Vorrei iniziare questa analisi critica di Devil May Cry Peak of Combat con una piccola prefazione. Quando si tratta di coprire dei videogiochi dedicati alle piattaforme mobile, soprattutto se provenienti da mercati orientali come il Giappone o la Cina, c’è bisogno di cambiare leggermente il proprio parametro di giudizio e adattarlo agli standard e le priorità di questa specifica sfaccettatura del nostro medium. Sono perfettamente conscio che lo sviluppo, distribuzione e la manutenzione di titoli Free to Play come questo – in particolare quando sono legati ad importanti licenze come quella targata Capcom – richieda l’applicazione di pratiche di monetizzazione in-game costante ed eccessi di crediti, risorse ricaricabili e tanti altri elementi legati a una spesa in denaro non indifferente.
Tuttavia, come vedremo nel corso di questo pezzo, ci sono modi per farlo mantenendo comunque una certa consistenza nel rapporto qualità/prezzo del gioco e modi per trattare i propri giocatori come semplici balene e nulla di più. E nel caso di questo capitolo spin-off dedicato a Dante & Compagnia Cantante, il risultato finale si muove in modo molto malinconico verso il secondo caso. Ma partiamo per gradi.
Pinnacle of Combat: tutto un altro party
Lo sviluppo di Devil May Cry: Pinnacle of Combat, all’epoca nome originale del gioco, iniziò durante il 2017. Ancor prima che Hideaki Itsuno rivelasse il ritorno a sorpresa dell’IP durante l’E3 2018 e dopo le vicende che hanno accompagnato lo psicodramma collettivo chiamato “DmC: Devil May Cry” sviluppato da Ninja Theory, la software house Yuchang Game/nebulajoy acquisì i diritti per sviluppare due titoli dedicati a Mega Man (Mega Man X Dive) e appunto Devil May Cry, assistita da Capcom e in alcuni momenti anche dallo stesso Hitsuno come supervisore generale. L’idea di base del gioco era molto chiara: riproporre su un formato portatile le stesse dinamiche a base di adrenalina, weapon switching, demoni infernali e mosse che fanno una sonora pernacchia alla gravità. Tutti elementi che hanno caratterizzato la serie originale e definito il genere Stylish Action. Definita la roadmap del game design del gioco, lo sviluppo del gioco ebbe finalmente inizio.
Nel corso del 2019 vennero rilasciati una serie di trailer che mostrarono al pubblico l’idea generale sviluppata da nebulajoy e che rimarrà (quasi) tale fino alla fine del ciclo di sviluppo. A livello estetico, “Devil May Cry Pinnacle of Combat” si presentò infatti come una bella insalatona dei design e le architetture Devil May Cry 3, 4 , 5 e in certi aspetti anche DmC. Abbiamo il Dante e il Vergil degli inizi con i loro design da “belli e dannati” – anche se in questo caso il loro Devil Trigger non ha più quella piccola impronta di Shin Megami Tensei firmata da Kazuma Kaneko, sostituita da uno stile un po’ più anonimo e genericamente diabolico – accompagnati dall’arsenale vivente Lady e dall’eroe del quarto capitolo Nero. Idem per quanto riguarda i nemici e i livelli che metteranno in moto le vicende di quello che molti fan hanno percepito come una celebrazione del brand.
Stiamo parlando di un progetto ambizioso e che nelle prime versioni Closed Beta rappresentava una fedele riproposizione (seppur con delle specifiche semplificazioni) del loop di gioco originale e dei suoi “tecnicismi”. Su YouTube è infatti possibile reperire svariate clip ufficiali che mostrano un combat-system in cui il giocatore POTEVA equipaggiare fino a 4 armi (due principali e due secondarie) e librarsi in volo tra combo, mosse speciali, combinazioni e canceling di queste ultime, generando combo video come sempre affascinanti da studiare e replicare. Parlo però al passato perché purtroppo nel corso dei successivi 5 anni il titolo ha ricevuto una inspiegabile involuzione in termini di gameplay che, come vedremo più avanti, viaggia pericolosamente tra il semplice ribilanciamento e la fregatura per antonomasia.
Let’s (not so) rock!
