Tredici anni sono un lasso di tempo enorme per un sequel, soprattutto se ti chiami Alan Wake. Di acqua sotto ai ponti ne passa tanta in un fetta temporale talmente grossa e ne è passata tanta, sia per i videogiocatori sia per Remedy, chiamata a una missione tutt’altro che semplice. Il giocatore attuale, del resto, è diventato super pretenzioso, specialmente quando si vanno a scomodare dei mostri sacri, specialmente quando sai di poter contare sull’immenso talento di chi, come Sam Lake e il suo team di sviluppo, ama il suo lavoro. Ve lo voglio dire subito: se avete avuto il timore che ai piani alti di Remedy potessero finire vittima, come Alan, del blocco dello scrittore, siete (fortunatamente) fuori strada: Alan Wake 2 è un prodotto per certi versi diverso ma quasi totalmente superiore del suo predecessore, e scusatemi se è poco. Lo ammetto: nelle ultime ore, quelle proprio precedenti all’arrivo del codice che mi ha permesso di vivere l’esperienza completa in tempo per l’uscita globale del gioco, mi avevano generato qualche dubbio, che, a dirla tutta, sono stati spazzanti velocemente via, grazie a quel che si nota subito essere un lavoro incredibilmente curato e che trasuda amore e passione da ogni poro.
Alan Wake 2 è un vortice, è un mostro senza volto, è una presenza oscura che ti cattura e ti trascina via, senza darti tregua, senza darti la possibilità di rifiatare, proprio come accade al protagonista dell’opera (o, per meglio dire, ai protagonisti). Il team di sviluppo ha saputo sfruttare al meglio l’esperienza maturata negli anni con Quantum Break e soprattutto con Control, a cui, lo dico subito, questo Alan Wake II si ispira parecchio e palesa più punti di collegamento di quanto potessimo immaginare, al netto di quanto detto in precedenza. Da buon narratore, però, voglio concludere l’introduzione con una domanda da un milione di dollari, a cui nemmeno il sottoscritto può rispondere, ma che mi sembra doverosa. Alan Wake II è un capolavoro o, come molti sequel, è una copia sbiadita di un successo potenzialmente immutabile? Scopriamolo insieme.
Alan Wake 2: un viaggio oscuro e meraviglioso
Lo voglio dire subito, senza girarci intorno: Alan Wake 2, a livello di scrittura, è un prodotto a dir poco sontuoso. Su questo, onestamente, avevo poi molti dubbi, ma lo sappiamo bene, rimetter mano a un prodotto tanto ambizioso, specialmente considerando l’enorme lasso di tempo intercorso tra il primo e il secondo capitolo, era una variabile da non sottovalutare, anzi. Sam Lake e il team di Remedy, evidentemente, lo sapevano molto bene e hanno lavorato duramente, durante tutti questi anni di sviluppo, per concentrarsi sul creare una storia che potesse fondere al meglio delle possibilità passato e presente, onorare il precedente capitolo ma anche aprendolo ai dogmi di una generazione di videogiocatori diversa da quella degli anni in cui il primo Alan Wake aveva letteralmente spopolato, pur però rimanendo in quella fetta di utenza non di nicchia, ma comunque più intima e circoscritta. Voglio provare a farvela più breve possibile: Alan Wake II è un titolo che si basa su una scrittura a dir poco sontuosa, e lo si capisce sin da subito, grazie a un taglio cinematografico che trasuda carisma, pathos e angoscia da ogni singolo poro. Mi sono soffermato più volte a guardare il vuoto, a osservare un cartello stradale o a provare a scrutare al di là di un portone, perché in e di Alan Wake 2 c’è veramente tanto da dire che, sinceramente, quasi non so da dove iniziare.
