The Amazing Spider-Man 2 – Recensione

Se da grandi poteri derivano grandi responsabilità, non è sempre vero che il peso di queste responsabilità sia sostenibile. È evidente, infatti, che il marchio di Spider-Man (ricordate il trattino, perché se no Spidey la prende malissimo, o almeno così dice nel gioco!) metta in soggezione un po’ tutti gli sviluppatori, anche quelli che in passato avevano dimostrato un certo potenziale, come i ragazzi di Beenox. I developer canadesi avevano sicuramente avuto ottime intuizioni con Spider-Man: Shattered Dimensions, ma già con il primo capitolo della saga ispirata al reboot cinematografico, lo spettro della mestizia aleggiava sul grattacielo del Daily Bugle. Un’ombra inquietante che sin dall’avvio di questo nuovo capitolo assume un carattere più terrificante.

PROBLEMI DI IDENTITÀ
The Amazing Spider-Man 2 è un finto tie-in: si discosta, narrativamente, dall’omonima pellicola cinematografica (e questo magari è un bene!), ma mantiene la caratterizzazione adolescenziale del nuovo Spidey, cercando, in qualche modo, di creare un universo di gioco in pieno stile luna park. Il problema principale, però, è che questa sindrome da parco dei divertimenti coinvolge anche la linea narrativa, che in pratica non ha senso. Senza rovinarvi l’esilarante esperienza, la vicenda si muove due anni dopo la morte di zio Ben, con un Peter Parker ancora scosso e in cerca di vendetta. Accade che compare sulla scena Carnage Killer, che inizia a fare piazza pulita dei criminali, tra cui l’assassino del caro zio, proprio quando il nostro eroe aracnide era lì per consumare la sua vendetta. A questo punto Spidey decide che è tempo di tornare a fare il bravo ragazzo e combattere per il lato chiaro, indagando sulla vicenda. E poi, c’è il delirio: sulla scena compaiono, in rapidissima successione, Kraven, Fisk/Kingpin, la Gatta Nera, Electro, Harry Osborn/Goblin senza alcuna giustificazione narrativa, ma presentati con un’aura di mistero e carica scenica che cozza tantissimo con la reale pochezza della storyline. I dialoghi fra i personaggi lasciano davvero di stucco e, per esempio, in circa quindici minuti assisteremo a cambi di prospettiva del tipo “oh, sarai il mio mentore, la figura paterna che mi manca” a “dopo tutto quello che abbiamo passato assieme, mi tradisci”. Ma certo…

Le inquadrature cinematografiche, anche durante i combattimenti, abbondano.
Le inquadrature cinematografiche, anche durante i combattimenti, abbondano.

L’altro aspetto irritante del continuo cianciare a vanvera che per tutto il gioco dovremo sorbirci, è sicuramente la caratterizzazione di Spidey, che oltre a essere l’adolescente un po’ inquieto del film, assume anche una vena ironica che sembra uscita da una prima serata sulla TV italiana, tanto che nello scontro con Kingpin i suoi continui commenti “tongue in cheek” sembrano essere stati scritti da Cirilli (avete presente “chi è Tatiana”? Ecco!). Irritante, con tutto il rispetto per i comici italiani.
Insomma, è un bene che il gioco si discosti dal film, è un male che non sappia dove andare.

SPIDER-MAN: ARKHAM CREED
Mettendosi l’anima in pace riguardo la storia e zittendo Spidey per evitare di ascoltare i suoi continui commenti inutili, a nostra disposizione c’è una New York in cui fare evoluzioni fra un grattacielo e l’altro. Il sistema di controllo, in fase di esplorazione, è davvero ben congegnato ed è un piacere andare a zonzo per Manhattan sentendosi uno stilosissimo Spidey di quartiere. In questa fase il gioco è di fatto un open world e a nostra disposizione avremo una sorta di mappa à la Assassin’s Creed, con tanto di attività secondarie, oltre la main quest. Fra le più significative, sventare crimini di vario genere, partecipare a sparatorie enormi con la polizia, recuperare progetti segreti Oscorp, fare fotografie per il Daily Bugle e via discorrendo. Se la varietà sulla carta è tanta, in realtà le missioni sono tutte più o meno uguali tra loro. Aggiungiamo pure che spesso si tratta di vere e proprie instance, con tanto di caricamento abbastanza lento, e il quadro è completo.

L'Uomo Ragno guarda sconsolato l'ennesimo giocaccio in cui l'hanno ficcato.
L’Uomo Ragno guarda sconsolato l’ennesimo giocaccio in cui l’hanno ficcato.

D’altronde, anche saltando a piè pari le missioni secondarie, di fatto rinunceremo a ben poco, memorabilia a parte, visto che l’unica incidenza reale, in termini ludici, sta nel fatto che facendo gli eroi ci guadagneremo solo l’amore dell’opinione pubblica, testimoniato da orribili cut-scene da telegiornale e dal fatto che la Task Force della Oscorp ci attaccherà di meno. Un po’ come il sistema di reputazione di Assassin’s Creed, ma più inutile, visto che abbiamo le ragnatele e fuggire non è altrettanto complicato. Per il resto, si tratta di andare di missione in missione, picchiando un po’ tutti, in un sistema di gioco che trae molta ispirazione dalla serie Arkham di Batman, ma che non riesce neanche minimamente a imitarne la profondità. Il sistema di combattimento è lineare, i potenziamenti del costume abbastanza ininfluenti, la varietà di tipologia di nemici si conta sulle dite di una mano e i boss non sono altro che una versione più grossa e cattiva dei nemici classici. Cosa resta? Tanto fan service, grazie alla presenza del Comic Stand.