Devil May Cry Peak of Combat si apre con dei toni che potremmo definire familiari. Lady e Dante si trovano a scambiarsi informazioni su un nuovo caso di invasione demoniaca, localizzata all’interno di una regione governata dalla Gilda dei Cacciatori. Indagando e dialogando con alcuni membri di quest’ordine sacro in qualche modo coinvolto con le leggende di Sparda, il duo inizia a scoprire un enorme velo di culti, miti e segreti che piano piano rivelerà un quadro molto più inquietante e sinistro. E che in qualche modo coinvolge anche Vergil. Può sembrare un riassunto piuttosto generico di un modello scritto tramite IA per una storia ambientata nel mondo di Devil May Cry, ma la realtà è che lo script di questa storia è tirato su dal nulla cosmico. Il che per se non è un male, Devil May Cry non è mai stato un candidato ai The Game Awards o al Premio Nobel per la sua narrativa ma quest’ultima si è sempre mostrata funzionale al dare il giusto ritmo al gameplay, cosa che in Peak of Combat non accade. Anzi, ciò che potrebbe essere tranquillamente incluso in una clip audio avviata in tempo reale durante la missione – anche nei casi degli scambi di battute più semplici e basilari il gioco si prende una pausa dall’azione di gioco tra fade in e fade out fin troppo spesso. Se non altro gli intermezzi più importanti sono accompagnati da cutscene a metà frà l’engine in-game e le animazioni in computer grafica che nel migliore dei casi replicano fedelmente la “tamarraggine” dei capitoli originali.
Parlando del gameplay invece, è arrivato il momento di parlare del tanto famigerato downgrade generale anticipato durante la vetrina della versione precedente del gioco. A differenza del familiare gameplay più puro e canonico del genere Stylish Action, Devil May Cry Peak of Combat sceglie uno stile di gioco molto più simile a quello di altri titoli come Genshin Impact. Ogni personaggio ricopre uno specifico ruolo e impugna una sola arma demoniaca, fornendo un sistema di controlli più semplice da gestire ma altrettanto limitante in termini di possibilità: un attacco normale, un attacco speciale, un tasto per attivare la “Tecnica Suprema” di un personaggio e due tasti dedicati allo scatto e al salto. Per far fronte a questo problema di profondità, nebulajoy ha ben pensato di implementare un sistema che permette ai giocatori di scambiare i personaggi al volo durante l’azione di gioco, aprendo le porte a concatenazioni di move-set che quantomeno cercano di rimpiazzare il vuoto lasciato dallo style switching tradizionale. Il risultato è un gameplay sì frenetico e che riesce addirittura a risultare più fluido e intuitivo del titolo Mihoyo, ma che comunque dopo alcune ore inizia già a mostrare tutti i limiti di una formula che sta al brand DMC come l’olio a contatto con l’acqua. Non si mischiano, non funziona.
Certo, è comunque possibile sbloccare e potenziare alcune abilità attive e passive, come l’uso di “Enemy Step” per ottenere il tanto desiderato cancelling necessario per continuare ad eseguire attacchi aerei senza troppi cooldown oppure ottenere un ulteriore combo da inserire all’interno del loop di gioco, ma il vero problema attorno a questa formula di gameplay risiede semplicemente nel tradimento della premessa iniziale. Può sembrare una lagna del classico giocatore tossico da social network, arrabbiato perché il gioco non si è rivelato ciò che si aspettava e quindi incapace di formulare un pensiero critico, ma in questo caso la situazione è ben diversa. Qui abbiamo una compagnia che ha deliberatamente tagliato le gambe a un sistema di gioco promettente e in linea con l’idea di base di Devil May Cry, per il semplice fatto che sarebbe stato troppo simile e quindi exploitabile dai giocatori più esperti. E quindi che si fa? Si mettono in funzione sistemi limitanti come il level cap per i vari scontri e si suddividono le armi a disposizione dei giocatori in varie versioni degli stessi personaggi. Abbiamo un Dante basilare in grado di utilizzare la Spada Rebellion e solo Rebellion, un Dante munito di Pugni Infernali, due versioni di Lady differenziate dal solo utilizzo di un mitra piuttosto che di un fucile a canne mozze e altrettanti varianti di Vergil, Nero e probabilmente tanti altri una volta che verranno aggiunti al roster. E se a questo aggiungiamo una evidente disparità nelle statistiche di ciascun personaggio, cominciamo a capire il magnitudo del VERO problema di Devil May Cry Peak of Combat.
Devil May Cry Peak of Combat: Smockin’ Sexy Scam?!
Da un punto di vista prettamente superficiale, l’offerta di contenuti disponibili all’interno di Devil May Cry Peak of Combat sembra più che dignitosa. Oltre alla Campagna Principale suddivisa in diversi capitoli, il gioco propone alcune modalità alternative interessanti come la possibilità di intraprendere diverse missioni giornaliere, completare sfide per potenziare i propri personaggi, affrontare il classico Bloody Palace, collaborare con altri 3 giocatori in missioni co-op e prendere parte a boss raid incredibilmente difficili, partite PvP contro altri giocatori e molto altro ancora. E se da un lato alcune di queste funzioni vanno sì a riutilizzare asset già visti all’interno della campagna principale e ri-bilanciati in base alla difficoltà avanzata da end-game, dall’altro sembra che nebulajoy si sia proposta di offrire ai giocatori ciò che Capcom si è da sempre rifiutata di fornire ai propri utenti, soprattutto con Devil May Cry 5. Ed in parte è vero, ma il prezzo da pagare per tutto questo potrebbe essere un po’ elevato e riguarda due degli elementi più controversi di questo titolo: il sistema di grado e le microtransazioni in stile gacha.