Per farvi capire quanto è profondamente intelligente la scrittura che si basa alle spalle della produzione, vi voglio fare un esempio che ultimamente mi rimbalza in testa come il suono del palleggio incrociato di Steph Curry sul parquet di Golden State. Avete presente Twin Peaks e una delle scene finali della prima stagione? Quella, per farvi capire, in cui il padre di Laura, posseduto da Bob, irride sonoramente gli agenti quando viene accusato (giustamente) dell’omicidio della figlia poiché non si rende minimamente conto di quel che fatto? Ecco, il taglio autoriale e narrativo di Alan Wake II è riassumibile fondamentalmente così: una dicotomia continua, un incontro di boxe all’ultimo round che si conclude sempre ai punti, tra momenti ai limiti della follia e il più oscuro terrore, in cui si riversano senza soluzione di continuità sezioni a sfondo comico e assurdità di ogni sorta, che fanno dell’impronta narrativa data da Sam Lake e dal suo team di sviluppo un vero e proprio gioiello della creatività.
Un agente dell’FBI, una setta misteriosa, e uno scrittore scomparso
Non voglio entrare nello specifico, non voglio rovinarvi in alcun modo lo splendido viaggio che vi attende una volta varcato i “cancelli” di Cauldron Lake nei panni di Saga Anderson, l’agente dell’FBI con cui il gioco prende il via, in un connubio perfetto di generi che si fondono sapientemente, senza sbavature e senza incertezze e soprattutto con una faccia tosta tipica di chi sa di avere tra le mani una mano a dir poco vincente. L’impianto narrativo messo su da Remedy è a dir poco sontuoso, sfaccettato, irriverente, fuori di testa e non si preoccupa mai di prendere per mano il giocatore, nemmeno per un secondo. In questo contesto, spicca il personaggio della Anderson, che rappresenta però soltanto la punta di un iceberg profondo e meraviglioso, che ideologicamente raffigura un character design spaventoso. Ogni singolo personaggio visto in Alan Wake II ha il suo perché, possiede il suo bagaglio narrativo e tematico, e non importa se si parla dei volti principali o di quelli più marginali. Il titolo di Remedy, da questo punto di vista, è pervaso da un’aura di bontà creativa surreale, che mixa in maniera sapiente un’infinità di influenze esterne impressionanti.
Nei panni di Saga, il giocatore sembra vivere un viaggio in pieno stile di David Lynch e del suo capolavoro più puro. L’agente è chiamata a risolvere dei misteriosi casi di omicidio, che molto presto si rivelano essere collegati direttamente a una misteriosa setta, conosciuta come la Setta dell’Albero, e di conseguenza con l’occulto, il paranormale, il mondo oscuro o, per meglio dire, il Dark Place, lo stesso luogo in cui è rimasto imprigionato, ormai tredici anni fa, lo scrittore Alan Wake, il protagonista del primo capitolo. Quello che mi ha stupito, al di là della potenza oggettiva della trama, è il modo con cui viene raccontata. Il taglio autoriale è di una qualità impressionante, soprattutto quando si pensa a Saga e alla costruzione del suo personaggio, che lentamente diventa sempre di più parte integrante di un universo narrativo smisurato che, come promesso, si espande a dismisura, fino a sfociare nell’universo di Control, con rimandi apparentemente marginali ma che, in realtà, hanno un forte impatto sulla mente del giocatore. Non voglio farvi spoiler, sia chiaro, ma c’è una scena in particolare, sulle fasi iniziali del gioco, che sono sicuro che vi farà letteralmente saltare dalla sedia, soprattutto se avete amato il gioco con protagonista Jesse Faden e avete buona memoria.
Proprio questo grande desiderio di espandere il suo universo narrativo a dismisura, verso vette a dir poco inaspettate, ha reso l’immaginario di Alan Wake 2 letteralmente sublime. L’evolversi della storia, sia quella di Alan ma soprattutto quella di Saga, e ovviamente quella comune a tutti e due, è una marcia ineluttabile e fuori di testa, che si lascia pervadere da momenti incredibili, in cui a farsi strada è anche un parterre di comprimari che definire tale è veramente un piccolo delitto, data il loro fortissimo ascendente sulla storia e sulla sua evoluzione. Anche le scene con attori veri rendono l’immersività ancor più obbligatoria e profonda, ma posso garantirvi che il risultato sarebbe stato lo stesso anche in assenza di questa soluzione artistica e tecnica che, in verità, potrebbe non piacere a tutti quanti. Alan Wake II, e non mi stanco di dirlo, è una vera e propria forza della natura, anche perché nel procedere con l’avventura, che per altro può vantare un’ottima longevità, si preoccupa sempre di trovare una risposta per tutti gli interrogativi, seppur a volte i dettagli più importanti vanno ritrovati nei piccoli gesti e nelle piccole cose, che spesso e volentieri sono il fulcro di ogni cosa. Ah, lasciatemi chiudere con un piccolo consiglio relativo ai tanti personaggi che incontrate sul vostro cammino, e poi dopo aver giocato tornerete qui e mi direte cosa ne pensate. Ricordatevi Ilmo, fidatevi. Scolpite questo nome nella vostra testa. Mi ringrazierete, poi.
