Final Fantasy VII Rebirth

Final Fantasy VII Rebirth Recensione: Rinascere, più consapevoli

Atteso al varco da più di una generazione, ecco infine giungere su PlayStation 5 l'epocale Final Fantasy VII Rebirth.

Atteso al varco da più di una generazione, ecco infine giungere su PlayStation 5 l'epocale Final Fantasy VII Rebirth.

L’uscita di un titolo della saga di Final Fantasy è sempre, di per sé, un evento, ma l’arrivo di Final Fantasy VII Rebirth è semplicemente speciale, poiché si tratta del tassello centrale della chiacchieratissima trilogia remake di Final Fantasy VII, che nel corso dell’ultimo quarto di secolo è stata desiderata, ma a volte anche temuta e addirittura osteggiata. FFVII è letteralmente un mostro sacro della storia dei videogiochi, e contiene il momento spoiler più famoso di sempre, probabilmente. Dato che gran parte della discussione sul primo capitolo della saga remake si è basato sulla critica (costruttiva o meno) al riadattamento della vicenda e che questo Rebirth contiene al suo interno il segmento che nell’originale portava a “quel momento” le aspettative sono altissime e al contempo ci si approccia al titolo con un certo timore, sia a livello di resa di certe scene sia per l’incertezza di quel che potrebbe accadere, visti gli elementi aggiunti e le misteriose divergenze proposte appositamente dal team di sviluppo.
Potete star tranquilli: in questa recensione non abbiamo intenzione di spoilerare nulla o di rovinarvi l’esperienza in alcun modo. Ci sarà un tempo e un luogo per parlare di “certe cose” ma in questo pezzo l’elaborazione sarà generale.

Final Fantasy VII Rebirth

Final Fantasy VII Rebirth: come l’araba fenice

Sebbene sia tecnicamente giocabile anche senza aver affrontato il primo capitolo del Remake, il consiglio naturalmente è quello di aver giocato prima a Intergrade (e magari al DLC con protagonista Yuffie) perché seguire l’evoluzione dei personaggi e avere un quadro della situazione ampio risulta fondamentale: i nostri (come sanno tutti coloro che hanno provato la Demo) si ritrovano a Kalm per ricomporre le fila e decidere il da farsi. Sono scampati alla Shinra, ma è solo questione di tempo prima che i Turks li rintraccino; e, soprattutto, Sephiroth sembra in qualche modo vivo e pronto a tutto pur di assicurare l’egemonia sul pianeta alla stirpe di cui ha scoperto di far parte. I ricordi confusi di Cloud, Tifa e Aerith in qualche modo convivono ma promettono rivelazioni eclatanti, mentre “da qualche parte” personaggi a loro ben noti e che in teoria dovrebbero essere morti sono invece determinati a fare la loro parte… ma qual è il destino che attende davvero il nostro gruppo di eroi?

Final Fantasy VII Rebirth reca con sé l’onere di adattare e modernizzare (sia da un punto di vista narrativo che videoludico) la parte centrale delle vicende di Final Fantasy VII, compito decisamente complesso e difficile che però riesce anche più delle previsioni. Ci si aspettava sicuramente un miglioramento generale di quanto visto nel primo capitolo, principalmente in virtù del passaggio da un’ambientazione “a location” a un vero Open World, ma giocando siamo stati letteralmente travolti da titolo ricchissimo sotto il profilo delle attività disponibili, che oltretutto esulano dai ritriti schemi delle fetch quest restituendo lo stupore della scoperta, della caccia, dell’avventura nascosta dietro ogni angolo, con tutta una serie di rinnovate strutture e possibilità da attivare contestualmente. La cosa migliore è che la stragrande maggioranza delle attività secondarie ha un qualche impatto sul gameplay e sull’approfondimento della narrativa, anche quando si tratta solamente di uno dei numerosissimi minigiochi presentati.