Nel primo caso abbiamo un sistema dedicato a determinare il grado di difficoltà di ogni scontro, quest, evento e missione secondaria e a valutare se ogni personaggio a nostra disposizione sarà in grado o meno di affrontare l’avventura. Per aumentarlo, il giocatore non deve fare altro che potenziare a sufficienza il proprio party e prepararlo al meglio. Il problema è che dopo le primissime ore di gioco, il gioco tende ad “ingigantire la posta”, cominciando a bloccare parte di quel progresso all’interno di svariate sotto-meccaniche come il potenziamento delle singole armi, l’ascensione del personaggio e delle armi stesse, l’ottenimento di buff passivi attraverso carte collezionabili ottenibili tramite delle letterali slot machine e via dicendo. Un malato e contorto loop basato sul consumo di risorse che potrebbe portare il giocatore freemium a rimanere “bloccato sul più bello” nel momento in cui la spesa in queste ultime cominciasse a diventare insostenibile. Anche perché ridendo e scherzando, stiamo parlando di almeno 9 valute di gioco differenti legate ad altrettanti aspetti del gameplay, per non parlare di quelle dedicate all’ottenimento di nuove armi e personaggi.
Come detto all’inizio di questa recensione, io dall’alto del mio ruolo di utente/recensore posso comprendere le priorità del mercato mobile e se fatte bene anche alcune dinamiche dei titoli gacha possono offrire all’utente la possibilità di supportare lo sviluppo del titolo con un pagamento “una tantum” in cambio di qualche piccolo oggetto extra come premio. Purtroppo con Devil May Cry Peak of Combat ci troviamo davanti all’esempio opposto. Fin dall’avvio il gioco ti bombarda di annunci pubblicitari dedicate a fantomatiche offerte per bundle pieni di risorse, season pass a multipli livelli e abbonamenti mensili che offrono sì e no una manciata di roll fortunelli, senza però garantire la possibilità di trovare personaggi rari appartenenti ad un pool unico e discostato dalle armi. E data la in fin dei conti scarsa varietà di personaggi disponibili al momento, ottenere cristalli o voucher al di fuori di quelli forniti gratuitamente e con tanto farming durante l’avventura principale comporterebbe un enorme meno sul conto in banca.
Vorrei infine poter spendere qualche parola anche per la colonna sonora e il modo in cui il gioco è stato adattato alla lingua italiana, ma purtroppo non c’è un granché da dire in modo critico senza scendere ad assoluti. Al di là del nuovissimo e brano “FIRE INSIDE” di Casey Edwards e Victor Borba che ha accompagnato il lancio, Devil May Cry Peak of Combat ripesca la colonna sonora del terzo capitolo senza aggiungere ulteriori mix o elaborazioni originali, in quello che può essere visto come un goal a porta vuota. Abbiamo apprezzato “Devils Never Cry” nel 2005 e lo apprezziamo anche 19 anni dopo. Discorso completamente diverso per l’adattamento generale del gioco e che se da un lato presenta dialoghi ben leggibili e comprensibili, dall’altro alcuni cartelli o pulsanti dell’interfaccia grafica mostrano veri e propri “orrori” come “Passo del Cacciatore” in riferimento al Season Pass, “Franco” per tradurre in modo maccheronico personaggi secondari dal nome anglosassone e “Lancia la Celebrazione” per indicare la campagna premi dedicata all’apertura del servizio. Chiariamoci stiamo pur sempre parlando di un gioco mobile dedicato ad un pubblico principalmente localizzato all’interno del continente asiatico, tuttavia considerato il ruolo di Capcom come promoter del gioco per il resto del mondo e il loro recente curriculum di adattamenti più che buoni anche nel caso delle produzioni più umili, mi sarei aspettato un risultato finale meno disastroso. Quantomeno un minimo di controllo qualità tramite i più rudimentali traduttori.
Piattaforme: Android, iOS
Sviluppatore: nebulajoy
Publisher: nebulajoy
Alla fine di tutto ciò di cui abbiamo parlato in questa analisi, Devil May Cry Peak of Combat è un gioco che se preso da un punto di vista molto casual può mostrare elementi in grado di divertire. Lo stile di gameplay e la semplicità d’uso dei comandi lo rendono abbastanza fruibile da non valergli il titolo di “Peggior Devil May Cry” appartenente al famigerato DMC 2. Tuttavia è senza alcun dubbio il titolo della serie Capcom più deludente e la cosa che fa più infuriare è che poteva non esserlo. Quanto mostrato durante lo showcase della primissima versione del gioco aveva il potenziale per traslare la formula stylish action originale con ben pochi compromessi. Una visione che però non si sposa bene con il ben più remunerativo modello gacha-like pieno di limiti, pacchetti da acquistare e costanti pop-up pubblicitari.