Più survival che mai, ma non soltanto
Uno degli aspetti più interessanti e su cui il team di Remedy ha impiegato maggiori risorse in fase di sviluppo è sicuramente il gameplay, notoriamente (e per buoni motivi) considerato l’anello debole del primissimo capitolo. Il primo Alan Wake, non è un mistero, non brillava certamente per meccaniche di gioco. Vuoi per una struttura di comandi piuttosto confusionario, un sistema di shooting molto impreciso e in generale una gestione dei movimenti macchinosa e poco precisa, il capolavoro di Remedy non brillava certamente per i suoi traguardi ludici, per quanto comunque diverse meccaniche idee di gioco sono da considerarsi ancora oggi molto originali e con un buon potenziale. Proprio per tal motivo, il team finlandese ha cercato di preservare l’ossatura generale del primo capitolo, ampliandola e perfezionandola, però, grazie sia ai progressi tecnologici e alle possibilità dei nuovi hardware sia e soprattutto grazie al grande percorso evolutivo compiuti della stessa software house nel corso degli anni con lavori come Quantum Break e, appunto, Control. Ciò che appare evidente sin da subito è la maggior pulizia nelle animazioni e nelle collisioni. Il vecchio sistema di combattimento, che alterna schivate (sempre con L1/LT) a un utilizzo frequente e ossessivo della Torcia (R1/RT) rimane immacolato nelle intenzioni, ma si mostra decisamente più in forma, soprattutto se di predilige l’impostazione grafica dedicata alle prestazioni.
I movimenti di Alan, ma soprattutto quelli di Saga, decisamente più addestrata, agile e soprattutto consapevole di quel che fa sul campo di battaglia, sono più fluidi, meno pesanti e più moderni, ma rimangono comunque per certi versi “bloccati” e spesso mi hanno costretto a prendere dei colpi che pensavo di poter schivare con più facilità. Anche la gestione dell’inventario e delle scelte veloci risulta un’evoluzione di quanto visto tredici anni fa con il primo episodio della serie, con un sistema di comandi molto simile ma con una maggior fluidità che rende il tutto meno frustrante e più attuale. Quello che mi ha convinto poco è la telecamera e soprattutto la gestione dei movimenti dovuti proprio al modo con cui la telecamera si rapporta al giocatore, specialmente nelle fasi di combattimento più concitate, contro boss o contro nemici più numerosi. In questi frangenti, più di una volta, il nemico più ostico è stata proprio la telecamera, che nel suo muoversi in maniera confusionaria mi ha impedito di guardarmi bene intorno, finendo col prendere colpi fatali da nemici situati alle spallo, troppo spesso difficili da vedere anche a causa dell’ inquadratura ad altezza spalla in stile Resident Evil che, lo dico subito, è una gradita aggiunta per la maggior parte dei casi, ma rapportandola alle sessioni di combattimento si dimostra forse un tantino meno performante.