Final Fantasy VII Rebirth

Si potrebbero riempire migliaia e migliaia di caratteri a raccontare la quantità di attività disponibili FFVII Rebirth, ma ciò che conta, ve lo garantiamo, è che sono ben inserite nel contesto della storia, secondo un modo di narrare e intrattenere tipico del genere dei JRPG, qui portato al pinnacolo. Non risultano superflue, inserite tanto per allungare il brodo a un’opera che non ha molto da dire. Tutt’altro: appassionano e forniscono contesto, terreno di prova e allenamento, voglia di tornare a mettersi alla prova mentre intorno a noi si dipana un’epopea emozionante come poche.
Il gameplay, rispetto al predecessore, è affinato e presenta nuove sfaccettature e possibilità, tra cui le numerose skill in tag team al contempo deliziose e apprezzabilissime da un punto di vista tattico: il sistema di combattimento è la naturale evoluzione del precedente e, sebbene i controlli che fanno il verso a una versione “a turni” non convincano (ma sono sempre stati un contentino alle lamentele degli intransigenti affezionati alla tradizione), quelli in tempo reale sono invece davvero ottimi, reattivi e presentano al contempo una sfida manuale e tattica non indifferente, con numerose build tutte da sperimentare. Davvero niente a che vedere con le soluzioni semplicistiche adottate in FFXVI.
Sul versante ludico, insomma, il titolo convince a pieno oltre le più rosee aspettative, arrivando in alcuni casi anche a sorprendere. Mentre non sorprendono certo le strepitose musiche, il doppiaggio d’eccezione (sia in lingua giapponese che in inglese) e la cura prestata ai modelli poligonali di personaggi e ambienti, che schizza alle stelle rispetto al primo titolo, in cui si notava lo stacco tra gli elementi principali e “il contorno” ovvero NPC, fondali e oggetti di sfondo. Al di là di piccolezze di poco conto, il fotorealismo di certi momenti è straordinario e le location tutte molto ben caratterizzate e ricche di personalità. I protagonisti, inoltre, bucano letteralmente lo schermo.
Diciamo, tuttavia, che sono cose che vi aspettavate e quel che volete sapere da questa recensione, se siete fan di lungo corso del franchise, è se la trama è inficiata dal nuovo corso narrativo, dalle aggiunte e dalle cosiddette “nomurate”, come scherzosamente sono state rinominate le trovate aggiuntive spesso sopra le righe ideate o volute da Tetsuya Nomura. Ebbene, c’è di che gioire anche in questo caso, dato che rispetto al primo capitolo le ingerenze del genere sono molto più contenute e, anzi, viene data nuova dignità narrativa agli spunti seminati nel primo capitolo, come il personaggio di Roche. E, ve lo assicuriamo, i momenti introspettivi, personali o in qualche modo delicati sono resi in maniera magistrale, a volte anche inaspettata, vedasi il segmento del confronto tra Dyne e Barret. Il gioco prosegue sul canovaccio dell’originale, inserendo qua e là gli spunti derivanti dalle questioni “lasciate in sospeso” dai Numen, Zack etc. e garantendosi ampio spazio di manovra per retconnizzare al meglio alcune (molte) cose in modo indolore e fornendo molto più contesto (interessante) di quanto potremmo immaginare. L’intento era sicuramente quello di sorprendere i giocatori di lungo corso, ma non si è rischiato di deluderli come nel precedente titolo. Certo, non tutto è perfetto (ottimi il pacing dell’inserimento di Yuffie e Cait Sith, decisamente meno azzeccate le trovate riguardo alla presenza – quasi inerte – di Cid e Vincent) ma in generale la rotta è stata raddrizzata, sebbene permangono alcune incertezze e diversi misteri a cui potremo dare risposta solo con l’uscita del terzo (e conclusivo) capitolo del remake.

Piattaforme: PlayStation 5

Sviluppatore: Square Enix

Publisher: Square Enix

Se Final Fantasy VII Rebirth fosse un titolo completamente inedito, staremmo qui a parlare solo in termini di eccellenza, di possibile “Game of the year” e così via. L’inevitabile confronto con l’ingombrante titolo progenitore, tuttavia, inevitabilmente influisce sull’approccio di pubblico e critica all’opera. Sarebbe bello poter giudicare FFVII Rebirth per quel che è e non (anche) per quel dovrebbe essere, ma ad ogni modo va bene lo stesso, perché questo secondo tassello del mastodontico remake della settima “Fantasia Finale” è qualcosa di imprescindibile nel contesto del genere e nel panorama attuale dei titoli console. Adatta ed espande mitologia e vicende della parte centrale di FFVII in modo perlopiù mirabile e con decisamente meno sbavature e sbandamenti del precedente esperimento, restituendo un open world davvero ricco di variegate esperienze sempre sorprendenti. Emana il giusto feeling, moltiplicando esponenzialmente le possibilità del primo Remake.
Epico, lirico, emozionante: abbandonate ogni ritrosia e lasciatevi conquistare da un videogioco sicuramente perfettibile ma denso come pochi.

Toumarello è il nickname che si porta appresso ormai da anni, ma non chiedetegli di spiegarvelo: è un tipo logorroico e blablabla. Per vivere (in ogni senso) scrive e descrive, in particolare di roba multimediale, crossmediale, transmediale... insomma, gli interessa il contenuto ma spesso resta affascinato dall'utilizzo del contenitore. Ama Tetris e le narrazioni interattive.