misteri del Wyrd tramite dialoghi più o meno astratti e fumosi ma anche ben più concreti report dal campo con i compagni del B.P.R.D. nei corridoi della Casa delle Farfalle.
L’arsenale a nostra disposizione si compone di cazzotti… e cazzottoni, perfettamente nello stile del personaggio, coadiuvati da monili benedetti (che conferiscono abilità e mosse di vario tipo) e armi da fuoco. Non parliamo di pistole qualunque, naturalmente, ma del “Buon Samaritano”, il revolver modificato di Hellboy capace di fungere da pistola, fucile e lanciagranate. Anche se l’arma più potente rimane sempre la Mano Destra del Destino, il pugnone in pietra caratteristico e distruttivo, in grado di scatenare i colpi più devastanti del gioco. E se prima abbiamo citato Dark Souls (o similari) c’è un motivo che deriva dall’approccio agli scontri: gli sviluppatori, dovendo scegliere un stile di gameplay hanno guardato al protagonista e hanno chiaramente deciso di abbandonare ogni velleità di fast combat spesso usato nelle avventure di questo tipo, andando piuttosto a ricalcare lo stile di combattimento lento e devastante di Red, fatto di diversivi, eliminazioni in combo, colpi di fucile, schivate e granitici jab. Di base potete inanellare quattro pugni, colpi di pistola, ganci caricati e sfruttare schivate e susseguenti finestre di invincibilità combo. Il personaggio è molto ben studiato nel suo stile di combattimento, dato che sa incassare molto bene (cosa resa dalle prime due tacche di energia, che si ricaricano se i danni non oltrepassano una soglia minima) ma sa anche sfogarsi in attacchi rabbiosi, ad area o lockati contro un singolo bersaglio. Il lock-on è un’abilità fondamentale per abbattare i minion più grandi e i boss, sfruttando i pattern di attacco dei nemici per colpire nei modi più opportuni, ma anche per ricaricare o porsi in situazioni di vantaggio.
Sarebbe tutto molto bello, se non fosse che il combat-system, ben congegnato nelle intenzioni, nella realtà dei fatti si scontra con una visuale troppo ravvicinata che sfocia in un sistema di schivate scomodo, hit confirm poco chiare e una generale lentezza di fondo che non deriva solo dall’incedere tipico del protagonista ma da un regime di FPS davvero ballerino e poco performante, sia durante i combattimenti che durante le esplorazioni, funestate da una certa lentezza di movimento aggravata dal ricorrente timore di essersi persi in vicoli apparentemente tutti uguali, senza mappe di sorta.
Piattaforme: PC (Steam), PlayStation, Xbox, Nintendo Switch
Sviluppatore: Upstream Arcade
Publisher: Good Shepherd
Hellboy Web of Wyrd trasuda tutte le buone intenzioni del team di sviluppo, che conosce molto bene il personaggio originale e la sua lore e ha provato, con i mezzi a sua disposizione, a restituirne le atmosfere, non calcando solo sull’azione ma anche sul mistero, l’inquietudine, le ombre lovecraftiane su cui si appoggiano l’immaginario di Mignola e i film di Guillermo del Toro. Lo ha fatto, inoltre, ricalcando sapientemente lo stile grafico comprendendone le sfumature, i chiaroscuri, i volumi, cosa assolutamente non da poco e che invece, in tanti non comprendono (vedi il film di Neil Marshall, da quel punto di vista molto piatto). Anche il gameplay è ben pensato in funzione del contesto: il problema, purtroppo, è che Web of Wyrd è un videogioco, non un film d’animazione, e l’esperienza puramente ludica non è all’altezza dell’amore riversato dagli sviluppatori. Non è tanto questione di imperizia tecnica ma di evidenti limiti nella produzione, un indie che chiaramente non può permettersi il numero di sviluppatori e il tempo di sviluppo stesso di un titolo tripla A, ed è sinceramente un peccato. Un cortocircuito effettivo perché l’idea di usare una grafica poligonale simile valorizza l’idea grafica, cosa più difficile da fare ad esempio con una visuale dall’alto, che però avrebbe consentito maggior pulizia e responsività grafica. Il gioco è lento, i combattimenti macchinosi e, in generale, il titolo si trascina in maniera stanca, sorretto da una storia interessante ma sessioni di gioco poco stimolanti. Davvero un peccato.