Esplorazione: palazzo mentale, macchine da scrivere e tanta paura
Proprio parlando della vicinanza del titolo con la serie Resident Evil è doveroso sottolineare un altro aspetto fondamentale del gioco, e vale a dire il suo ingresso più deciso nella cerchia dei survival horror. Rispetto al primo Alan Wake, infatti, questo sequel si lancia in maniera più diretta verso il sopracitato genere, e lo si capisce in particolare analizzando bene due fattori: l’esplorazione e la gestione delle risorse, ma partiamo prima dalle basi. Alan Wake 2 consente, come ormai saprete tutti, di utilizzare due diversi personaggi: Saga Anderson, la new entry, e il protagonista storico, Alan. In entrambi i casi, che spesso e volentieri li pongono in ambientazioni e scenari profondamente differenti tra loro, i due protagonisti si muovono in mappe ampie e spaziose e che nascondono, in verità, un numero convincente di segreti e soprattutto materiali e consumabili da raccogliere, che risultano fondamentali per l’avanzamento generale della storia. L’esplorazione e la gestione delle risorse, come dicevo poco sopra, sono gestite in maniera molto più vicina ai più classici esponenti del genere dei survival horror, con picchi creativi decisamente interessanti. Le mappe esplorabili di Alan Wake 2, per quanto comunque legate a un sistema con binari (alcune aree sono accessibili solo a determinate condizioni), mettono alla prova l’abilità del giocatore nel saper osservare, scrutare, fare proprio il mondo di gioco, anche grazie a una quantità ben distribuita di enigmi ambientali decisamente interessanti, e ben incastonati con la struttura del gioco. L’esplorazione del mondo di gioco apre le porte a due meccaniche di gameplay uniche e molto interessanti, una per ognuno dei protagonisti che risultano molto affascinanti, e talvolta decisive, per l’avanzamento generale della storia e anche per il fattore completismo.
Nei panni Saga, il giocatore può visitare in qualunque momento il Palazzo mentale, una dimensione alternativa in cui la detective può mettere a nudo i suoi pensieri e, soprattutto, tiene traccia di tutti gli indizi trovati sui casi, con tanto di lavagna gigante con foto, appunti e collegamenti vari. Da buon detective, la Anderson può sfruttare gli indizi raccolti per trovare il nesso, unire i punti e risolvere così i casi, tanto quelli principali quanto quelli secondari, che sono presenti nella storia in un numero non per forza di cose numerosissimo ma sono sempre e comunque ben contestualizzati e soprattutto amalgamati con la struttura narrativa del gioco. Nel palazzo mentale è anche possibile rileggere le pagine del manoscritto e potenziare le armi con cui la detective è costretta a difendersi dai posseduti, che in questo secondo capitolo, a onor del vero, ho trovato ancor più minacciosi e intelligenti di quanto visto tredici anni fa. Il livello di sfida di Alan Wake 2 è tirato verso l’alto, soprattutto se si considera il fatto che, proprio i posseduti, possono mettere KO entrambe i protagonisti con pochi colpi, cosa che costringe il giocatore a studiare bene le proprie mosse prima di agire, sempre e comunque, specialmente nei panni di Alan, che per forza di cose mi è sembrato un po’ più lento e meno performante della Anderson. Proprio tornando ad Alan, devo ammettere che anche il suo potere unico si è rivelato molto interessante, a livello di gameplay.
Lo scrittore può, visitando il suo “palazzo mentale”, riscrivere dei frammenti della storia, alterando così a livello pratico anche diverse porzioni della mappa. Con questo sistema, Alan può creare passaggi laddove non ce ne sono e scoprire nuovi segreti, cosa che si è rivelata fondamentale in più di un’occasione per poter avanzare con la storia e passare così ai capitoli successivi dell’avventura. Il comun denominatore a livello di esplorazione e di gameplay, comunque, rimane anche in questo secondo capitolo la luce. Tramite la torcia i due possono non soltanto stordire i nemici, ma anche liberare passaggi e sbloccare punti di interesse, in un continuo contrasto con l’oscurità, che ovviamente rappresenta il fulcro del level design di un po’ tutto il mondo di gioco. Ancora una volta, però, voglio trovare il pelo nell’uovo, anche perché, si sa, amare significa anche saper vedere i difetti di chi abbiamo accanto, no? Se proprio devo essere pignolo, devo ammettere che la dinamica del palazzo mentale mi ha convinto, sì, ma l’ho trovata un po’ troppo pesante e soprattutto nelle prime battute mi è sembrata forzata e inutilmente ripetitiva. Col passare delle ore di gioco tutto diventa più naturale, tranquilli, ma la fase iniziale è stata un po’ troppo pesante, almeno per il sottoscritto.
Ombre e (tante) luci dal dark place
Da amante del cinema horror, specialmente quello più psicologico e intimo, per quanto poi ne pago sempre le conseguenze in maniera postuma, questo Alan Wake 2 si è rivelato un vero e proprio tripudio sensoriale. Sam Lake e il suo team di sviluppo hanno sfruttato in maniera sapiente l’aspetto più importante della produzione, ossia quello piscologico e mentale, riversandolo con forza e convinzione in quello che sono le sembianze stesso di un mondo di gioco altrettanto oscuro e angosciante. Del resto, ho passato buona parte della mia gioventù a sbavare sulle opere di David Lynch, ho ripercorso innumerevoli volte i viaggi mentali e psichedelici compiuti dal geniale autore di quel capolavoro senza tempo che è stato Twin Peaks, e esattamente come tredici anni fa, anche stavolta, arrivando sulle misteriose rive di Cauldron Lake ho respirato le stesse identiche sensazioni. Sam Lake, d’altro canto, non ha mai nascosto la sua profonda ammirazione per il visionario regista del Montana, che ha già rappresentato una fortissima fonte di ispirazione per Remedy anche e soprattutto per Control, ma che qui, in questo sequel diretto del capolavoro più intimo e profondo del team finlandese si manifesta con forme e dimensioni più importanti.
Alan Wake 2 è proprio questo, un omaggio al cinema e alla cultura dell’horror più puro, capace di trasmettere, con pochi gesti, una sensazione di contino e profondo terrore, anche nei posti più inaspettati. La scelta cromatica profondamente oscura gioca un ruolo fondamentale in tal senso, con gli scenari che spesso e volentieri sono vittima di un percorso creativo tanto sublime quanto volutamente opprimente, in cui, appunto, la ricerca della luce diventa l’unico spiraglio di salvezza. In questo vortice creativo si avverte la vicinanza anche con autori più attuali come Nolan, di cui questo Alan Wake II possiede diverse punti in comune, specialmente nella gestione degli spazi, che mutano la loro percezione a seconda del volere dell’inchiostro dello strumento di morte più terribile visto nella produzione: la penna. No, chiaramente, non è tutto perfetto e alcune trovate di design si sono rivelate forzate e artisticamente meno ispirate di altre, ma è impossibile non apprezzare l’enorme sforzo creativo tirato su per rendere la produzione sempre più vicina allo status massimo sul piano autoriale, compresa la scelta di introdurre, così come è stato anche per Quantum Break, le sequenze in liv action, che ho trovato sempre piacevoli da vedere, ottimamente contestualizzate e a dir poco fondamentali per entrare ancor di più nella mente dei protagonisti dell’opera.
A tal proposito, ho apprezzato non poco anche il taglio creativo con cui sono state realizzate, con una vena tragicomica palesemente marcata e una spruzzata di dark humour impossibile da non amare e che ancora una volta mi ha riportato alla mente alcune delle sequenze più memorabili di Twin Peaks (“non sono stato io”, chi ricorda, capirà). Ecco, se proprio volessi trovare il pelo nell’uovo, quello potrebbe essere l’aver spinto troppo sul tema dell’oscurità e aver offerto pochi momenti “di luce”, creando così un’impostazione estetica forse un po’ troppo piatta, ma è davvero una scelta di gusti super personale e che non può rappresentare un vero e proprio malus nella valutazione della produzione.
Buone prestazioni, ma con qualche bug
Da un gioco come Alan Wake, comunque, ci si aspettava tanto anche e soprattutto da un punto di vista tecnico e sotto il profilo delle prestazioni, anche considerando le premesse della vigilia. Remedy, del resto, non è andata per il sottile, e ha fatto subito capire di voler spingere parecchio in là gli hardware delle console di nuova generazione (e soprattutto quello dei PC, leggetevi le specifiche tecniche, in caso) con risultati, onestamente, molto convincenti, seppur con qualche riserva, alcune di esse anche piuttosto impegnative. Prima di analizzare perbene i punti deboli e i punti di forza della produzione, lasciatemi fare un plauso a chi ha curato le espressioni facciali e in generale le animazioni di questo Alan Wake II, che ho trovato a dir poco sensazionali. Spesso e volentieri mi sono fermato a osservare i vari personaggi, anche quelli più marginali, mentre dialogavano o mentre effettuavano anche i più piccoli gesti e sono rimasto a dir poco incantonato in particolare proprio dalla profondità e della qualità creativa dietro alla gestione delle espressioni facciali, che in molti casi hanno rasentato il fotorealismo. Ho trovato altrettanto superbo il design dei corpi, così come la resa dei materiali e delle superfici.
Gli shader di elementi quali giubbotti, scarpe, ma anche di alcune superfici, hanno evidenziato un ottimo taglio qualitativo, su cui fa capolino anche una gestione dell’illuminazione a dir poco geniale, che in alcuni passaggi ha saputo veramente restituire scorsi mozzafiato e, finalmente, veramente next-gen. Anche sul piano della stabilità devo ammettere che Alan Wake 2 si difende piuttosto bene. Su PS5, versione da noi testata in fase di recensione, il gioco si difende piuttosto bene sia in modalità Qualità sia e soprattutto con il preset dedicato alle Prestazioni, con cali di frame rate poco frequenti e, in generale, una buona risposta anche in termini di fluidità e tempi di caricamento, che tranne in alcuni casi specifici (per scelte di design, principalmente) sono risultati sempre molto veloci e fondamentalmente sporadici. Quello che mi ha convinto forse meno di quanto mi sarei aspettato è il sonoro. Il doppiaggio, per carità, è ottimo, così come la soundtrack, e anche il sound design in gioco è decisamente ben congegnato, ma quello che mi ha fatto storcere il naso è il lavoro effettuato sul missaggio delle tracce audio, che in alcuni casi non sono sembrate sempre perfettamente a fuoco e a volte anche fuori sincro.
Ciò è legato anche alla presenza di alcuni bug, che però credo che possano essere risolti agevolmente in tempo per il lancio, magari con una patch del day one. Il codice da noi provato ha palesato problematiche in termini tecnici, come la gestione poco ottimale dei sottotitoli, quasi sempre fuori sincro in particolare nelle cinematiche e, appunto, dei difetti nel missaggio delle voci, a volte troppo alte o troppo basse senza un vero motivo. Le problematiche più noiose sono legate, invece, ad alcuni bug presenti in un determinato spazio del gioco, che in più di una occasione mi hanno costretto a ricaricare la partita, perdendo in tal modo diversi minuti di gioco. Lo ripeto, credo che sia tutto risolvibile in maniera abbastanza agevole, ma sono comunque difetti abbastanza importanti e che vanno segnalati.
Piattaforme: PlayStation 5, Xbox Series X|S, PC
Sviluppatore: Remedy Enterteiment
Publisher: Epic Games
Alan Wake 2 è la summa cum laude del lavoro compiuto da Remedy negli ultimi anni. Il primo esponente del “Remedyverse” è un vero e proprio tripudio sensoriale, è un’opera fuori di testa, con una scrittura sublime e una vena autoriale che sprizza identità e voglia di distruggere il mondo da ogni poro, con ottime ragioni. L’avventura di Saga e Alan, tra omicidi, viaggi mentali e tanti segreti da scoprire è un vero e proprio turbinio di emozioni, in cui a stonare sono soltanto qualche piccolo bug di natura tecnica che, sono sicuro, gli sviluppatori correggeranno in tempo per questo day one. Per il resto, escludendo qualche piccola incertezza con alcune dinamiche di gameplay, bisogna veramente fare un applauso, come direbbe il compianto ragionier Fantozzi di almeno 90 minuti per Sam Lake e il suo team, che hanno saputo metter mano a un brand con un passato incredibilmente glorioso e l’hanno reso ancor più memorabile di quanto non fosse già. Insomma: “another satisfied customer”?
